L'intervista

Benvenuti a Casa Bertallot

Dagli anni '90, quelli di Bside a Radio Deejay, ai giorni nostri, tra Spotify e podcast per abbonati, "like che hanno un peso specifico". Il deejay come guida umanistica, a compensare quella dell'algoritmo. La radio, "quella voce che hai dentro". Il basso e la Timbrica. L'Elettronica, il jazz e il punk. Una chiacchierata musicale

Maurizio Baruffaldi

Il casino della circonvallazione si spegne appena entro: Alessio Bertallot mi accoglie in una di quelle corti dove Milano si nasconde e produce. Il silenzio è lo spazio per poter pensare, diceva un verso di ‘Zitti Zitti’, brano con il quale i suoi Aeroplanitaliani atterrarono nel lontano ‘92 sulla pista di Sanremo, e l’atmosfera scelta per l’ appartamento dove tutto succede (casa, radio, studio, laboratorio) lo ribadisce. Sui pavimenti in legno e larghi tappeti domina lo spazio, sincopato da divani e sedie dal design asciutto e colorato. All’ingresso, di fronte alle possenti e affiancate consolle, un lucido jukebox. “Tutto molto anni ‘90” dice, mentre nella cucina a vista prepara una moka. Gli anni ’90, quando su Radio Deejay iniziava la sua avventura radiofonica, selezionando per Bside la faccia in ombra della musica, il meglio e il nuovo d’elettronica e dintorni. “Linus mi offrì un programma. Chiesi se la musica potevo sceglierla io. Ci pensò un attimo e disse Sì. Nel ’96 c’era fibrillazione, soprattutto dall’Inghilterra, e il ‘non mainstream’ era facile da esplorare. La formula è quella di non dare alla gente ciò che vuole, ma quello che non sapeva di volere” Alla lunga cavalcata di Bside seguirà una parentesi ricca e controversa in Rai, un po’ radio un po’ Tv, per poi tirare le somme e inventare lo spazio aperto di Casa Bertallot. Radio senza pubblicità. Il deejay libero di essere segugio e inventare incroci di linguaggi. “E adesso c’è la sua versione futurista, che è una produzione di podcast: puntate mirate, con brani, interviste, racconti.” Potremmo definirli documentari sonori? “Sì, ci sta. Fruibili attraverso l’abbonamento. Mi incoraggia molto il rapporto concreto. Sai che ti hanno scelto e che ti vogliono. È un like che ha peso specifico. E devi dimostrare sempre di essere all’altezza”.

 

 

Partiamo da dove si è presa la rincorsa: quei 30 secondi di silenzio sul palco di Sanremo. “Non dovevano essere troppo pochi da sembrare un errore, né troppo lunghi da far sembrare che fosse finito il pezzo. Lo rifarei domani. È stato un’esibizione punk. Cambierei solo i vestiti”.

 

 

Lo capisco. Cos’è punk oggi? “Non so… Non credo di vederlo. Non c’è spazio per quell’ingenuità. C’è la parte cinica, nichilista, ma è calcolata,. Sembra un paradosso, ma l’ingenuità, lo slancio sono alla base dell’atteggiamento punk”.

 

Dalla generazione del disco comprato e consumato fino alla nausea al tutto e subito. Cosa deve fare la radio al tempo di Spotify?

“In questi contenitori il tanto diventa troppo; l’utente non si orienta e non esplora, viene al massimo guidato ad ascoltare il simile. La cultura della radio, che comprende anche la responsabilità, il dovere di essere onesti, va portata dentro queste piattaforme. Le tecnologie cambiano il nostro modo di fare musica e i nostri atteggiamenti, ma c’è una componente antropologica che determina il loro successo: devono comunque incontrare/incrociare la natura profonda dell’uomo, per affermarsi.” Mentre parla muove le mani come se stesse impastando l’aria, e al dunque della riflessione le apre verso l’alto, come per farla evaporare.

 

 

Il deejay come guida umanistica, a compensare quella dell’algoritmo.

“Certo. Anche se deejay è un termine che vale fino agli anni ’90. Da chi conduce la musica ormai ti aspetti, oltre alle scorciatoie, che racconti cosa c’è dentro, dietro, il brano che stai ascoltando. Nei due anni come direttore artistico del servizio di musica streaming TIMmusic ho inserito queste voci, elementi che espandono l’ascolto. Ti muovi nel senso del tempo e in quello dello spazio: scegli quello che vuoi e quando vuoi; poi ti allarghi e approfondisci".

 

Mi chiede un minuto per rispondere a una mail di Alessandro Baricco. “C’è questo spazio all’aperto, molto bello, che ci ha chiesto una performance vera, in presenza. Sembrerebbe che si ricomincia….” La scaramanzia è d’obbligo. Con lo scrittore ha ideato PLAYnovecento, crossover fra playlist e romanzo, DJ e scrittore, ascoltabile su Spotify. Baricco/Bertallot: suona bene, fa groove.

