Facce dispari

Rettoressa ma non sindaca

"Crebbi leggendo Moravia. Poi lo incontrai e ci restai male"

Francesco Palmieri

27 milioni di dischi venduti, il mondo guardato dalla sua Castelfranco Veneto. "Ho più sofferto che goduto. Me lo predisse Umberto Eco". Intervista a Donatella Rettore

Donatella non c’è, lei lo aveva già cantato moltissimi anni fa. C’era e c’è solo Rettore. O Rettoressa, come il titolo di un album dell’88. O magari Rettora. Come fosse sindaca. Ministra.

Che ne dice?

Io dico sindaco. Ministro.

 

È poco trendy, lo sa.

Oddio, che maroni con questa storia!

 

Lei come vede la parità di genere?

Io sono per la libertà. Ognuno deve accettare quel che voglio essere io.

 

Però Virginia Raggi dice: la sindaca.

Magari potrebbe cimentarsi anche come cantante. Secondo me le verrebbe bene: ‘Portece n’antro litro, che noi se lo bevemo…’. Non trova?

 

E perché no.

La verità è che stanno facendo diventare antipatica, difficile e persino volgare una questione che si potrebbe risolvere tranquillamente. Ma cos’è successo in Italia? Abbiamo perso l’ironia?

 

(Rettore invece la conserva: traspira dai testi delle canzoni e dalla conversazione. Che assume qualche volta la cadenza romana, frutto di una lunga permanenza nella capitale, e qualche altra sfuma verso appoggiature musicali venete. Perché a Castelfranco è nata un 8 di luglio e qui è tornata a vivere).

 

Qui è come stare su un’isola. Il Nord-Est è un’isola, è decentrato. Avrei acquisito qualche contratto discografico migliore se fossi vissuta a Milano.

 

Ma cosa le importa. Quanti dischi ha venduto da inizio carriera?

A oggi 27 milioni in tutto il mondo. Sono amatissima nei Paesi del nord Europa, dalla Germania alla Finlandia. E in Sud America. Non tanto in Argentina, forse lì ci sono troppi italiani... Molto di più in Messico e in Brasile, dove vinsi anche un disco d’oro nel ’96. Ah, il Brasile non me lo toccate… Ha visto come lo sta riducendo Bolsonaro? Se disbosca l’Amazzonia starà male anche lui, chi uccide la Terra sta male. Gente drogata di denaro e che mica se lo porterà nella tomba, gente che non pensa di dover morire e di dover lasciare un buon ricordo.

 

‘Se morirò’ è un brano dell’album ‘Caduta massi’, in cui lei dice che darà tre monete: una a Caronte, una a Dante e l’altra per la messa. E “con i miei antenati pronti a farmi festa”. L’ineluttabile rapporto con le radici culturali e religiose. Con quelle genetiche.

Sì, ricadono in noi tutti i nostri antenati. Si mescolano le stirpi, i colori, le storie. L’ho provato anche con la sofferenza. Con la talassemia, che è ereditaria e mi arriva da parte di mia mamma Teresa. Adesso che tutti si confrontano con la pandemia, una malattia di tutti, io ci ripenso spesso. Penso alle malattie genetiche: ci nasci e te le devi tenere.

 

Come l’ha affrontata?

Mi piace il Giappone, che mi ha ispirato varie canzoni. E io l’ho affrontata non da geisha, ma da guerriero.

 

Ha preso da sua madre anche l’amore per la musica?

Quello per l’arte, la cultura. Lei era un’attrice goldoniana, ci teneva che leggessi, a voce alta. Io volevo fare l’artista da quando ero bambina, ma tutti mi dicevano: sì, l’artista, e poi? Di lavoro cosa vuoi fare? L’artista. Punto. Un giorno il preside a scuola mi disse: finirai male. L’artista? Finirai sulla strada. Mi misi a piangere e lo raccontai a mia madre. Lei era moretta, minutina, però si precipitò a scuola come una furia e mi tolse da lì. Mi mise in un collegio frequentato dalla prole dei maggiori industriali veneti… Dissi: mamma, se sapevo che finiva così, restavo zitta… Mio padre era diverso anche nel fisico: un omone, gioviale. Quando vinsi il Festivalbar piangeva d’orgoglio. Mia madre no, era imbarazzata dalla mia popolarità. I miei avevano perso tre figli nati prima di avermi. Quando mamma restò incinta di me, a 39 anni, pensò a una menopausa precoce. Non ci poteva credere, smise persino di fumare. Riprese subito dopo il parto e perse il latte. Mentre io detesto il fumo.

 

Anche Giusto Pio, il musicista che fece coppia per anni con Franco Battiato era di Castelfranco Veneto. Lo conosceva?

Caspita, e quanto gli ho voluto bene. Oltretutto era stato il moroso di mamma in gioventù… ma non era il tipo adatto a lei come marito. No. Giusto era una persona ironica oltre che geniale. Gli dicevo: sei matto come un cavallo. Lui mi diceva fatti ancora ‘sta risata che magari è l’ultima perché io sono vecchio e muoio. Gli volevo portare un cavallo sulla tomba… Ecco, fu ai suoi funerali l’ultima volta che vidi Franco Battiato, assieme ad Alice. Non mi avvicinai per non disturbare.

 

E Battiato?

