Quando i mostri servono a non ammettere che la natura umana tende al male
“Il tempo di vivere con te”, l’ultimo libro di Giuseppe Culicchia
La pagina di Wikipedia su Walter Alasia racconta pessimamente Walter Alasia e magnificamente la nuvolaglia di approssimazione, incuria, ignoranza, che il nostro paese, da sempre, lascia che si addensi sugli Anni di Piombo. Un ventenne che legga, quali strumenti ha per accorgersi di quanto è imprecisa? E’ una domanda che abbiamo il dovere di porci, perché travalica Wikipedia, naturalmente, e travalica i ventenni. Abbiamo fatto i conti con quella parte della nostra storia, con la verità dei fatti, prima di tutto, e poi con ciò che ne possiamo dedurre ed estrarre, ciò che ci può far vedere di ciò che siamo? Il solo impegno che ci siamo assunti con gli Anni di Piombo è stato quello di rimarcare, da un certo punto in poi, che non sono stati soltanto anni di piombo, cosa che avremmo potuto permetterci se sul piombo avessimo detto almeno tutta la verità possibile.
Parlando del libro di Emanuele Fiano su suo padre, sopravvissuto ai campi di sterminio nazista, Pigi Battista ha scritto che, dopo la Shoah, per moltissimi anni, ricordare era troppo doloroso e infatti s’è a lungo taciuto, e ora quel silenzio “solo un figlio della Shoah può raccontarlo”. Dalla morte di Alasia sono passati 44 anni e due mesi e suo cugino, Giuseppe Culicchia, ha scritto un romanzo incredibile su di lui, quindi anche sugli Anni di Piombo, "Il tempo di vivere con te" (Mondadori), che s’addentra in quella nuvolaglia facendo moltissimo rumore, e domande, e luce. Per Berselli una delle canzoni che meglio ha rappresento quegli anni è stata “Mio fratello è figlio unico” e quanta ragione avesse lo dimostrano la storia di Alasia e il ragazzo che è stato, la scissione che aveva dentro e che Culicchia ha raccontato perfettamente. La scissione tra l’assassino e il ragazzo, che i giornali e l’opinione pubblica fecero presto a raccontare come la copertura di un mostro, e quella tra il brigatista e l’utopista, tra la necessità e il sogno. “Per me, Walter non era un mostro. I mostri fanno comodo. Ci fanno sentire diversi, migliori. Capire che non lo sono è senz’altro doloroso, ma necessario”, ha scritto Culicchia su Domani.
I mostri servono anche a non ammettere che la natura umana tende al male e, così, a non far parlare mai il male commesso, archiviandolo come dato bestiale. Alasia era un brigatista e un ragazzo amorevole, giocherellone, goloso, in famiglia lo amavano tutti perché “quando entrava, cambiava l’atmosfera”. Culicchia era un bambino, aveva dieci anni, non sapeva niente, come nessuno in famiglia, e quel suo cugino era per lui un fratello e un eroe. Una volta, quando sua madre si licenziò dalla Pirelli, la accompagnò a prendere la liquidazione e poi buttò via tutti i soldi tra le scale del condominio, dopo aver chiesto alla vicina se ne volesse un po’. “Ecco com’è che sei fatto, Walter”, scrive Culicchia alla fine di ogni ricordo, per rivendicarne la tenerezza, la verità piena. Alasia aveva vent’anni quando la polizia entrò a casa dei suoi genitori per portarlo via, avendo scoperto che era un terrorista, un brigatista, e lui aprì il fuoco, uccise due agenti, scappò dalla finestra, gli spararono alle gambe per immobilizzarlo e poi lo ammazzarono.
Dissero che si era finto morto e poi aveva sparato ai barellieri, che però testimoniarono che, vicino al suo corpo, non c’erano armi. Il sostituto procuratore Alessandrini, che venne ucciso non molto tempo dopo da un commando di Prima Linea, disse a sua madre: “Ringrazi che suo figlio è morto, perché non sarebbe più stato buono nemmeno per il manicomio”. Conosciamo il dolore dei parenti delle vittime dei terroristi, anche se non potremo mai capirlo. Però c’è anche il dolore dei parenti di quelli che stavano dall’altra parte, ed è giusto conoscere pure quello: serve a capire cosa successe, che paese eravamo, su quante bugie riposa il nostro presente.