 

 

Come accompagni la narrazione? “Seleziono per mood. La musica deve stare indietro, ma deve essere significativa, aggiungere comunque. Non deve scivolare innocua.”

 

 

Terminiamo la visita alla Casa salendo la scala di ferro che porta a un terrazzino tra i tetti. Uno sfogo che l’ha salvato nel lungo lockdown. “Un momento grigio. Molto grigio. Mi hanno aiutato anche gli scrittori che Alessandro Baricco mi ‘forniva’ per un programma radio ideato insieme, ‘Fiesta Immobile’. Insomma, avevo gente a casa lo stesso.”

 

 

Con RaiTunes, la radio (“medium leggero, sgravato dall’immagine”) hai incontrato l’immagine cannibale della Tv. Una rapida dicotomia tra i due medium. “La radio è la voce che hai dentro, intima. Un po’ come un libro. La tv è l’esterno, il bosco. Ti porta a perderti. Può essere un viaggio nuovo, di scoperta, come può inghiottirti e spegnerti.”

 

Nel tuo caso com’è andata? “Direi bene, tanta scoperta. Oltre agli scrittori, tipo Amélie Nothomb, a RaiTunes abbiamo ospitato pittori e disegnatori, grandi fotografi come Gabriele Basilico, che arrivò con una serie di foto di palazzi. Mi chiese solo se preferivo fossero di città di mare o senza. Mare, of course. Un’altra esperienza unica e straniante, è stata con il professore Marco Cadioli, che ci portò in viaggio con lui su Google Earth. E anche i dati di ascolto viaggiarono.”

 

Non finì però benissimo, la Rai si mosse sui contratti come l’elefante in una cristalleria. Ma il rewind finisce qui.

Casa Bertallot è stato un approdo naturale. La sostengo, è la mia vetrina, grazie a lei mi chiedono progetti particolari. Ovvio che dietro c’è una grandissima fatica. C’era già prima del lockdown, si è moltiplicata in questo anno zero. Le persone ne hanno bisogno, ma quando poi bisogna anche dargli un valore, la musica diventa un bene minore. Non necessario. Eppure basterebbe pensare a quanto influisca sull’educazione dei ragazzi!”.

 

 

Penso alle mie figlie, ai loro amici. La musica è sempre, ovunque, respira con loro. Non potrebbero nemmeno considerare, di starne senza. Quello che pensano, quello che sono, è anche ‘colpa’ della musica.

 

 

Com’è la convivenza con gli altri conduttori dei programmi di Casa Bertallot? “Sono famiglia” risponde. Non gli viene altro. E mi invita a osservare nella parete di fianco al nostro divano un Johann Sebastian Bach in bianco e nero fumoso che si esibisce, anche lui, alla consolle. Il graffito è frutto della bomboletta di Eron, artista di Rimini che Alessio considera importante come Bansky. Ci tiene a mostrarmi sul portatile le sue opere. Come fosse anche lui uno della sua famiglia.

 

 

Quindi ci perdiamo un po’ nel bosco filosofico del suono, “la cosa che viene prima”, del silenzio, “che non esiste”, e della musica tutta, come “taglio nella tela, una porta sull’altro mondo. La mosca sbatte contro il vetro, quando poi si accorge che la finestra è aperta è una rivelazione.” Dal tavolo prende un libricino e me lo passa. ‘Favole erudite per vecchi bambini’, di Mark Twain. Da queste pagine, arriva la metafora con la mosca. A me basta il titolo del libro: ci leggo la didascalia di ogni poetica.

 

 

Uno strumento su tutti. “Il basso. Ha cambiato la musica degli ultimi decenni: percussivo e melodico, fa la canzone, riempie la scena dove non c’è cantato”.

Per poi finire a parlar di Timbrica, parola che Alessio pronuncia come se la assaggiasse. “Prima di quella fibrillazione che dicevo, la timbrica era diventata quella della batteria elettronica. Non aveva dinamica. Pensa a quante migliaia di sfumatura ha il battere della bacchetta sul piatto: resettato tutto. Quella poca espressività era diventata un’estetica, quella degli anni ’80. L’orchestra ti dà un senso di profondità e grandezza perché sono sì tutti belli accordati, ma saranno sempre, anche impercettibilmente, sfasati. Nelle imperfezioni stanno le ricchezze”.

 

Chiudiamo con l’imperfezione di un rimpianto. “La preparazione su come funziona il mondo per i musicisti. Troppa ingenuità e troppo coraggio li paghi”.

Non è un paese per punk.

Di più su questi argomenti: