il foglio del weekend
Il romanzo della luna
Dalla letteratura alla mitologia fino alla superstizione, il satellite bianco è amico, guida e talismano delle bambine
Fatoumata Kébé è un’astronoma, astrofisica ed educatrice francese di origini maliane, ha trentacinque anni e il suo sogno è essere la prima donna a camminare sulla luna. Se c’è qualcosa che non quadra, nelle immagini dell’allunaggio del 1969, non sono né le ombre né il vento né gli altri dettagli cavalcati dagli immortali sedicenti scopritori di bufale: l’unica vera nota stonata è che a muovere i primi passi sul satellite bianco sia stato un uomo. Del resto, ricorda Kébé, i criteri di reclutamento che dalla fine degli anni Cinquanta hanno portato all’identificazione dei primi pionieri dello spazio hanno portato alla scelta di sette profili tutti uguali: “Sono uomini, bianchi, protestanti, sposati, originari di piccole cittadine del Midwest e sono stati cresciuti da un padre autoritario”. Eppure, quale sia il sesso della luna lo sappiamo dalla notte dei tempi, che le lunazioni durino ventinove giorni, suppergiù come il ciclo mestruale, è una delle nostre poche certezze, anche se in tedesco la luna è maschio, der Mond, e il sole è femmina, die Sonne. Ecco, in Germania sulla nostra certezza sarebbe consentito vacillare. Per fortuna, questo articolo è in italiano.
La storia d’amore di Fatoumata Kébé con il satellite bianco l’ha portata a scrivere un libro in cui anche noi, donne e uomini, possiamo fare con lei il viaggio che sogna da quando era bambina. Il libro della luna, tradotto in Italia da Chiara Manfrinato per le edizioni Blackie, è emozionante e divulgativo insieme, va dritto al cuore di una cosmogonia fatta di astri e di pianeti ma anche di libri, film, canzoni. E, in chiusura, raccoglie le leggende nere proliferate intorno all’Apollo 11, ironizzandoci su con smorfie amare: il Moon hoax, la teoria del complotto, parte dal presupposto che le missioni lunari siano state organizzate e compiute sulla terra allo scopo di esaltare la potenza americana durante la guerra fredda. Quando, nel 2002, un mockumentary di William Karel ha montato insieme le ipotesi negazioniste fino a renderle credibili, si è davvero diffusa l’idea che a girare le riprese sulla luna fosse stato Stanley Kubrik in persona, incaricato dalla Nasa. Kébé rievoca con divertita desolazione gli effetti del film di Karel e il modo in cui fu preso sul serio da impazziti commentatori di internet, ma precisa che “anche questa leggenda nera fa parte del romanzo della luna.” Il romanzo della sua vita.
Nella sua rassegna di letteratura lunare, Kébé cita Luciano di Samosata che per parodiare la vita quotidiana nell’impero romano s’inventa un incontro con i seleniani, cita il film patafisico di Georges Mélies del 1902, cita Cyrano de Bergerac (quello vero, cui il personaggio letterario è ispirato) autore di un libro fantastico su un viaggio sulla luna ben prima di Verne. Ancora, cita Carl Jung, che ha scritto: “La Luna è la luce che cambia di continuo durante la notte, è la sfera notturna dell’esistenza umana”.
Una delle pagine più affascinanti della mitologia lunare ricordata da Kébé è quella sui licantropi, di cui viene riportata l’epifania: il primo lupo mannaro della storia è Licaone, re d’Arcadia, che crede di far felice Zeus omaggiandolo di carne umana offerta in sacrificio per lui, ma gli dei, si sa, sono capricciosi, e interpretarne il volere a piacimento è una pratica rischiosa. Così, Zeus si reca alla corte di Licaone travestito da mendicante per verificare cosa stia succedendo, perché ciò che ha intuito non gli piace affatto, e quando a pranzo gli viene servito l’arrosto di Arcade, il figlio che ha avuto dalla ninfa Callisto, la sua collera è stratosferica, tempesta tutti di punizioni e trasforma all’istante il re in un lupo del plenilunio.
