Il cavallo savio dell'avanguardia
Il teatro ricercatore di Giuliano Scabia
È morto a 86 anni un protagonista delle scene (e delle idee) che hanno cambiato la cultura teatrale. Dal Gruppo 63 ai malati psichici di Basaglia fino al Dams
Era il volto buono di quel mondo della ricerca - definizione che ha nobilitato fino all’ultimo col suo lavoro - che certi stereotipi vorrebbero sempre e per forza popolato da incompresi, insoddisfatti e arrabbiati in perenne stato di agitazione. Aveva gli occhi che ridevano e insieme si posavano gentili e curiosi sull’interlocutore in cerca di una parola saggia. Lui era lì, sempre pronto ad ascoltare, parlare, spiegare, entusiasmarsi come quel fanciullo che portava sempre dentro di sé. Mancherà, e molto, al nostro piccolo mondo allo sbando Giuliano Scabia, che ci ha lasciato oggi a pochi passi dai suoi 86 anni (era nato a Padova il 18 luglio 1935). Sperimentare, aprire nuove strade insieme etiche ed estetiche, mettere in moto cervelli e cuore di chi lo circondava è stata la sua missione, al di là delle definizioni che si possono dare di lui e che dicono che Giuliano Scabia è stato tutti i nomi in locandina del teatro - autore, attore, regista, animatore, docente e formatore - ma anche poeta e romanziere.
Una lunga vita, sempre in movimento intellettuale, di cui si possono isolare tre momenti. Il primo ci riporta alla Biennale di Venezia del 1965: il 30 settembre, all’interno del XXIV Festival internazionale della prosa va in scena uno spettacolo dal titolo stranissimo, che è però anche un programma poetico. Lo spettacolo infatti si intitola “Zip Lap Lip Vap Mam Crep Scap Plip Trip Scrap & la Grande Mam” e manda in tilt le coordinate del teatro italiano dell’epoca (la vicenda è ben raccontata da Marco De Marinis nel suo fondamentale saggio “Il nuovo teatro 1947-1970”, Bompiani). Con la regia di Carlo Quartucci, le scene di Emanuele Luzzati e le interpretazioni, tra gli altri, di Leo De Berardinis, Claudio Remondi, Cosimo Cinieri e Rino Sudano, appare sulla scena un’inedita creazione al cui interno scrittura drammaturgica e scrittura scenica, testo e messinscena, si realizzano comunitariamente, fondendosi insieme in maniera organica. E, fatto non secondario, la preparazione di “Zip” - che può essere considerato l’esordio dal punto di vista testuale dell’avanguardia italiana - rappresenta il primo esperimento produttivo tra l’ufficialità di un teatro stabile, quello di Genova, e lo spontaneismo, anche organizzativo, dei nuovi gruppi, in questo caso il Teatro Studio di Quartucci. Insomma, è come se Scabia, che è stato anche uno dei protagonisti del Gruppo 63, con questo spettacolo aperto e collettivo avesse intuito in anticipo alcuni temi che saranno poi portati alla ribalta dal Sessantotto, stagione di cui peraltro colse anche gli elementi di contraddizione. Sono questi poi gli anni di “Visita alla prova dell’isola Purpurea” e di “Scontri generali”, esperienze che gli procurano purtroppo insanabili contrasti col teatro ufficiale e con le logiche politiche che lo governano.
Il secondo momento fondamentale nella biografia artistica di Giuliano Scabia arriva dopo le esperienze dei laboratori nei quartieri operai dell’ “autunno caldo” di Torino e le azioni teatrali con i giovani in Abruzzo. È il 1973 e all’ospedale psichiatrico di Trieste, diretto da Franco Basaglia, mette in scena “Marco Cavallo”, frutto di un laboratorio durato mesi con i pazienti e gli operatori sanitari. L’immagine di quell’animale alto metri, affinché fosse visibile da tutti, continua a essere ancora oggi la migliore rappresentazione della necessità di abbattere i muri della diffidenza verso il “diverso”, credo definitivo dell’arte di Scabia. L’anno prima aveva visto la nascita, a sintesi del lavoro in Abruzzo, di “Forse un drago nascerà”, manifesto del cosiddetto “teatro vagante”, fatto da folletti visionari come lui fuori dalle strade istituzionali, alla ricerca di nuovi e altri percorsi costruiti su immagini e parole mai viste e neppure intrecciate prima. E il 1972 è pure l’anno in cui ha inizio la terza tappa decisiva per Scabia: l’insegnamento di Drammaturgia al Dams di Bologna, portato avanti con entusiasmo per oltre tre decenni. Ma in questo caso, oltre al ricordo de “Il gorilla quadrumàno”, saranno i sentimenti dei suoi tanti studenti a tenerne accesa la fiamma della memoria.
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