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Amo dunque son vivo. Il memoriale di Matzneff

Duccio Trombadori

Apologia del passato. "Vanessavirus", il libro dello scrittore francese tradotto di recente in Italia, è un inno alle ragioni irreprimibili di Eros, oltre le convenzioni

Non ho letto i libri di Gabriel Matzneff ma sono amico di Giuliano Ferrara, un’antenna più che sensibile nell’abbracciare cause controcorrente, e mi sono perciò deciso a leggere, per apprezzarla, la sua recentissima traduzione di “Vanessavirus”, testamento estetico e diario in pubblico dello scrittore francese messo all’indice nel suo paese per inclinazione alla pedofilìa, che lui chiama “filopedìa”, e che costituisce l’argomento dei suoi romanzi e dei suoi diari. 

 

La versione italiana è merito di una casa editrice di stampo libertario – la Liberilibri di Macerata – mentre in Francia il testo circola in privato come un “samizdàt” e tutti gli altri suoi libri sono di fatto oscurati e ritirati dal commercio.    


Il memoriale è stato scritto in un piccolo albergo di Bordighera, dove Matzneff si era chiuso subito dopo l’esecrazione pubblica seguita alla condanna morale inflittagli nel libro “Le consentement” (2019) da Vanessa Springora,  cinquantenne editrice ed autrice televisiva, che negli anni Ottanta da adolescente ebbe con lui una relazione intima fino a quando non interruppe ogni rapporto una volta preso atto della sua infedeltà. 

 

Abuso, consenso, o slancio e attrazione reciproca? L’officina letteraria francese non è nuova alla rivelazione di tali esperienze con episodi scandalosi di biografismo e autobiografismo di cui il mercato editoriale è ghiotto quanto più acceso è il conflitto tra anelito erotico,  libertà individuale, vincoli giuridici e idoli della tribù in nome della perversione. 
“Vaste programme…”, commentò De Gaulle riguardo a una mèta irraggiungibile come quella di “eliminare i cretini”. Tale sembra essere anche il caso di “Le consentement”, testimonianza e accusa retrospettiva che marcia in piena sintonia coi tempi e va incontro alla retorica  del neo-puritanesimo politicamente corretto.

 

Matzneff, l’inquisito “peccatore”, ha oggi ottantacinque anni ed è un uomo alle prese con gli estremi bilanci dell’esistenza. Dopo l’uscita del libro della Springora è stato brutalmente messo alle corde. E attorno alla sua figura si è levata un’insormontabile barriera di moralismo. L’esecrazione preventiva che lo circonda è tanto uggiosa quanto fuori tempo massimo. Sono davvero lontani i tempi “anti-edipici” degli anni Settanta quando Matzneff lodava l’amore con “les moins de seize ans” e i maggiori della “gauche intellectuelle” (De Beauvoir, Barthes, Foucault, Deleuze ed altri) firmavano con lui un appello per depenalizzare le relazioni sessuali tra adulti e minorenni, mentre eccelleva il gusto malizioso per le creature appena adolescenti dipinte da Balthus o fotografate da David Hamilton. E tanto più sorprende oggi l’assenza di solidarietà del medesimo ambiente nel momento in cui il  “disordine amoroso” dello scrittore viene a confliggere col luogocomunismo di un “me too” intenzionato a sorvegliare e punire, sovrastante l’orgoglio femminile ferito dalla macchia indelebile dell’abuso di minore.

 

L’uomo e lo scrittore non può non dirsi responsabile (“lasciva nobis est pagina, vita proba”) poiché tutta la sua opera è inondata dal resoconto puntuale e testimone della sua passionale vita privata; così i suoi testi sono diventati campo minato di un indecente ostracismo retroattivo che imperversa sui media e lo inchioda ad accuse di cui sarà chiamato a rispondere  (“apologia della pedofilia”) anche in tribunale nel prossimo autunno. Al dilagare dello scandalismo Matzneff ha opposto una pregevole noncuranza quasi consapevole del prezzo da pagare : “Demeurer un objet de scandale – ha avuto modo di dire – c’est le rêve de tout écrivain”. Con analoga apparenza di distacco esistenziale è anche maturata la scrittura di “Vanessavirus” in cui l’autore fa i conti con la sua vita trafitta dall’inatteso risentimento di una donna determinata a denigrarlo e soprattutto a stravolgere il senso della loro passata relazione.

