Il primo fotoreporter
Gli scatti “in manica di camicia” di Mario De Biasi, artista compulsivo e universale
Per scattare un ritratto di Giuseppe Ungaretti, che aveva rifiutato ogni richiesta da parte della redazione, lo visitò a New York e gli recitò una delle sue poesie. Ottenne una fotografia memorabile sul ponte di Brooklyn. Per ritrarre Onassis, lo aspettò fuori dal ristorante dove stava pranzando: oltre a un servizio in esclusiva nella sua stanza d’albergo, il magnate gli offrì la propria auto con tanto di autista per il resto della giornata, per godersi un tour nella Grande Mela. Una delle qualità di Mario De Biasi era l’intraprendenza. Così si arrampicò sul cratere dell’Etna, per ritrarre il cuore del vulcano da condividere con i lettori di Epoca, dove era assunto come fotoreporter, il primo in Italia. “Non aveva paura. Quando fotografava entrava in una trance creativa, non si fermava davanti a nulla”.
Spiega Enrica Viganò, curatrice della mostra “Mario De Biasi. Fotografie 1947-2003” organizzata alla Casa dei Tre Oci di Venezia e la cui inaugurazione è stata rimandata a data da destinarsi dopo il passaggio della regione Veneto in zona arancione. “In ogni suo scatto c’è la sorpresa personale e con sé portava tutta la curiosità del popolo italiano, la stessa che provava lui vedendo le meraviglie del mondo”. Si tratta di un artista “universale” capace di mettere insieme precisione tecnica e uno sguardo innovativo. “Aveva un’attitudine ad accogliere quello che accadeva nel mondo – continua Viganò – Camminava, e di tanto in tanto si voltava per vedere se alle sue spalle ci fosse una coppia intenta a baciarsi, perfetta per diventare il suo nuovo soggetto”.
Oltre agli scatti realizzati durante i suoi viaggi, i suoi reportage dalla Siberia, da New York, dalla rivolta d’Ungheria, dove veniva mandato perché “un servizio affidato a De Biasi era una certezza”, la mostra esporrà le sue serie dei baci e dei barbieri di strada, fotografie scattate compulsivamente, da ogni parte del mondo, con la curiosità e la sorpresa che sono diventate la sua cifra stilistica. Quelli di De Biasi erano ritratti che lui stesso definiva “in maniche di camicia”: rilassati, basati su un rapporto di fiducia. Così ha immortalato Sofia Loren mentre esce dalla vasca da bagno avvolta solo da un asciugamano, Romy Schneider con ancora indosso gli abiti da principessa Sissi, mentre si concede una sigaretta, Federico Fellini in gondola mentre bacia affettuosamente la moglie Giulietta Masina. Mario De Biasi era un autodidatta. “Rimase orfano di madre da bambino, suo padre si trasferì in Svizzera e lui crebbe con una zia che viveva in un paesino del bellunese”, racconta Viganò. A quattordici anni si trasferì a Milano, dove iniziò a studiare per corrispondenza. Poi arrivò la guerra e fu mandato a lavorare a Norimberga, una delle città più bombardate della Germania. “Tra le macerie trovò un manuale di fotografia – continua Enrica Viganò – la famiglia che lo ospitava gli prestò una macchina fotografica. Il suo primo scatto è una visione disarmante delle macerie di Norimberga. Sul suo primo album scrisse: ‘Il mio sogno è qui’. Aveva capito subito che il suo futuro era nella fotografia”.