Ora il giallo è il colore della speranza
Da augurio di ricchezza a segno di avidità, fino alla zona Covid: le alterne fortune di una tinta
Giallo speranza. Almeno ora che il colore delle regioni si è uniformato a questa tinta, come se nella tonalità si materializzasse l’attesa agognata della fine del grande spavento. Vero che nella scala dei colori pandemici è il bianco che segnala il rischio minore, ma è introduzione successiva, il giallo c’era da prima. Essere gialli era una gran conquista, la cosa che si avvicinava di più a quella che consideriamo (o consideravamo) normalità.
Giallo speranza, anche se è stato mai così, ma tant’è. Quello era prerogativa del verde. Nella colorazione del Covid, almeno in Italia, però, questo colore non è stato preso in considerazione, quindi nessun conflitto cromatico.
Ogni epoca vede ciò che vuole nei colori, dà loro un senso e un significato, li usa come specchi di credenze, di superstizioni. Semplifica. Così è da sempre. Non sfuggono a questo neppure i giorni nostri, che si dicono scientifici salvo poi abbandonarsi a ogni tipo di credenza magica.
Ci sono colori che non hanno subìto grosse variazioni di accezione nel corso dei secoli. Per altri è andata diversamente. Sono entrati in un’ondivaga attribuzione di senso. Il giallo rientra in quest’ultima categoria, è un colore pieno di contraddizioni. Più l’umanità è progredita, più la società è diventata complessa, più veniva introdotta una struttura valoriale e di significato stratificata, più il giallo veniva messo in un angolo, accantonato dalla grazia dei tempi. Il giallo è stato fregato dal progresso. E’ finito sotto una gogna che oggi definiremmo mediatica. E pure giudiziaria, che il senso ai colori l’hanno sempre dato le classi dirigenti, influenzando il popolino.
Era facile per il giallo quando le credenze si adeguavano alla natura. Era il colore del sole, della fiamma, cose positive, senza le quali non si andava avanti. Per i popoli mesopotamici era il massimo. Colore divino per definizione. Per gli egizi era ricchezza e prosperità, un augurio. Un drappo giallo era simbolo di buone notizie e buon augurio, pure i faraoni ne facevano un gran uso. E’ andata così fino ai greci e ai romani, anche se preferivano l’oro. S’erano fatti raffinati. Celti e germani invece si affidavano alla tinta classica, di certi formalismi cromatici gliene fregava il giusto, ossia poco.
Il giallo è stato fregato dal cristianesimo, soprattutto dal cattolicesimo. Una religione monoteista doveva d’altra parte fare tabula rasa, o quasi, delle superstizioni di quelle pagane. Il giallo finì in mezzo al calderone del cambiamento. Divenne tinta di un vizio capitale: l’avidità. Non bastasse questo divenne pure la tonalità del tradimento, della truffa e della menzogna. Gialla era la veste di Giuda. Gialle quelle che erano fatte indossare ai falsari mentre venivano portati alla gogna. Qualcosa di tutto questo è arrivato fino ai giorni nostri. Meglio evitare di regalare una rosa gialla: gelosia.
Non va così in Africa, in Asia o in Sud America. Ognuno ha le credenze cromatiche che si è costruito.
A volte ci vuole poco per eliminare le superstizioni legati ai colori. Bastano pochi anni. Come accadde in Francia. Per tutto l’Ottocento il giallo era evitato peggio della pesta. Portava sfiga. Colpa dei Montagnardi e del fallimento della loro versione della rivoluzione. Poi arrivò il Tour de France, il 1919, l’introduzione della maglia gialla come simbolo del primato. Divenne un sogno, si dimenticarono tutti della sfortuna che si supponeva portasse.
Da noi giallo è pure colore del crimine, o meglio, della scoperta del crimine. Romanzi gialli, racconti gialli, film gialli. Ci sono qui, non ci sono altrove. Merito o colpa della Mondadori che di questa tonalità colorò le copertine di questo genere letterario.
Il Covid-19 ha cambiato qualcosa. Ma per come è sempre andata il giallo è meglio che non ci creda troppo a questo cambiamento. Il bianco è già pronto a sostituirlo. Poco male, non se ne crucci. Rimarrà per sempre il colore di Marco Pantani. Questo non glielo potrà sottrarre nessuno.