 

Colpito nell’identità morale, Matzneff non accetta il piano dell’autodifesa per smentire chi lo dipinge come un “orco” (“ogre”) e tantomeno come un degno erede dei corruttori di Sade o Laclos; egli descrive invece l’immagine di un cuore messo a nudo, protesta fino allo spasimo le ragioni irreprimibili di Eros, quale sentimento integrale e senza età, ben oltre le convenzioni della legge e dei costumi.

 

“L’Amour est un oiseau rebelle” (Bizet): Matzneff testimonia del suo amore ricambiato con entusiasmo da Vanessa, e rimpiange l’abbandono di lei che a un certo punto “mise a morte” la loro passione. Non si ritiene affatto un Don Giovanni, assetato dal bisogno di sedurre; meno che mai un Pigmalione tentato di modellare a sua immagine l’oggetto del suo amore: e si fa interprete di un’immagine  favolistica e aurorale dell’eterno erotismo che ignora  la cenere del tempo (Lewis Carroll insegna: “Da noi sono sempre le cinque”, diceva ad Alice il Cappellaio nel  Paese delle Meraviglie).

 

Benché ferito e umiliato nel profondo  (“je mourrais ostracisé, exclu, reduit au silence, innomable”) lo scrittore rivendica la “tempesta d’amore” che lo unì all’adolescente Vanessa (“… Noi l’abbiamo vissuta così, Vanessa e io, all’epoca in cui planavamo ‘nell’azzurro della passione’”) e oppone a chi mostra gli articoli del codice penale la fulminante massima di Berdiaeff secondo cui “l’amore è sempre illegittimo”. Questa cristallizzazione dell’esperienza vissuta nella parafrasi letteraria è il paradosso dell’erotismo idealizzato al di là dei tempi, del divario di genere e di generazione. Follia d’amore, sottolinea Matzneff: “… e chi potrà credere che non fosse una reciproca follia d’amore ma, per lei, di un semplice consentement…?”. Scorrendo le pagine di “Vanessavirus” si delineano i tempi, le ansie, gli slanci di quello che fu per i due lo sviluppo di una comune passione. Il memoriale, più che il resoconto di storie scellerate, è lo specchio di un’anima consacrata a un assolutismo estetico che inneggia, disperato, alla “volontà di amare” in opposizione alle cautele di ogni esperienza “ragionevole”.

 

 E’ questo il tratto più persuasivo della narrazione in cui Matzneff, commediante e martire, non si tira indietro ( “durante i circa due anni della nostra avventura appassionata sono stato il più innamorato, il più tenero, il più premuroso degli amanti”) e respinge la versione negativa resa in controluce dalla Vanessa odierna che si rispecchia ne “Le consentement”, libro che egli rifiuta di leggere per non guastare l’essenza di quella che fu una “durable et magnifique histoire d’amour”. 

 

“Amore, amore, lieto disonore” (Sandro Penna)… Nel respingere il modo di  sentire attuale della sua ex amante egli arriva fino al punto di metterne in dubbio l’autenticità, in quanto lo ritiene condizionato da fattori estranei alla sua  originale natura (“…qualcuno – un amico invidioso di quello che abbiamo vissuto? Uno psicoanalista persuaso che l’amore tra un’adolescente e un adulto sia per definizione una calamità?”) di cui invece farebbero testo le parole che lei gli scrisse nell’ultima eloquente sua lettera di addio ( “… una lettera dagli accenti raciniani in cui mi dice che sono stato il suo primo amante, il suo tenero iniziatore, che ha reso possibile a lei di custodire per tutta la vita un bel ricordo della sua scoperta dell’amore; che era nata nelle mie braccia; che mai nella vita le sarebbe venuto in mente di rimpiangere d’avermi conosciuto… Queste lancinanti parole d’amore, chi potrebbe sostenere blasfemo che è un porco ad averle ispirate? Chi potrebbe crederlo?”).  

