Le ombre sullo Hudson dello sfacciato Singer
Amanti e bugie, partenze e ritorni. Un libro che raddrizza le giornate storte ed è anche lungo
“Sex and the Singer”. Con il senno di poi, un gran bel titolo per il saggetto che anni fa – anni e anni fa – meditavamo di scrivere su Isaac Bashevis Singer. Colpa dei suoi racconti, sensuali a dispetto delle reticenze: c’era sempre qualcosa di passionale e proibito, tra sensali di matrimonio, rabbini, parrucche, bagni rituali, tentazioni e demonietti. Non avevamo ancora letto Ombre sullo Hudson, scritto in yiddish e uscito negli anni Cinquanta a puntate su una rivista newyorchese (ce n’era più di una, a servire la comunità degli ebrei immigrati dall’Europa, come c’erano i teatri e c’erano i film: Edgar Ulmer, regista di culto per il noir “Detour”, ne girò almeno quattro, uno intitolato “The American Matchmaker”).
Non lo avevamo letto perché l’edizione del romanzo per i non parlanti yiddish arrivò solo nel 1998, venti anni dopo il premio Nobel per la letteratura, sette dopo la morte di Isaac B. Singer. Esce ora da Adelphi, nella nuova traduzione di Valentina Parisi (nel 2000 l’aveva tradotto Mario Biondi per Longanesi). In quel saggio che mai scriveremo ci sarebbe stato splendidamente. Rispetto ai racconti è anche più sfacciato, forse per questo è rimasto nascosto per un bel po’.
New York, Upper West Side, un salotto al quattordicesimo piano arredato come a Varsavia. Hertz Grein – ospite a cena, sposato con figli e già provvisto di un’amante – fa la corte a Anna, anche lei sposata. Il marito è lì, tra gli altri invitati che un po’ si interrogano sul senso della vita e un po’ sbirciano le manovre di avvicinamento. Anna siede accavallando le gambe, la gonna sale e quasi scopre il ginocchio (siamo alla fine degli anni Quaranta). Grein osserva il polpaccio, come ipnotizzato. Singer coglie l’attimo meglio di chiunque altro, a riassumerlo si fa danno: “Dopo un po’ Anna abbassò l’orlo del vestito, ma solo di un paio di centimetri, come un mercante scaltro. Rivolse uno sguardo interrogativo al marito, quasi per chiedere: perché è così incantato? Non ha mai visto una gamba femminile?”. Ecco cosa aveva in mente René Girard, quando teorizzava “il desiderio triangolare”. Desideriamo quel che un altro desidera, o ha già desiderato.
La coppia è abbastanza sfasata, con una storia alle spalle. Grein era il precettore di Anna, che ha venti anni meno di lui, e già ne era un po’ innamorata. Sposa invece l’attore Yasha Kotik, e successivamente Stanislaw Luria, che appunto osserva il gioco di sguardi, orli e ginocchi. Anna e Grein lasciano la cena insieme, una fuga d’amore in piena regola – altro non si può fare quando “una corrente sembrò trasmettersi tra i loro cappotti, capace di infiammare il cuore e il midollo di un desiderio irrefrenabile”. La moglie Leah è abbastanza abituata alle bugie del marito, non così l’amante Rachel.
Sono polacchi, fuggiti a New York. Sopravvissuti, ma l’Olocausto rimane nella mente e nelle parole: parenti e conoscenti scomparsi, ripetute discussioni sul silenzio di Dio. Discorsi sui massimi sistemi che nel caso dell’adultero Grein si intrecciano con i rari momenti di pentimento. Congeda un’amante, lascia alla stazione la valigia per partire con l’altra, e si chiede: siamo scampati alla morte per combinare questi pasticci? Quando il primo marito, Yasha Kotik ricompare, usa le doti da saltimbanco e intrattenitore per raccontare l’Unione sovietica.
In Concupiscenza libraria, Giorgio Manganelli scrive che i libri di Isaac B. Singer gli cambiano l’umore, gli raddrizzano le giornate storte, gli fanno passare le paturnie. Con parole sue, “lo stigrano”. Tutte qualità garantite e certificate. Altro pregio: Ombre sull’Hudson è un romanzo bello lungo.