Fatwa ad Amsterdam contro la scrittrice turca che ha criticato l'islam
Il caso del romanzo di Lale Gül. La madre: "Se non fossi mia figlia ti strangolerei". Un appello di politici e giornalisti di vari orientamenti politici a sua difesa
Mentre la scrittrice olandese Marieke Lucas Rijneveld perdeva la traduzione dei versi della poetessa di colore Amanda Gorman in quanto bianca, un’altra scrittrice olandese finiva nei guai per una colpa ben più grave, ma che non rientra nel culto woke della “intersezionalità”: la critica dell’islam. A 23 anni, il primo libro di Lale Gül è ora in cima alla lista dei best seller. Il romanzo autobiografico è stato elogiato dalla critica e l’autrice è apparsa in tv, articoli di giornale e riviste. Ma i membri della sua comunità minacciano di ucciderla e sua madre pensa che abbiano ragione.
Non siamo in Iran o in Arabia Saudita, ma sul fiume Amstel, ad Amsterdam, la città della tolleranza e della libertà. Lale Gül, figlia di immigrati turchi nei Paesi Bassi, ha scritto “Ik ga leven” (Io vivrò). Racconta di una ragazza occidentale, libera e indipendente fuori, devota e sottomessa in casa. “Nelle loro menti non hanno mai lasciato il villaggio turco”, ha detto dei genitori. “Ad Amsterdam si circondano di turchi. Guardano programmi televisivi turchi e non possono abbandonare norme e valori tradizionali. Temono che se indosso i jeans la loro reputazione nella comunità sarà offuscata”. Quando Gül alla scuola islamica turca si è chiesta ad alta voce perché le ragazze dovrebbero coprirsi la testa e i ragazzi no, l’insegnante le ha risposto: “Questa domanda te l’ha sussurrata il diavolo”. Dopo un’apparizione televisiva, come ha scritto un critico, è stato “come se una bomba fosse esplosa nella comunità dei suoi genitori”.
Lale Gül aveva messo in discussione una cultura in cui, come dice “Büsra” nel suo libro, le ragazze sono costrette a vivere “come piante d’appartamento”. I telefoni hanno squillato in casa Gül il giorno dopo l’apparizione nel talk-show. I genitori inorriditi. Il padre risponde: “Cosa vuoi che faccia, tagliarle la gola?”. Uno zio minaccia di “farmi uscire i denti dalla bocca”, ha detto Gül al quotidiano olandese Volkskrant. Le è stato consigliato di assumere una guardia del corpo. “Mi suggeriscono di non uscire di casa da sola per un po’ e di prestare molta attenzione”. La madre le ha detto: “Se non fossi mia figlia, ti strangolerei”. “Lale merita di vivere come vuole. Senza ambiguità”, ha risposto un manifesto. “Mettiamo in chiaro che siamo dalla sua parte, che la libertà vale anche se vieni da un ambiente non libero”. Tra i firmatari ci sono il presidente del partito della ChristenUnie, Gert-Jan Segers, il presidente del partito socialista Sp Lilian Marijnissen, il parlamentare Pieter Omtzigt del Cda, i parlamentari del Vvd Dilan Yealidgöz-Zegerius, Bente Becker e il senatore del D66 Boris Dittrich. E poi giornalisti, editorialisti, leader religiosi e scrittori.
Era già successo alla giornalista turco-olandese Ebru Umar, che aveva ereditato la rubrica dell’amico Theo van Gogh sul quotidiano Metro. Nella sua prima apparizione, Umar scrisse che l’“intimidazione invisibile della mafia della censura funziona bene: il 68 per cento degli olandesi non dice più pubblicamente cosa pensa. Nei Paesi Bassi non c’è più libertà d’espressione”. Venne aggredita sotto casa e tre anni fa Umar è finita in carcere in Turchia dopo alcuni tweet contro il presidente Erdogan. Una colpa ben più grave, dicevamo, ma tutto sommato chi cancella i bianchi perché bianchi dirà che Lale un po’ se l’è cercata. Non è prevista solidarietà per una “islamofoba”.
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