“Sotto lo stesso cielo” di Giulia Pompili, ovvero i figli del Secolo asiatico
Non solo Cina. Giappone, Corea del sud e Taiwan stanno riscrivendo la loro storia. In libreria dal 15 giugno
Terre straniere sono divise da montagne e fiumi, condividiamo il vento e la luna sotto lo stesso cielo” è il verso di una poesia dell’epoca della dinastia Tang, che tra il 600 e il 900 costruì un regno unico, tenuto insieme dalla tolleranza, da un’arte raffinata e colorata piena di donne che sorridono e danzano. Il Giappone ha stampato questo verso sugli scatoloni che ha inviato a Wuhan quando è scoppiata la pandemia, simbolo di solidarietà ma ancor più di una volontà di superare i confini, condividere il bene e il male, procedere insieme, come accade nei matrimoni che funzionano a lungo. Giulia Pompili parte da questa frase per portarci “Sotto lo stesso cielo”, il titolo del suo primo libro, del secolo asiatico, in queste terre divise da montagne e fiumi, da rivalità antiche che tormentano il presente, eppure spinte a condividere vento e luna, oltre gli stereotipi su cui noi, osservatori con l’occidente piantato nella testa, indugiamo spesso senza accorgercene.
Giulia Pompili è arrivata al Foglio appassionata d’Asia e si è trasformata in un’esperta, viaggiando ogni volta che ha potuto (anche in condizioni che non staremo qui a ricordare), raccontando su queste pagine quel che ha visto e scoperto, quel che ha amato e quel che ha detestato, fondendo il suo sguardo con il nostro. “Sotto lo stesso cielo” è il frutto di questo lavoro, e il punto di partenza è il Giappone, il primo amore di Pompili – lo si sente dalla minuzia dei particolari con cui racconta la cultura, le città, la politica giapponesi e dal dolore che risuona ancora quando rientrano sulla scena le bombe atomiche o la devastazione di Fukushima. Anche una scelta fondamentale di questo saggio mostra la trasformazione della passione di Pompili in esperienza: la Cina, padrona dell’Asia, in “Sotto questo cielo” non c’è. C’è come presenza ineluttabile con cui tutti devono misurarsi, incombe sullo sfondo, ma davanti si stagliano il Giappone, la Corea del sud, la Corea del nord, Taiwan: gli altri.
Il Giappone è il punto d’osservazione privilegiato perché è qui, in questo arcipelago lontano in cui c’è la frutta più buona del mondo, che Pompili ha forgiato gli strumenti per comprendere l’Asia, e ce li offre tutti, prendendoci per mano e accompagnandoci dentro alle piazze, alle città, ai menù e alle famiglie che spiegano la peculiarità di una terra o di una cultura assieme all’arte straordinaria di questa convivenza sotto lo stesso cielo. Poiché Pompili sa che parla a un pubblico che ha negli occhi più l’ovest che l’est, dissemina il suo racconto di riferimenti culturali noti (grazie per aver parlato delle frittelle di “Kiss me Licia” e del mito di “Mimì e le ragazze della pallavolo”: è un enorme “ok, boomer”, ma grazie) e di storie straordinarie che, essendo capitate a oriente e non a occidente, non sono rimaste appiccicate al nostro immaginario. Una su tutte: 15 agosto 1974, il giorno dell’indipendenza sudcoreana. Il padre padrone Park Chung-hee ha aggirato la Costituzione ed è al suo terzo mandato. Deve tenere un discorso a Seul, in diretta nazionale. Mentre Park parla, un uomo spara, colpisce l’amatissima first lady Yuk. Lei e gli altri feriti vengono rapidamente portati via, Park riprende subito la parola. Dice gelido: “Posso continuare”. Yuk morirà poche ore dopo in ospedale.
Pompili mette insieme questi frammenti, ci dà tutto quel che serve per ricomporre un’immagine nitida di cos’è il senso del potere nel mondo asiatico, di cosa vuol dire sentirsi leader e sentirsi popolo. Illumina angoli che sono spesso nell’ombra, ci lascia lì a chiederci se Donald Trump abbia mai assaggiato il “gamberetto della discordia” che gli hanno propinato i sudcoreani facendo infuriare i giapponesi, e soprattutto perché mai Barack Obama non abbia mangiato le frittelle di “Kiss me Licia”. Giulia Pompili ci porta in mezzo ai figli di questo secolo asiatico, alle loro aspirazioni e ambizioni, che superano la capacità di misurarsi con i vicini più o meno ingombranti, e che diventano un approccio nuovo capace di riscrivere anche il patto di convivenza. Sotto lo stesso cielo sì, ma pure oltre questo cielo, e sopra.