Andrea Pazienza, fino all'estremo
La prima mostra dedicata al più grande fumettista italiano del secolo scorso allestita a Bologna, dopo la grande antologica del 1997. Ne parliamo con il curatore Mauro Uzzeo e Marina Comandini, la moglie di Paz
“In questi anni ho scoperto diverse cosucce. Intanto, di non essere un genio. Perché sì, lo confesso, da ragazzo ci speravo. Invece no, sono un fesso qualsiasi. Però, c’è sempre un però, è vero, sono un disegnatore eclettico”. Andrea Pazienza, il più grande fumettista italiano del secolo scorso, si racconta con queste parole scritte con il pennarello sulle pagine a quadretti del poema “Gli ultimi giorni di Pompeo”, a cui ha lavorato tre anni prima di morire a 32 anni per overdose.
In Pompeo in tanti hanno visto la sua biografia. Un ragazzo riccio dal volto stanco, (“Mi chiamano il vecchio Paz, ma ho solo 29 anni”), con gli occhi scuri e risucchiato nel vortice dell’eroina. Ma quella del personaggio più tormentato creato da lui è piuttosto la sua catarsi. Il suo modo per chiudere l’esperienza bolognese, lasciarsi alle spalle la sofferenza e segnare l’inizio di una nuova vita a Montepulciano con la moglie Marina Comandini. Eppure, a più di trent’anni di distanza dalla sua morte, Paz è ritornato a Bologna con una mostra che raccoglie cento delle sue opere, in un allestimento che mette i suoi disegni, dipinti e fumetti al centro della storia della città in cui ha vissuto e che ha contribuito a plasmare con la sua arte.
“Andrea Pazienza, fino all’estremo”, allestita a Palazzo Albergati fino al 26 settembre, prende il nome dal titolo della prima edizione di Pompeo ed è la prima mostra dedicata a Paz allestita a Bologna, dopo la grande antologica del 1997. Curata da Mauro Uzzeo e Stefano Piccoli e organizzata da Piuma in collaborazione con Arthemisia, la mostra vuole portare il fumetto dove normalmente non sarebbe stato possibile esporlo, facendolo entrare nei luoghi dell’arte. “Lui diceva: ‘La pazienza ha un limite, Andrea Pazienza no’ – spiega Mauro Uzzeo, fumettista e curatore della mostra – ed era vero. Poteva fare qualsiasi cosa, era come se fosse dieci artisti contemporaneamente. La sua morte precoce non gli ha permesso di lavorare a lungo, ma nel corso della sua pur breve vita ha realizzato oltre diecimila opere".
Nella mostra, le tavole di ‘Pentothal’ sono disposte su pareti interamente ricoperte dalle fotografie scattate da Enrico Scuro, il fotografo ufficiale dei moti studenteschi del ’77. I disegni di ‘Zanardi’, che anticipava la violenza della borghesia annoiata e colta, vengono affiancati a un busto che richiama il culto della forza fisica, mentre ‘Gli ultimi giorni di Pompeo’, che viene spesso definita una via crucis dell’autore nei confronti della droga, è associata alle tavole di Tiepolo. “Pazienza ci teneva a dire che Pompeo non era il suo alter ego – continua Uzzeo – ‘Gli ultimi giorni’ è strutturato come una Via Crucis senza resurrezione, che si conclude con il suicidio del protagonista. Invece Pazienza ha inserito due fogli alla fine del poema, nei quali si distacca dalla sua fine tragica, per sottolineare che lui in realtà stava bene”.
In mostra sono presenti opere che non venivano esposte da vent’anni, come l’illustrazione “Betta sullo squalo”, le tavole di Pertini, o “Corteo a Bologna”. “Andrea voleva dedicare la giornate alle cose che amava e odiava essere costretto a farlo per lavoro – spiega Marina Comandini, moglie di Andrea Pazienza, che ha contribuito alla creazione della mostra - Non usava mai la parola ‘lavoro’ quando parlava di disegno. Quando gli dicevo che dovevo lavorare andava su tutte le furie. Per lui doveva essere sempre un piacere. Era sempre molto motivato, molto concentrato, molto tutto”. Da sempre Pazienza è stato eletto a simbolo di una generazione, ma il suo valore e la sua capacità di raccontare un periodo storico erano riconosciuti a livello universale. “Tutte le persone più importanti della scena culturale italiana hanno scritto qualcosa su Andrea. È un artista trasversale – continua Comandini - La sua formazione artistica e umana è di sinistra, ma non è mai stato associato a un partito e questo lo ha portato per assurdo a essere apprezzato anche dalla destra. Andrea ha raccontato i difetti della generazione di quel periodo: chi ne faceva parte ne rideva perché sapeva che era tutto vero, e chi non ne faceva parte ne rideva per lo stesso motivo. La verità è che le opere di Andrea non hanno tempo. Le sue vignette ancora oggi hanno una connessione con la realtà”.
A oltre trent’anni dalla sua morte, Pazienza non smette di essere irraggiungibile. “Quando lo scoprii avevo 18 anni e per me è stata una specie di deflagrazione – spiega Uzzeo – allora era come una rockstar. Oggi per un giovane è un po’ come sentire parlare di De Andrè: c’è una sovraesposizione delle sue opere. Ma la verità è che, superato questo scoglio, la sua potenza è ancora ineguagliata. Che tu legga manga o supereroi, nel momento in cui entri in contatto con l’assoluta libertà creativa di Paz non puoi restare indifferente”.