Non chiamateli saggi!
La saggistica come cassonetto del pensiero. Patacche, libri no vax. Meglio l'obiezione di coscienza
La classifica: al primo posto Scanzi, al secondo Murgia. Al decimo posto è entrato perfino il libro negazionista
Altro che saggi. Entrano nella classifica dei più venduti le croste di semivip e dei mezzi giornalisti. Banalità spacciate per lavori eruditi. Annusateli prima di prenderli: puzzano sin dalla copertina. I saggi sono altra cosa.
Roma. C’è una classifica che misura il peggio di quanto viene editato in questo paese. È il termometro del pensiero fritto, la scala delle banalità, la hit delle patacche. Stiamo parlando della classifica dei libri di saggistica. E’ un termine che generalizza e raduna istant book, cataloghi, manuali, biografie di presidenti dimissionari e dimessi e ovviamente anche quei testi che “saggi” lo sono davvero.
Ogni settimana sono questi lavori a essere sporcati da libri che tutto meriterebbero tranne l’etichetta di saggio. Con questa parola, che dovrebbe essere la più alta, si è finito per indicare il libro basso, il capriccio del giornalista, del cuoco, dell’influencer, del mezzo economista, dell’attore spiantato. Non è un’accusa alla buona divulgazione, quella rigorosa che non ha bisogno delle note a piè di pagina e che per fortuna sopravvive. E’ qualcosa di diverso. Per ogni buon libro che entra in questa speciale vetta ce ne sono infatti almeno quattro che lo coprono e lo ammorbano. Non sono neppure varianti del “saggio”. Sono solamente spazzatura. Non è una novità. E’ vero. Ma adesso si esagera.
In Italia, la saggistica si sta sempre più rivelando il cassonetto della serietà e non più lo scaffale dell’intelligenza. Vi domandate: perché ve ne occupate solo adesso? Perché c’è qualcosa di cui il Foglio va fiero. Aver smascherato un libro negazionista e un’altra di cui bisogna preoccuparsi: quel libro è entrato nella classifica “saggi”. E’ al decimo posto. Ma cosa si può dire del primo? Sul podio c’è un giornalista che l’anno scorso, in un video, urlava che il virus “non era altro che un raffreddore” salvo poi scrivere un “saggio” sui “cazzari del virus”, gli eroi chiacchieroni della pandemia. Un lavoro scientifico, come si dice, un saggio, si sarebbe dovuto occupare di lui. Un secondo “saggio” andava invece dedicato ai furbi che si sono vaccinati. L’autore è uno di questi. Con che coscienza si può ancora annoverare tra i “saggi”? Come si possono spacciare per inchieste le anti inchieste? Come è possibile salutare diarietti banali e farne manifesti del nuovo femminismo?
Sono libri che si impongono con la forza della televisione e che fanno arrossire di vergogna gli uffici stampa che non hanno neppure bisogno di promuoverli. Si risponderà: vendono. Si replica: vendono perché sono gadget ma, per carità, non chiamateli saggi. L’Italia ha una tradizione saggistica e non è una questione di Superlega come nel calcio. Il Mulino, Carrocci, Marsilio, Fazi, Bollati Boringhieri, Quodlibet, Hoepli, sono editori di grandi saggi. Ma è falso dire che i grandi editori (di dimensione) non pubblicano i buoni saggi. Einaudi ha da poco mandato in libreria due saggi formidabili, “La moda delle vacanze” di Alessandro Martini e Maurizio Francesconi. L’altro è “La Spia intoccabile” di Alessandro Pacini. Mondadori ha ripubblicato un classico di Enzo Mari “25 modi per piantare un chiodo”.
Sono lavori costati ai loro autori anni e studi ossessivi. Basterebbe che gli editori credessero più a questi anziché farsi travolgere dai libri degli sprovveduti. Ne possiamo consigliare altri. “Bestiario nazista” sull’importanza degli animali nel Reich. “I perfezionisti”, una storia della precisione, il racconto di uomini che hanno inseguito l’ingranaggio di Dio. “Il movimento del mondo” di Parag Khanna sull’umanità in cammino malgrado il contagio.
Nessuno vuole impedire la circolazione di questi libracci che puzzano dalla copertina, ma è giusto che i tipografi e i librai abbiano la possibilità dell’obiezione di coscienza con ristoro (e per decreto). Il rifiuto di inchiostrare la parola saggio e di non collocarli nello scaffale saggistica. Via libera ai testi degli imbecilli ma è “saggio” chiamarli imbecilli.