Marino Sinibaldi (foto d'archivio Ansa)

il foglio del weekend

Mister radio lascia Radiotre

Salvatore Merlo

Lotta Continua, le lottizzazioni, i libri e la cultura. Dopo dodici anni da direttore in Rai, Marino Sinibaldi si racconta

Precario fino all’età di quarantacinque anni, poi improvvisamente vicedirettore, infine direttore. Dal 2009  a ieri. Il più longevo della storia di Radiotre. Dodici anni. Forse tra i direttori più longevi della storia della Rai in generale, di tutte le reti. Radio e tivù. La domanda è inevitabile: ma Radiotre sei tu? “Spesso mi accorgo che ci sono delle incrostazioni. Le osservo. Ci penso. Rifletto su come poterle sciogliere. E alla fine mi rendo conto che in effetti tutte quelle incrostazioni in realtà sono io”. Nessuno prima di te è durato così tanto. “Non saprei, davvero”. Controlliamo su Google. “Meglio di no”. E ora che fai? “Ora vado via. Non per ragioni traumatiche, ma nel più traumatico dei modi: l’età”. Sessantasette anni. Non sembra a guardarti. “Eppure vado in pensione”.

E Marino Sinibaldi, classe 1954, romano, appartiene a quell’antropologia degli uomini colti, per bene e di sinistra che hanno contribuito a mantenere la Rai fedele al suo scopo originario (o almeno a uno dei suoi scopi): il servizio pubblico. “La Rai è molto meglio di come sembra”, dice. “Si può abbastanza ignorare l’invadenza della politica. O almeno questa è la mia esperienza”. Forse perché la radio in realtà non interessa ai partiti. Se ne fregano. Quelli entrano in Vigilanza o nel Cda per controllare i talk-show, i tg e stabilire chi va a fare la ballerina dei quiz a premi. 

Sinibaldi è stato libero perché in realtà non contava niente? “In effetti la radio interessa poco alla politica. Ma tutto questo poco, per chi fa la radio conta moltissimo”. La libertà. Non c’è dubbio. Un episodio? “Qui in Rai abbiamo ancora la macchina che tritura i documenti. Ebbene, ieri mentre sgombravo il mio ufficio ho trovato una vecchissima lettera di raccomandazione che mi aveva inviato un consigliere di amministrazione della Rai. Non me la ricordavo nemmeno. Ecco, io a quella raccomandazione non ho mai dato nessun seguito. E malgrado ciò non mi è stato fatto nulla”. 


Nessuno prima di te è durato così tanto. “Non saprei, davvero”. Controlliamo su Google. “Meglio di no”. E ora che fai? “Ora vado via”


Adesso scade il cda della Rai, che succederà? “Qualcosa che per analogia assomiglierà al governo. Ma qui la mia immaginazione si arrende. E anche la mia vita in Rai si ferma”. Una soluzione alla Draghi anche in Rai. “L’inevitabile approdo dello shock che stiamo vivendo“. E ti piace questo governo? “Aspetto. Ora l’urgenza è vaccinare. Uscire dalla pandemia. Senza distruggere il paese. Io ero un sostenitore del governo Conte. Per le stesse ragioni per le quali, se dovesse avere successo, sarei un sostenitore del governo Draghi”. La lottizzazione però esiste anche in radio. “Certo”. E Radiotre è la radio della sinistra. Del Pci-Pds-Ds-Pd. E’ una radio di sinistra come dicono tutti? E’ così? “E’ una radio che si occupa di libri, di musica e di cultura. Si presume siano consumi culturali di sinistra, il che ovviamente non è vero. Ma è per questo che Radiotre passa per essere una radio di sinistra. Dovremmo chiederci per quale motivo in Italia la cultura è considerata di sinistra. Mi sembra un problema rilevante. Poi, è certamente vero, che c’è stata una storica lottizzazione anche qui. Ovvio. Con qualche eccezione, però. Sergio Valzania, che è stato direttore per otto anni, non era certo un uomo di sinistra”. Tu sì però. E anche tutti gli altri direttori, dal grande Enzo Forcella a Roberta Carlotto che era sposata con Alfredo Reichlin. A proposito: tu hai conosciuto Forcella? “Eravamo amici. E’ stato il mio maestro. L’unica foto che ho tenuto in ufficio è quella  con lui… Che però tutti scambiano per Kissinger. Il che per me è un problema perché Kissinger non piaceva affatto”. Quindi entrasti in Rai con Forcella? “Entrai nel 1985. Come collaboratore. Io sono rimasto collaboratore fino al 1999. Una cosa incredibile, perché praticamente quando sono stato assunto mi hanno subito fatto vicedirettore”. E di che ti occupavi all’inizio? “Facevo interviste a giovani scrittori italiani emergenti. Si chiamavano Tabucchi, Tondelli, Benni… Per me era una cosa fantastica. Io di Radiotre ero prima di tutto un ascoltatore. Andarci a lavorare, e poi addirittura dirigerla, è stata la realizzazione di un sogno”. 
E che facevi prima della Radio? “Facevo il bibliotecario. Lavoravo alla biblioteca di storia contemporanea, quella in via Caetani. Lavoravo proprio in quelle stanze dalle cui finestre vennero girate le famose e terribili immagini del ritrovamento del cadavere di Aldo Moro”. Oggi voti Pd ovviamente. “Sono di sinistra e voto quello che c’è a sinistra”. Anche Renzi? “Non alle primarie”. Poi è diventato la sinistra. “E l’ho votato”. Radiotre cos’è per te? “Per il mondo è un luogo di qualità e di discussione pubblica e civile senza pari. Pensa un fatto: da decenni un programma come ‘Prima Pagina’ riceve decine di telefonate al giorno. E nessuno ha mai detto una parolaccia. E’ incredibile. Se Radio Radicale apre i microfoni, diventa subito Radio parolaccia. Da noi no. Penso che gli stessi che altrove dicono le parolacce, a Radiotre non le pronunciano. Si adattano al contesto civile”. Ma tu l’hai mai assunto qualcuno di destra a Radiotre? Pausa. Abbastanza lunga. Poi: “Qui bisogna intendersi su cosa significhi essere di destra. Per me per esempio è di destra l’elitismo. E qualcuno a Radiotre è elitista. Quindi, anche se crede di essere di sinistra per me in realtà è di destra”.

