È morto Luciano Ventrone, artista sublime che disegnava come un padreterno
La sua pittura ha fatto il giro del mondo, dall'Europa al Giappone. Ma per tutta la vita lui è rimasto fedele alla sua morale di artigiano per nulla ambizioso di vaneglorie
È morto improvvisamente il mio caro Luciano Ventrone. Un vuoto nel mio cuore. Lo conoscevo dal 1964, da quando, ragazzi sfrontati e scanzonati, frequentavamo in Valle Giulia i corsi universitari di Architettura. Disegnava, lui, come un padreterno. Lo ammiravamo tutti. Veniva dal liceo artistico. Viveva in ristrettezze. Fin da giovanissimo, per procurarsi un po’ di soldi, aveva lavorato negli studi di pittori affermati, tra questi Sante Monachesi, e aveva conosciuto tanti segreti del mestiere di pittore.
Ci separammo così prima del 1968, dopo i primi anni universitari, e lo incontrai di nuovo sul finire degli anni Settanta, quando ormai aveva precisato il suo stile con una capacità sorprendente di adesione al vero visibile tradotto in limatura del colore-luce fino al punto di ottenere il calco dell'effetto fotografico. Lo segnalò con favore mio padre sull’Europeo. Si accorse di lui Federico Zeri, che lo stimò eccellentissimo per primo, poi Paolo Portoghesi, infine Vittorio Sgarbi. In breve, ebbe fortuna lungo tutti gli anni Ottanta, fortuna da lui accolta con la mesta soddisfazione dell’artigiano che, come dice il poeta, “ha fede in quel che fa”. Poi, quando Paolo Portoghesi aprì una galleria “Apollodoro”, in Piazza di Spagna, Luciano volle comporre un quadro simbolico intitolato “La bottega dell’alchimista” in cui figurano Federico Zeri, Paolo Portoghesi, Bettino Craxi, Antonello Trombadori, e il sottoscritto, impersonante un lavorante alle segrete misture ordite dai “maestri alchemici”.
In questi decenni la pittura di Luciano ha fatto il giro del mondo, dall’Europa, alla Cina, al Giappone, alle Americhe, riscuotendo ovunque un enorme successo. Il suo strabiliante “pittoricismo del vero” non finirà di sorprendere e di essere ammirato come una preziosa e rarissima virtù.
Luciano era un semplice, di pochissime parole. Amava la famiglia e il lavoro cui si dedicava per tutto il giorno seduto al cavalletto trangugiando caffè, aspirando pacchetti interi di sigarette. E’ stato l’infelice destino del suo fisico così logorato a decidere della fine che lo ha colto nella sua casa di Collelongo, in Abruzzo, dove da più di venti anni si era ritirato a vivere, vicino al suo amico, ammiratore e umile allievo in pittura, il nostro Ottaviano Del Turco (cui in questo momento va il mio abbraccio più affettuoso, sapendo il sentimento suo verso il compagno perduto). Io so che l’Italia perde un maestro, che se ne va dopo avere lasciato tante preziose perle del suo scrigno visivo da custodire e tramandare. So che gli amici, e coloro che gli volevano bene, perdono un uomo onesto, generoso, semplice e discreto, che per tutta la vita rimase fedele alla sua morale di artigiano per nulla ambizioso di vanaglorie. So che tutti i conoscitori d’arte, tutti coloro che sanno distinguere la rarità scintillante della pittura, oggi avvertono una triste mancanza.
Abbraccio sua moglie Miranda, fedele assistente, assidua organizzatrice, fotografa e artista anche lei di rara qualità, assieme a suo figlio, ai familiari e a tutti coloro che in questo momento piangono Luciano, come uomo e come grande artista.