"L'occidente che mi ha insegnato a essere libera oggi è considerato dannato"
Intervista alla scrittrice iraniana Abnousse Shalmani. “E’ una stronzata l’idea che un bianco non sia degno di tradurre una di colore. Un iraniano non potrebbe capire Balzac?"
Sei anni dopo che l’ayatollah Khomeini ha lasciato la villetta di Neauphle-le-Chateau, affacciata su Parigi, dove era vezzeggiato notte e giorno da giornalisti e intellettuali della gauche, per fare ritorno in Iran e instaurarvi una “Repubblica islamica”, Abnousse Shalmani fece il viaggio inverso. Abbandonò Teheran per rifugiarsi con la famiglia a Parigi. “Quando lasciammo l’Iran nel 1985, la guerra infuriava, Teheran era bombardata, la rivoluzione islamica stava prendendo piede in tutti gli strati della società. L’Iran era coperto di nero, i corpi sparivano sotto il velo, la sfiducia prendeva piede ovunque. In queste condizioni, se l’esilio è sempre una rottura, il mio è stato una liberazione. Improvvisamente, era possibile correre, ridere, vivere. Avevo solo otto anni, mio padre mi aveva promesso che saremmo andati nel paese di Simone de Beauvoir e io, che avevo sofferto tanto per aver indossato il velo e l’armamentario che lo accompagnava (vestito, pantaloni, soffocamento), avevo la sensazione di essere approdata nella vita reale. L’adattamento è stato duro, ma ricco. Assumere una nuova lingua e una nuova cultura, trovare la libertà di movimento e la libertà di parola, tutto questo ha contribuito al mio amore per la Francia. Il denaro era scarso, la vita quotidiana era dura, ma ero così felice”.
A parlare così al Foglio è la scrittrice iraniana in esilio a Parigi, Abnousse Shalmani, firma di punta dell’Express, autrice di numerosi libri fra cui “Khomeiny, Sade et moi”, in Francia tutti per Grasset, in Italia per Rizzoli. “Non so se posso parlare di orgoglio, ma quello che la civiltà occidentale mi ha regalato è soprattutto la libertà. Con questa libertà ho ridisegnato le mie radici, ho aperto la mente a tutti i venti e, di libro in libro, di film in film, imparando a conoscere, sono diventata quello che sono, senza mai sentirmi ostacolata, senza sentire il peso del proibito. Ciò che la civiltà occidentale consente è la possibilità dell’autorealizzazione. La lingua francese, tra le altre cose, mi ha dato accesso al mondo. Avendo ‘perso’ la mia lingua madre nella lotta per l’esilio, ho riscoperto la mia cultura originaria tradotta in francese… il cerchio si è chiuso”.
La Francia oggi è nella morsa degli islamisti che usano l’accusa di “islamofobia” come un randello. Hanno imparato dagli ayatollah iraniani. “Se la Francia è particolarmente colpita dagli islamisti è perché rappresenta tutto ciò che gli islamisti odiano. Quello che vogliono è distruggere la Francia e la sua storia, il suo universalismo e la sua civiltà. La tradizione della caricatura, la laicità, la libertà sessuale, l’arte di vivere… questo è ciò che fa arrabbiare gli islamici fino alla nausea. Gli islamisti disdegnano il presente terreno e promettono un fiume di vino e sesso su tutti i piani del loro paradiso. Non sanno nulla di edonismo, del sapore di interminabili pranzi, della bellezza della seduzione, della leggerezza e ancor meno della gioia di ridere dei dogmi, delle istituzioni, del Bene e del Male! Abbiamo dimenticato che la Francia non ha partecipato alla guerra in Iraq del 2004, abbiamo dimenticato le mostruose manifestazioni contro l’intervento americano. Quindi, dire che la Francia è ‘punita’ per i suoi interventi esterni è una sciocchezza. E immaginare che la colonizzazione sia la causa degli attacchi è altrettanto sciocco. La Germania o la Svezia non hanno un passato coloniale eppure sono colpite da attacchi terroristici”.