La grazia del libro di Fatoumata Kébé sta anche nel modo in cui cammina fra le fiabe, le credenze e i riti senza l’inutile sprezzatura con cui molti le liquidano per sentirsi superiori alle superstizioni. E’ una scienziata, sa bene che ciò che non è provato non può essere legittimato, e tuttavia non rinuncia alla dimensione onirica, femminile e leggendaria del chiaroscuro lunare: solo, la tiene distinta da quella scientifica. La competenza ha sempre a che fare con l’amore, e, se non fosse innamorata del nostro satellite notturno, Kébé non avrebbe studiato Meccanica dei fluidi all’Università Pierre e Marie Curie, non avrebbe seguito dei corsi all’Agenzia spaziale europea e, nel 2018, non sarebbe stata inserita da Vanity Fair tra le personalità francesi più influenti al mondo. Il suo lavoro di divulgazione va ad aggiungersi a quello di altre astrofisiche, come Maggie Aderin-Pocock, inglese di origini nigeriane, che dal 2014 conduce il programma della BBC The Sky at Night. L’anno scorso il Saggiatore ha pubblicato, nella traduzione di Giovanni Malafarina, un suo libro dallo stesso titolo di quello di Kébé (Il libro della luna), che presenta un taglio diverso ma nasce da altrettanto amore: “Una volta un mio amico disse che quando osservava la Luna pensava a me. Era una confidenza innocente, ma per me non poteva esserci complimento migliore. La Luna è il mio yin e il mio yang, ha guidato la mia carriera e ha influenzato il mio modo di intendere la vita. Mi ha plasmato sotto molti aspetti, pertanto un’associazione del genere mi sembra splendida”.
Anche per Aderin-Pocock ogni cosa ha origine nell’infanzia: “Non saprei dire quali siano i miei primi ricordi della Luna, ma credo che la presentazione formale sia avvenuta tramite mio padre, che era solito raccontarmi storie della sua infanzia in Nigeria. Da piccolo possedeva una bicicletta Raleigh, che agli occhi di mio padre era la Rolls-Royce delle biciclette. In sella a quella Raleigh faceva circa 20 km per arrivare a scuola, il che significava che doveva alzarsi presto e tornava a casa sempre troppo tardi. Tuttavia non c’erano strade o lampioni a guidarlo: pedalava attraverso la sabbia e la polvere della savana, con solo la luna a illuminare il percorso. Mio padre ci raccontava di quanto la Luna apparisse grande, della sua straordinaria bellezza e di come la considerasse una compagna di viaggio nei suoi ritorni a casa. Sapeva che se la Luna era una buona compagna per mio padre allora lo era sicuramente anche per me, che trascorrevo la mia infanzia nei quartieri settentrionali di Londra”. Dalle loro periferie di Londra e di Parigi, due bambine i cui genitori avevano attraversato mezzo globo terrestre hanno avuto la Luna come amica, guida e talismano: non l’hanno mai tradita, e lei non ha tradito loro.