 

Resistenze del timore, del pudore, della decenza, del ribrezzo e ogni altro motivo della morale corrente impongono a Eros di tacere. Ma quell’imperio non può essere imbavagliato né eliminato:  il sermone psicoanalitico del dottor Krokowsky (Thomas Mann, “La montagna incantata”) ci ricorda se non altro che nell’eterna battaglia tra castità e passione l’amore trova sempre il modo di affermarsi, anche “sotto la maschera della malattia”.

 

Nell’appassionata sequenza di argomenti in favore di un erotismo libero e insopprimibile, Matzneff finisce anche col rendere più evidente l’ambito psicologico del suo “discorso amoroso”: egli non riesce in cuor suo o non vuole ammettere l’esistenza di una “nuova” Vanessa, la donna matura che oggi lo accusa, così mutata e diversa da quella che ha immaginato e cristallizzato nel tempo. L’ex amante, partigiano di Eros, non può concepire l’avvenuta trasformazione di lei come persona che oggi riflette e mette in discussione certi aspetti basilari dell’esperienza vissuta. Impossibile, e inaccettabile, secondo Matzneff: solo qualcosa di estraneo alla sua autentica natura può avere posseduto Vanessa al punto da renderla pari a un virus ancor più letale della pandemia (“j’ai survecu au Coronavirus, je ne survivrais pas au Vanessavirus”) visto che  lei “non ha alcuna ragione per odiarmi e non mi odia”. 

 

Questa resistenza a prendere atto della diversità di una persona amata, che pure si è evoluta e risolta autonomamente nel tempo, impedisce l’esperienza dell’irriducibile, della dualità insormontabile degli esseri, e fa perdere di vista la meraviglia della dissimmetria.  Un subbuglio psicologico sembra scuotere così Matzneff fino al punto di figurarsi la personalità dissociata di “due Vanesse in una”: quando da benedire, quando da condannare. Se una non lo odia, l’altra ha invece “sporcato” l’amore che li univa, e lo ha “assassinato”. 

 

Quanto sia contraddittorio questo modo di ragionare non è difficile vedere, e segnala il tratto egocentrico di una personalità che onora ostinatamente il culto supremo di Eros come attestato di integrale e autentica vitalità. Tutto l’ordito del monologo di “Vanessavirus” è contrassegno estetico di questa morale atea dal fondo religioso, nel senso di un’adorazione anarchica della vita sottratta al ritmo e alle regole più o meno provvidenziali della storia: dove finisce il flusso del tempo finiscono i doveri, le leggi, la morale corrente e si libera uno stato d’animo che riconosce solo la passione vissuta in comune, o la “compassione”.

 

Non a caso Matzneff   rimprovera all’ex amante di avere cessato nientemeno che d’essere compassionevole (“… sporcando l’amore così bello, così forte, che ci univa… ha oscurato per  sempre la mia fede nell’altro”) senza tenere conto che riconoscere l’altro significa accettare il suo diverso, irriducibile, modo di sentire. L’egotismo estetico non ammette, come Eros, di essere sanzionato dalla legge. L’amore-passione, o desiderio del desiderio, è tuttavia un peccato la cui entità concupiscente sembra toccare anche la fine sensibilità dello scrittore quando, a proposito della tentazione di Cristo nel deserto, si lascia sfuggire l’ansiosa domanda: “Quanto a me, dove diavolo sono finite le mie relazioni col re dei Re?” . Matzneff non trova però risposta, nel deserto del mondo. Il suo canto del cigno, di uomo e di scrittore, si conclude così.

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