Prima hai citato Radio Radicale. C’è qualcosa che gli invidi? “Qualche corrispondente estero. E gli invidiavo Massimo Bordin”. Prima Pagina e Stampa e Regime sono le rassegne stampa concorrenti d’Italia. “Stampa e Regime era il contrario di Prima Pagina, che è una rassegna pluralista. Era una rubrica condotta da Bordin. Con la sua forte personalità. Che, devo dire, per molti versi coincideva con la mia”. In cosa? “Nella curiosità, che per sua natura è indulgente. Quindi un po’ garantista”. 


Radiotre “è una radio che si occupa di libri, di musica e di cultura. Si presume siano consumi culturali di sinistra, il che ovviamente non è vero”


E’ più ascoltata Prima Pagina o Stampa e Regime? “Non lo so. Potrei salire su in ufficio e farti vedere i numeri che dimostrano la superiorità di Prima Pagina. Ma davvero sono due cose diversissime. Non c’è niente che dia potere quanto una rassegna stampa. Il potere della selezione. Il potere di leggere il mondo. E’ molto di più che scrivere un articolo”. 

 

E della radio commerciale cosa prenderesti? Cosa ti piace? “Quasi niente. Ma la verità è che io la radio commerciale praticamente non l’ascolto”. Ma dai, non è vero. “Invece sì.  Praticamente ascolto solo Radiotre… Ma non lo dico per darmi un tono, è proprio così. Pensaci. La ragione sta nella natura stessa dell’ascolto: l’udito è incomprimibile. Mi spiego meglio, tu puoi leggere velocemente e puoi anche guardare più cose contemporaneamente. Ma non esiste un ascolto veloce né un ascolto simultaneo. L’ascolto non può essere compresso o sovrapposto”.

C’è un passaggio fondamentale nella biografia di Sinibaldi: Lotta Continua. Quella strana cosa che in Italia negli anni si è fatta anche potere. Potere costituito. Rapporti d’amicizia e solidarietà incoercibili. A distanza di trenta, quaranta, cinquant’anni dallo scioglimento di quel gruppo extraparlamentare e di quel giornale. Un clan? “Per me è durata cinque anni Lotta Continua. Per Adriano Sofri otto. Se ci pensi è pochissimo. Quanti sono cinque anni nell’economia di una vita? Nella lunga vita di Adriano nemmeno un decimo. Così anche per me. E ancora adesso mi chiedo come possano questi cinque anni aver determinato così tanto. Non lo so.  Però è così.  Dentro Lotta Continua ho fatto le amicizie che mi sono trascinato per il resto della vita. Quelle importanti. A cominciare da Luigi Manconi. E poi da Massimo e da Gustavo, che sono i miei amicissimi”. 


