Scena dalla Tempesta di Shakespeare; William Hogarth; circa 1735 

Così la cancel culture fa strame di libri e autori

Giulio Meotti

 Se le scuole sono arrivate a bandire Shakespeare, figuriamoci i contemporanei. È una lista immensa di proscritti 

Impossibile prefigurare dove si fermeranno visto che un editore olandese ha appena manipolato l’Inferno dantesco per salvare Maometto, e William Shakespeare è stato rimosso da alcune scuole americane… Le autorità di Tucson,  Arizona, hanno deciso di vietare “La tempesta” in classe e di rimuovere il libro dalle biblioteche scolastiche. Spiega il Wall Street Journal che questo è successo perché uno dei protagonisti è Calibano, uno schiavo nero su un’isola governata da Prospero, il duca di Milano in esilio. Un numero importante di insegnanti si rifiuta di studiare il Bardo, accusando le sue opere di promuovere “misoginia, razzismo, omofobia, classismo…”, racconta lo School Library Journal, secondo cui in molte scuole si stanno abbandonando “Amleto”, “Macbeth” e “Romeo e Giulietta” per “fare spazio a voci moderne, diverse e inclusive”.

 

“Shakespeare era uno strumento utilizzato per ‘civilizzare’ i neri nell’“impero inglese”, ha detto la studiosa di Shakespeare Ayanna Thompson, professoressa all’Arizona State University. Gli insegnanti devono anche “sfidare la bianchezza” nelle opere di Shakespeare, spiega Jeffrey Austin, che è a capo di un dipartimento di letteratura inglese in Michigan. Un insegnante di una scuola pubblica dello stato di Washington, Claire Bruncke, ha bandito Shakespeare dalla sua classe per “allontanarsi dalla narrativa di uomini bianchi, cisgender ed eterosessuali”.  

 

 

La cancel culture non conosce confini. “L’industria dei libri è diventata un rogo di libri”, scriveva Kyle Smith sul New York Post di qualche giorno fa. Non si contano i casi di censura avvenuti nell’ultimo anno, proprio nell’anno in cui i giganti dell’intrattenimento e dell’informazione hanno fatto record di incassi. La casa editrice Rowman & Littlefield ha ritirato la biografia di un imperialista britannico, “The Last Imperialist: Sir Alan Burns’ Epic Defense of the British Empire” di Bruce Gilley. Il libro è al macero. Il libro di Julie Burchill, che doveva essere pubblicato da Hachette, è stato stracciato dopo l’accusa di “commenti islamofobi” sui social. “Welcome to the Woke Trials: How #Identity Killed Progressive Politics” aveva già la copertina pronta. Barnes & Noble, la più grande catena americana di vendita di libri al dettaglio, con il colosso editoriale Penguin Random House, aveva lanciato una nuova edizione di cento classici dove non si faceva più cenno al colore della pelle dei protagonisti e con una nuova copertina speciale: Dorothy del “Mago di Oz” diventa di colore e indossa un vestitino rosa, come sono di colore “Frankenstein” e “Romeo e Giulietta”. Le accuse di razzismo hanno mandato al macero la collana. Le traduzioni catalane e olandesi delle poesie di Amanda Gorman da parte di Victor Obiols sono state commissionate, eseguite, pagate e poi cancellate dopo l’accusa che un bianco non era degno di tradurre una scrittrice di colore. Sei titoli del “Dr. Seuss”, il più famoso e venduto fumettista americano, sono stati mandati al macero. Le vecchie copie sono scomparse da eBay. Giudicato “razzista”. “When Harry became Sally” di Ryan Anderson, un saggio critico dell’ideologia transgender, è stato bandito da Amazon, che esce dalla pandemia rafforzato come il re del commercio internazionale. Un volume della popolare serie per bambini di “Capitan Mutanda” è stato eliminato. “Peter Pan” è stato rimosso dalla Biblioteca pubblica di Toronto. 

 


Si cancellano i libri e le persone. “Puoi essere cancellato per aver citato uno studio scientifico. Puoi essere cancellato per credere nel sesso biologico. Puoi essere cancellato per aver detto che il tuo paese non è razzista. Puoi essere cancellato per il tweet sbagliato. Puoi essere cancellato per aver criticato Black Lives Matter… E’ lo slogan che campeggia sul sito “Canceled People”, un nuovo database che raccoglie le vittime della cancel culture che da un paio d’anni divampa nelle società occidentali. Sono già 186 e viene aggiornato ogni giorno. Nel database si spiega che non è stato incluso chi ha usato espressioni razziste contro persone specifiche o negato l’Olocausto, ad esempio. Si è considerati “cancellati” per aver espresso una opinione ragionevole ma considerata ormai “blasfema” dal mainstream. Ci sono importanti giornalisti come Andrew Sullivan, che si è dovuto dimettere dal New York Magazine per le sue critiche a Black Lives Matter, Adam Rapoport editor di Bon Appétit solo per aver indossato un cappello portoricano a Halloween, la scrittrice Gillian Phillip per aver espresso solidarietà sul gender a J.K. Rowling, l’ingegnere di Google James Damore per aver criticato la “cassa di risonanza ideologica” della propria azienda sul gender, il ricercatore Noah Carl per aver criticato le politiche sull’immigrazione, la saggista di origine somala Ayaan Hirsi Ali cui è stato impedito di parlare a una università, l’economista Herald Uhlig per aver criticato Black Lives Matter, il Premio Nobel inglese Tim Hunt la cui carriera è stata distrutta per aver fatto una battuta sessista,  la storica di Oxford Selina Todd per aver difeso la realtà del sesso biologico, il professore della New York University Michael Rechtenwald per aver criticato gli “spazi sicuri” nelle università, l’intellettuale marxista afroamericano Adolph Reed per aver criticato le ossessioni della sinistra dell’antirazzismo… 


Non sappiamo se e quando finirà. Peter Boghossian, docente di filosofia all’Università di Portland che con due colleghi si è fatto beffe dei gender studies piazzando venti “bidoni” per mostrarne l’inconsistenza, ha appena detto che la cancel culture è una minaccia per la civiltà occidentale. “Non è un’iperbole. Ma posso dire  che questa ideologia si esaurirà. Scomparirà da sola. Quello che non posso dire è quando”. 


Solo in malafede, o per taqiyya sinistroide, si può negare che la cancel culture sia un pericolo. La domanda, per dirla con Boghossian, è “quanto danno arrecherà alle nostre istituzioni culturali”.
 

  • Giulio Meotti
  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.