Napoleone e il mercato delle reliquie come indice della santificazione laica
Una variante del culto delle piu’ rilevanti figure pubbliche
La santificazione popolare delle più rilevanti figure pubbliche è una tendenza che invale dalla seconda metà del Settecento, quando il Cristianesimo in Europa era stato scosso da un montante scetticismo e le masse cercavano istintivamente nelle celebrità del tempo nuovi appigli per la propria fede decapitata. Applicavano allora su di essi il metodo cui erano state abituate per secoli, canonizzandole informalmente per un duplice effetto: da un lato rimarcarne l’eroismo (quali novelli San Giorgio o San Martino) e riconoscerne la distanza; dall’altro, infondere fiducia indefinita e superstiziosa nelle loro capacità benefiche, come accadeva per le richieste di miracoli o di intercessione. In quest’ottica si possono individuare tracce evidenti di culto di un San Garibaldi, di un San Voltaire, di un San Napoleone, per tacere delle mummie di Lenin e Mazzini; nel triennio giacobino venne addirittura adottato un calendario che a ogni giorno associava il nome di un personaggio esemplare, dal Gran Condé a Bruto e Cassio.
Per San Napoleone in realtà il discorso è diverso: fu l’Imperatore stesso a suggerire e quasi imporre il culto. Scelse la propria data di nascita, il 15 agosto, e la attribuì alle celebrazioni per un santo suo omonimo, legionario romano, la cui icona in armatura circolava accompagnata da una preghierina e dalla dicitura “patrono dei guerrieri”. E’ una svolta interessante nella storia della fama iconografica. Nel Medioevo era famosa solo l’immagine dei santi, appunto, e dei sovrani, caratterizzati come tali in quanto cristiani e scelti da Dio. Il primo vivente non coronato la cui immagine fu familiare a buona parte degli europei fu Martin Lutero, fondatore di una religione. Napoleone intraprese un percorso inverso: borghese di nascita, rapidamente celeberrimo per le imprese militari, dopo essersi incoronato volle eternare la propria immagine sovrapponendola all’icona di un santo, causando scientemente confusione nelle menti dei semplici e così chiudendo un cerchio. Non gli bastavano i pamphlet e non si sarebbe accontentato nemmeno di Instagram; voleva le vetrate nelle abbazie.
In un vecchio volume Longanesi – “La vita di Napoleone raccontata da lui stesso” – trovo un brano datato 1800 col precipitato della sua elasticità religiosa: “E’ stato facendomi sostenitore dei preti che ho posto termine alla guerra della Vandea, è stato facendomi musulmano che ho consolidato il mio potere in Egitto, è stato facendomi ultramontano che mi son cattivato gli animi in Italia. Se governassi un popolo di giudei, ricostruirei il tempio di Salomone”. E’ però in un nuovissimo saggio di Arianna Arisi Rota – “Il cappello dell’Imperatore” (Donzelli) – che spicca la prova più duratura di questa santificazione: il commercio delle reliquie.
Funziona tuttora. Una foglia d’oro della corona di Napoleone è stata da poco battuta a 625.000 euro. L’icastico bicorno nel 2018 è costato 350.000 euro, il decuplo della base d’asta, presumo con disdoro del magnate coreano che quattro anni prima ne aveva comprato un altro per due milioni. E negli anni di Sant’Elena, ma anche dopo la sua (presunta?) morte, il possesso di suoi oggetti di uso quotidiano, sovente farlocchi, assumeva dignità di amuleto nell’attesa di un suo inevitabile ritorno in Europa, che col passare del tempo si faceva nell’immaginario collettivo sempre più glorioso e numinoso, messianico. Perfino in Inghilterra, acerrima nemica, sin dall’Ottocento appassionati e turisti visitavano in massa lo scheletro di Marengo, il cavallo bianco di Napoleone, esposto in un museo ed elevato a reliquia per contatto con la parte meno nobile dell’Imperatore.
Il volume di Arisi Rota si apre sulla scena (così come la racconta Thackeray ne “La fiera delle vanità”) dei contadini che assaltano il campo ancora fumante di Waterloo alla ricerca dei cimeli più svariati da tramandare alla posterità del napoleonismo appena tramontato. E’ quello il momento in cui la sconfitta di Napoleone in guerra diviene la sua vittoria sulla storia, la sua ascensione nel cielo che sorpassa i tempi.