 “Dentro Lotta Continua ho fatto le amicizie che mi sono trascinato per il resto della vita. Quelle importanti. A cominciare da Luigi Manconi”


Ancora adesso quelli che appartenevano a Lotta Continua si comportano come se ci stessero dentro. Solidarietà. Fratellanza. Complicità? “Ciò che teneva insieme quelle persone, noi, continua a esistere. Pur avendo perso ogni connotazione politica. Come se ad unirci fosse rimasta una sorta di inclinazione caratteriale”. Alcuni sono andati a destra. “Chi?”. Mica pochi. “Non mi pare”. Te li elenco? “Spara”. Paolo Liguori, Carlo Rossella, Carlo Panella…  “Ad alcuni di questi se gli dici che sono di destra si offendono”. Sparano? “Querelano”. Ma ce ne sono altri. C’è anche Nini Briglia. “Ma non è di destra!”. Direttore del Panorama di Berlusconi? “E’ complicato”. Insomma, mica tanto. “Guarda, Lotta Continua è stata una cosa unica in Italia”, dice Sinibaldi. E mentre ne parla gli brillano gli occhi. “C’era un misto di curiosità e pensiero eretico ed  eccentrico… Se ci pensi Sofri oggi è una delle poche persone che hanno seguito lo storico viaggio di Papa Francesco in Iraq. Lui. Sofri. Con la sua storia”. 

Ma cosa lega ancora tutte queste persone? Un fluido misterioso? “Forse è proprio perché si è sciolta presto. Questo ha salvato i rapporti umani. Io avevo 23 anni quando è finita Lotta Continua. Pensa che se fosse durata a lungo forse a un certo punto avremmo anche litigato. Invece non c’è stato il tempo”. O forse sono stati i vostri stupidissimi e bellissimi vent’anni, come diceva Montanelli di se stesso a proposito del fascismo: fummo giovani soltanto allora. Tra mille cose orribili. Violenza ideologica. Teste spaccate. Terrorismo. “Sembrava legittimo fare certe cose. Ci fu Piazza Fontana. In qualche modo venne abbattuta l’inibizione alla violenza. Io negli anni l’ho dovuta riscoprire l’inibizione per la violenza. Sono diventato un lettore di Aldo Capitini, e la non violenza la teorizzo e la pratico. Oggi. Mi vergogno ancora di aver schiaffeggiato un fascista quando ero davanti a scuola, al liceo”. Dove? “Al Mamiani. Qui a Roma. Liceo borghese che io figlio di un tramviere frequentavo. Me ne vergogno davvero di quello schiaffo. Anche se ritengo che l’antifascismo sia un valore. Un valore da difendere, ancora. Ad ogni costo… Ma la verità è che ho preso molte più botte di quante ne ho date”.


I socialisti “erano soprattutto un modello irriverente di politica. E per questo attirarono ciò che restava di Lotta Continua”


Poi dopo Lotta Continua c’è stato Reporter. Il giornale in cui LC incontrò Claudio Martelli e i socialisti. “Facevo l’inserto ‘fine secolo’, quello di Adriano. La cosa giornalisticamente più bella che abbia mai fatto”. Ma che facevi esattamente? “Ero redattore. Mi occupavo delle classifiche dei libri. Alla fine mettevo sempre una battuta. Una volta sul libro di Scalfari, che si intitolava ‘Andavamo a via Veneto’, scrissi così: ‘il Mondo non si è mai fermato un momento’. Era bello. C’erano Deaglio, Carlo Degli Esposti, Paolo Brogi…”. I soldi erano del Psi. “Sì. Pensare che una delle idee più alte che il mondo abbia concepito, cioè il socialismo, possa essere stata accostata, e con qualche buona ragione, a un’idea estesa di corruzione è una cosa straziante”. I socialisti mica erano tutti corrotti. “Certo che no. Erano soprattutto un modello irriverente di politica. E per questo attirarono ciò che restava di Lotta Continua… Pensa che alcuni di Lotta Continua sono poi diventati anche renziani, come Guelfo Guelfi. Perché anche Renzi è quella cosa lì: è quello che arriva e rovescia il tavolo. Quello che rompe i giochi. Rovescia l’esistente. Questo è molto Lotta Continua”. Un’ultima domanda, alla Marzullo: cosa significa andare in pensione? “Non lo so. Sono un pragmatista. Com’è che diceva Machado? ‘Viandante, il sentiero non esiste. Il sentiero si fa camminando’. Mi sa che anche Machado era di Lotta Continua”

Di più su questi argomenti:
  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.