Leggendo i loro libri, non potevo non pensare costantemente ai tarocchi (Kébé, tra l’altro, li cita esplicitamente). La Luna è il diciottesimo degli arcani maggiori, la sua raffigurazione più diffusa è quella di una marea notturna, una forza attrattiva che il satellite esercita su una pozza d’acqua stagnante, nella migliore delle ipotesi un lago, fino a far emergere un animale, di solito un crostaceo. La luna dei tarocchi è spesso una luna corrucciata, malinconica oppure vagamente arrabbiata, la risalita dalle acque del gambero o del granchio dalle acque appare faticosa e ostinata; sulla terraferma, due cani ululano davanti a due torri, simboli della sapienza maschile, della presunzione, del presidio patriarcale. Quando, nel Rinascimento, si sono diffusi i primi mazzi, la parola “inconscio” non esisteva neanche, eppure la diciottesima lama è quella che più lo rappresenta: dall’oscurità cui è relegata, l’ombra del femminile continua a costituire una minaccia, soprattutto di notte, quando il dio sole, con tutto il suo portato maschile, è a riposo. Del resto, nei tarocchi la carta del sole segue quella della luna, come a rassicurarci che l’ordine è stato ripristinato: il diciannovesimo arcano raffigura un ragazzo e una ragazza che si tengono per mano, l’oscurità del femminile è stata sconfitta, la donna può tornare alla sua funzione diurna e quotidiana di compagna. In altre tradizioni, l’arcano del sole è simboleggiato da un bambino-guerriero a cavallo, una virilità insieme innocente e predatrice, comunque vittoriosa. L’importante è aver sconfitto la temibile luna nera, quella Lilith ovvero la donna fatta fuori dalla Genesi che costituiva la prima, vera metà di Adamo, la femminilità dentro di lui, organica al suo stesso corpo. Lilith è stata sostituita dalla più accettabile Eva, come ricostruisce Roberto Sicuteri nel saggio Lilith la luna nera, pubblicato da Astrolabio, un’ardita discesa in quelle acque salmastre che, nei tarocchi, rappresentano le regioni buie della psiche. In superficie, intanto, della luna nera meglio non parlare, è più prudente risospingerla sott’acqua e scampare la possibilità di doversi difendere da un’eversione, almeno fino alla prossima marea. Oggi, con l’espressione “luna nera” intendiamo il tredicesimo novilunio dell’anno, quello eccedente i dodici mesi, poiché i mesi sono quasi tutti di trenta o trentuno giorni mentre le lunazioni di ventinove e mezzo, per cui c’è sempre un tempo lunare che esonda dal nostro calendario, come se ci fossero dei giorni e delle notti che nella nostra vita sono di troppo. Quel tredicesimo cielo in cui la luna è nascosta perché si sta rigenerando è la luna nera, la grande regina dell’assenza; se la luna piena è la grande madre, la luna nuova è la donna che si eclissa per partorire sé stessa. Scrive Sicuteri che il suo mito viene dalla natura androgina di Adamo, che era in origine maschio e femmina insieme. Da quella amputazione, Lilith è destinata a risorgere nel corso dei secoli sotto sembianze mutevoli: la radice sumera LIL compare in diversi nomi di divinità assiro-babilonesi, spesso principesche e demoniache. Ovunque ci sia una dea distruttrice, dalla cultura egiziana a quella greco-romana, quella è una resurrezione di Lilith, come pure Lilith è la strega medioevale nell’epoca che definitivamente la identifica come entità da perseguitare e distruggere. Solo con la psicoanalisi, continua Sicuteri, comincia a cambiare l’approccio alla luna nera: non più ctonia e arcaica, ma parte naturale di una stessa duplice umanità. Freud e Jung trovano le luci per addentrarsi nell’oscurità che ci aveva fatto paura (se volessimo continuare a giocare con le carte dei tarocchi, la psicoanalisi si potrebbe incarnare nella lanterna tenuta in mano dall’eremita, il nono arcano, che si avventura da solo nei boschi).
Di recente, uno scrittore e studioso di magia come Matteo Trevisani, nel suo ultimo romanzo, Libro del sole, pubblicato da Atlantide, ha esordito scrivendo: “Da bambina la cosa più bella che sapevo era che gli anelli di Saturno sono fatti di ghiaccio. Che il centro della galassia è un enorme buco nero, e che la Terra e la Luna una volta erano una cosa sola. Avevo capito che gli uomini hanno un unico modo per vederci davvero chiaro: avvicinarsi alle cose”. A parlare è la protagonista, Eva, giovane astronoma. Anche lei è l’incarnazione di un’entità che fiorisce ovunque, come l’erba selvatica: una bambina che cresce con la fissazione del cielo e da grande ne farà un mestiere. Come Fatoumata Kébé, come Maggie Aderin-Pocock, come tutte le donne che, alzando gli occhi di notte, sanno esattamente dove puntarli e guardare.