Charlie Hebdo, Mila, Samuel Paty, Didier Lemaire: sembra che Khomeini si stia vendicando sulla tomba. “Nel mio libro ho concluso che Khomeini non morirà mai. Khomeini non morirà mai perché ci saranno sempre donne e uomini che considereranno che la libertà degli altri ostacola il loro settarismo, donne e uomini che non possono vivere la loro fede, i loro ideali, senza punire gli altri per non condividerli, donne e uomini per i quali la visione della gioia degli altri è un insulto alla prigione che hanno volontariamente costruito per se stessi. Khomeini è stato esiliato per la prima volta dall’Iran per volere del clero sciita nel 1965. Lo hanno criticato per aver portato la politica nello spirituale. Ma Khomeini aveva letto l’egiziano sunnita Sayed Qutb, il teologo dei Fratelli Musulmani. Quest’ultimo aveva ricevuto una borsa di studio per studiare negli Stati Uniti negli anni Trenta. Ne ha tratto pagine allucinanti, come quando descrive l’orrore di vedere le donne ridere! Non si è più ripreso dalle gambe e dalle risate degli americani, uno spettacolo insopportabile, uno spettacolo offensivo per un uomo che vedeva nella libertà degli altri un attacco alla sua fede. Che i cittadini francesi chiedano l’omicidio di un insegnante dice quanto sia impossibile dialogare con i figli di Khomeini: non vogliono vivere con gli altri, ma contro gli altri. Quando chiedono che la loro fede sia rispettata, non dovrebbero essere creduti. Rispettare la loro fede significa annientare la vita degli altri. Quando gli studenti si sentono ‘feriti’ o ‘offesi’ e chiedono il divieto di conferenze o dibattiti, è la prova che sono inclusi nei divieti degli islamisti. Si rifiutano di ascoltare l’altro perché potrebbe mettere in discussione le loro certezze e questo è insopportabile. Dimostra anche la fragilità delle loro convinzioni… Gli islamisti non riescono a far vivere vite diverse dalla loro, incapaci di accettare strade diverse dal settarismo, incapaci di ‘vivere insieme’”.
Lei ha parlato del tradimento femminista. “Il femminismo è morto sotto gli assalti di un neofemminismo nutrito dall’ideologia degli islamisti, sostenuta dalle teorie di genere, nata negli Stati Uniti grazie alla decostruzione francese della ‘French Theory’, essa stessa nata dalle ceneri del fallimento del comunismo. Peggio ancora, il neofemminismo nega le lotte di ieri. Si rifiuta di lottare contro i matrimoni forzati, contro l’escissione, contro l’uso del velo obbligatorio. Dimentica le sue sorelle orientali. Dimentica, volontariamente, che la maggioranza delle donne al di fuori dell’occidente vive l’inferno del proprio sesso, dimentica che il famoso ‘patriarcato’ è morto in occidente da quarant’anni. Quando le neofemministe proclamano che il mondo smetterà di girare se le donne smetteranno di lavorare, beh, il risultato sarà lo stesso se gli uomini smetteranno di lavorare! La parità di retribuzione e la lotta alla violenza contro le donne sono oggi questioni fondamentali e stiamo facendo progressi ogni giorno! Dovremmo festeggiare e vedere i progressi compiuti. Invece, le neofemministe si sforzano di trasformare qualsiasi donna in una vittima perpetua, in una minorenne incapace di scelta, di libertà, ma sistematicamente soggetta a un’ipotetica influenza maschile. Sono esausta a sentirmi dire tutto il giorno e la notte che sono debole, che sono sottomessa, che sono nei guai per essere una donna. Niente è più sbagliato, niente è più scoraggiante, niente è più controproducente! Sono per un femminismo liberale e individualista che celebra la libertà, la scelta, l’alterità! Sono per vedere ogni donna uguale a ogni uomo, per applaudire i nostri successi e lamentarmi dei nostri fallimenti. Ma questo percorso si farà con gli uomini, lo si farà facendo appello alla ragione, alla logica, alla verità, e non attraverso fantasie e ingiunzioni contraddittorie, che riducono le donne al loro genere e le imprigionano nella valle delle lacrime”.
Critichi anche il “nuovo antirazzismo”. “Questo è un nuovo razzismo. Un razzismo che prende sempre meno l’abito illusorio dell’umanesimo per dispiegare un ideale segregazionista. Di cosa si tratta? Separare donne e uomini in base al colore, al sesso, alla nascita. Creare ‘spazi sicuri’ dove i ‘razzializzati’ siano protetti dai ‘bianchi’. Affermare che un uomo o una donna bianchi non possono tradurre uno scrittore di donne di colore. Immagina un mondo in cui, con il solo pretesto del colore della pelle o della nascita, sarebbe impossibile capirsi. Fingere che la questione sociale venga dopo la questione razziale. Ridurre l’alterità a pura somiglianza. Che stronzate! Un uomo di colore non avrebbe il diritto di godersi un film diretto da un uomo bianco? Una donna bianca non avrebbe il diritto di catturare la bellezza di una poesia di Aimé Césaire? Una donna di colore sarebbe insensibile alla bellezza dei versi di Lamartine? Un iraniano non potrebbe capire Balzac? Sarebbe divertente, se non fosse tragico. In questo momento in Francia si parla molto della guerra algerina, del trauma della guerra algerina, della questione della memoria, delle scuse o del pentimento. Ma così facendo creiamo confini tra algerini e francesi che non esistevano durante la guerra algerina. Perché c’era un gran numero di francesi che sostenevano l’indipendenza dell’Algeria, cittadini comuni, ma anche ‘portatori di valigie’ che aiutavano attivamente i separatisti; anche gli harkis, algerini che hanno sostenuto l’Algeria francese, erano una realtà e furono abbandonati da parte della Francia, il loro massacro da parte dell’Fln algerino è una vergogna comune tra Francia e Algeria. Dopo l’indipendenza ci furono i piedi verdi (i francesi che scelsero di prendere la nazionalità algerina), ma anche i piedi rossi (i francesi che in nome del socialismo si stabilirono in Algeria). Non pensiamo con il nostro colore della pelle, né con il nostro luogo di nascita, né con la nostra religione, né con la nostra nazione. Una donna o un uomo libero è in grado di scegliere il proprio destino, che è negato dal nuovo antirazzismo, che riduce gli uomini alla nascita, che glorifica il determinismo e così facendo cancella la possibilità della libertà. Il nuovo antirazzismo è una visione da incubo che ci riporta alle ore più buie della segregazione razziale in Sud Africa o negli Stati Uniti del sud”.
