Il risveglio di Franco Battiato
Un altro inizio, secondo G.I. Gurdjeff e secondo il suo grande allievo siciliano, che negli ultimi tempi preferiva viaggiare standosene a casa
La resurrezione dei morti, la resurrezione dei vivi (che veramente vivi non sono stati mai). Era ancora l'epoca dello sperimentalismo (Fetus, Pollution, i primi '70), Franco Battiato raccontava a Elisabetta Sgarbi di un festival improvvisato in un parco, ore antelucane. Gli spettatori stavano ancora dormendo nei sacchi a pelo sugli stuoini, sparsi sul pratone. Battiato sale sul palco e mette mano ai sintetizzatori. Al suono delle progressioni gli astanti si sollevano con lentezza da zombie, nemmeno troppo scandalizzati a leggere l'intervista pubblicata su un numero di Linus del 2020 dedicato al maestro. I'd love to turn you on - quanta meravigliosa arroganza.
Perché dormivano, anche quando erano svegli. Erano forme della luna, illusioni della verità, anche politicamente: Battiato racconta all'amica che frequentava il cosmo della sinistra contestataria ed extraparlamentare di quegli anni soltanto perché nella teorizzata fusione di vita e politica radicalmente altra veniva dato spazio a ogni tipo di esplorazione artistica; aveva sempre rifiutato il nuovo conformismo militante (anche se a vedere il retro di copertina di Pollution, da come era vestito, sembrava voler incarnare il target di una ricerca di mercato sui gggiovani, detto con affetto). Del resto anche lui stava cercando di svegliarsi.
Retrospettivamente quella scena deve aver acquisito nel ricordo una dimensione profetica. Nel 1975 Battiato lesse “Frammenti di un insegnamento sconosciuto” di Ouspensky e scoprì Georges Ivanovic Gurdjeff, il maestro di origini armene che predicava il risveglio alla vita e la 'creazione' dell'anima, anche attraverso rigorosissimi balletti dal sapore sufi (vedere “Voglio vederti danzare”). Proprio per questa idea – che l'anima la si potesse creare con la volontà -, alcuni ex allievi del nucleo originario parigino dissero che negli insegnamenti di Gurdjeff “si sentiva odore di zolfo”. Per Gurdjeff Proust e Napoleone, per dirne due, erano due “gros cons”, tant'è che uno degli allievi, orgogliosamente, quando il maestro chiese ai presenti di darsi un titolo che rispecchiasse le loro mancanze, si dette del mezzo-coglione.
Anche riguardo allo sterco del diavolo il filosofo armeno aveva idee originali: sosteneva che se uno aveva la capacità di fare soldi, allora tanto valeva che li facesse. E Battiato lo prese sul serio: è così che spiega in alcune interviste la svolta New Wave, molto nazionalpopolare, de “L'era del cinghiale bianco” e il vero primo successo commerciale de “La voce del padrone”. Meno male che ha preso Gurdjeff sul serio. Bisogna esprimere tutto ciò di cui si è capaci, solo così si costruisce se non proprio un'anima una memoria. Le sue canzoni sono state la colonna sonora di milioni di estati.