In molti circoli occidentali ora è di moda abbattere statue, cancellare nomi, processare il passato… “La storia non è né buona né cattiva”, dice Shalmani. “Essa è quel che è. Non guadagneremo nulla cancellando il passato, distruggendo i simboli, immaginando che una tabula rasa darà vita a un futuro luminoso. Sarà il contrario. E’ pigrizia intellettuale, nata da questo desiderio di mettere la testimonianza, quindi i sentimenti, prima della realtà. La Terza Repubblica in Francia voleva creare un collegamento diretto tra la Rivoluzione francese e la Repubblica e ha scelto di mettere Napoleone sotto il tappeto. Il che spiega perché ci sono così poche statue o nomi di strade intitolate a Napoleone… Questo ha cancellato Napoleone dalla storia? No. D’altra parte, ha troncato gran parte della cultura, della conoscenza. Che è imperdonabile. Cosa guadagneremo se non guardassimo negli occhi il passato, per quanto doloroso? Cosa succederà quando non ci sarà più traccia del passato degli schiavi?
Immagina: tra vent’anni, tra trent’anni, un padre camminerà con sua figlia che le chiederà di parlarle della schiavitù. Il padre proverà a farlo, ma non ci saranno più prove, niente più statue, niente più film… tutto sarà distrutto in nome del bene. Poi verranno le teorie che dicono che la schiavitù non è mai esistita. Distruggere le statue non trasformerà il passato, lo renderà meno comprensibile. Ogni erezione di una statua, di un monumento, contribuisce a comprendere il passato, il come, il perché. Ma soprattutto distruggere evita di pensare ai paradossi, alla complessità della realtà. E’ il regno dell’idiocrazia”.
Forse memore della fatica dell’esilio, Shalmani ha una tendenza persistente all’ottimismo. “Scommetto sul buon senso, sulla solidità della civiltà occidentale. Per usare il concetto di Nassim Nicholas Taleb, direi che la civiltà occidentale è anti-fragile. Che cresce dagli attacchi e diventa più forte. L’occidente è capace di mettersi in discussione, lo ha dimostrato più e più volte e questo è ciò che lo rende forte. L’Inquisizione fu oggetto di critiche radicali dall’interno, così come l’abolizione della schiavitù fu fatta in occidente, mentre la tratta degli schiavi arabi continuava e colpiva molte più donne e uomini, la colonizzazione fu messa in discussione nel cuore stesso dell’Europa: intellettuali, cittadini, politici hanno combattuto per l’indipendenza delle colonie. L’occidente è in grado di sopravvivere a questa ondata antistorica, antintellettuale, perché non può fare altrimenti. E’ una civiltà della resilienza”.
Si legge in “Censorship: A World Encyclopedia” a cura di Derek Jones, che “la rivoluzione islamica dell’Iran ha comportato la distruzione di cinque milioni di libri”. Esiste oggi un mercato nero di libri invisi al regime iraniano, specie attorno alle università. Ci sono “Lolita” di Vladimir Nabokov. Va da sé che l’Inferno dantesco, con la sua descrizione del Maometto dannato, sia proibito, sebbene Khamenei lo abbia letto, e ora anche in Olanda sia stato riscritto per compiacere i fanatici. Stessa sorte per “Cuore di cane” di Mikhail Bulgakov, una parodia del regime sovietico. E poi “Il giocatore” di Dostoevskij, “Mentre morivo” di William Faulkner e “Memoria delle mie puttane tristi” di García Márquez.
Khomeini andrebbe fiero della cancel culture che impazza nel liberissimo occidente.