Grande artista. Un uomo divertente. Ho chiamato Alice pochi giorni fa e mi ha detto: sei l’unica collega che mi ha telefonato dopo la morte di Franco. Ci sono rimasta male. Ma cos’ha la gente? Persino rispetto alla morte si fa così?

 

L’ultimo brano di Battiato è ‘Torneremo ancora’. Lei è d’accordo?

Oh sì. Torneremo ancora. Per me è un auspicio. Una speranza.

 

La Murgia contestava la comprensibilità dei testi di Battiato.

Si vede che lei non li capisce.

 

Da ragazza ha scritto ‘Carmela’, dove dice: “A quarant’anni o si è furbi o si è eroi”. E dopo i sessanta?

Dopo i sessanta o si è delusi dalla vita oppure la guardi dall’alto e metti sulla bilancia cose buone e cattive. Io per esempio ho più sofferto che gioito.

 

Non mi sembra. Lei è un mito della musica leggera.

Non sembra perché sono una che non sparge ai quattro venti la propria sofferenza. Ma a volte penso che la vita potevo vivermela meglio.

 

Per lei ha scritto Elton John, ma il 90 per cento dei testi se li è scritti da sola, vestiti dalla musica del suo compagno Claudio Rego.

Il 90? Di più… il 99 è meglio.

 

Quando scrive? Come?

Le idee mi vengono viaggiando, conoscendo persone e luoghi più che leggendo. Poetizzo la mia realtà. Scrivo di getto perché mi riesce meglio, se mi metto a pensare escono stupidaggini.

 

Scrive pure per altri?

‘Estasi’ per esempio l’avevo messa giù pensando a Patty Pravo. Ma Nicoletta disse: no, io non strillo così tanto. Allora me la cantai io. Ero una sua fan. Trovo bellissimo scrivere per altre voci, perché ti arricchisce: ti metti nei panni di quell’artista e cerchi di rappresentarlo. Ho fatto due pezzi per Iva Zanicchi, adesso ne ho composto uno per Ornella Vanoni.

 

A volte sono testi premonitori. ‘Splendido splendente’ prefigurava la fissa della chirurgia estetica. O in ‘Addio mia bella Napoli’ quei versi: “L’Europa è bella e tragica/come un vecchio comò/è colta, è vecchia e magica/con quell’aria decò”…

A proposito, io adoro Napoli. Se New York è la metropoli più importante d’America, Napoli dovrebbe essere la più importante d’Europa. Se l’Italia non avesse una forma allungata, Napoli ce la vedrei al suo centro.

 

E l’Europa come sta messa?

Male, male come il resto del mondo.

 

È pessimista?

No, realista. Stiamo filmando il nostro declino. Un declino che ci porterà alla fine. Basta ascoltare i telegiornali. Ma ho fiducia nei più giovani. Nel mio piccolo, nella musica, noto che tanti ascoltano le mie canzoni e non vogliono sentir parlare di Fedez e compagnia…

 

Gli influencer però dettano tendenza.

Gli influencer sono fallaci come le mode. Come i paninari di una volta. C’era la panino music, ora ci sono loro. Come le scarpe da tennis alte. O le zeppe. Un giochetto che a lungo andare non durerà, anzi è durato anche troppo.

 

E i Maneskin?

Mi sono simpatici. Hanno preso da me. La gente è invidiosa, ma a loro non gli frega niente.

 

Lei è tornata a Sanremo per la serata cover con La Rappresentante di Lista. Veronica Lucchesi ha grande voce, ma la presenza di Rettore oscurava un po’ la sua fisicità.

Veronica può essere la mia erede. Ha tantissima sensibilità e cultura. Ma il suo gruppo non deve limitarsi all’esibizione in duo. E poi quella sera le hanno sbagliato il taglio di capelli.

 

Rettore, la sua trasformazione fisica quando raggiunse il grande successo in Italia fu sbalorditiva.

All’inizio ero cicciotta, bulimica per insoddisfazione, capace di mangiare quattro supplì l’un dopo l’altro e persino la pasta cruda… Ma quando arride il successo pensi che devi prenderti cura di te stessa. Me lo dicevano in Germania dove ottenni popolarità prima che in Italia. Così cominciai a migliorare l’alimentazione, a studiare con un coreografo. Poi quando arrivano i complimenti sul tuo fisico, quando gli uomini cominciano ad aprirti lo sportello, allora acquisisci fiducia e riesci a credere in te. La prima volta che mi vide, il regista televisivo Enzo Trapani disse: ma a te come ti ripiglio? Provò e vide che ero supertelegenica.

 

Invece lei di Lady Gaga ha detto che è “una cozza”.

È una grandissima artista, ma sicuramente non è una bellezza canonica tipo Kim Basinger o Ornella Muti. Canta talmente bene che non le dovrebbe fregare di essere bella né di essere così omaggiante, così umile. Il peccato di umiltà non mi piace. Poi parliamoci chiaro: la bellezza dura poco, decade, si perde. Il talento invece resta.

 

E per gli uomini?

Ci si innamora della mente. È una frescaccia che una donna prediliga il loro aspetto fisico, anche se per certune funziona così.

 

È mai rimasta delusa da un artista che le piaceva dopo averlo conosciuto?

Crebbi leggendo Moravia. Poi lo incontrai e ci restai male. Ovviamente non parlo dell’aspetto, ma di certe cose che non assoceresti a un autore che hai amato: l’attenzione ai soldi, al privilegio, al posto in prima fila eccetera.

 

E all’opposto?

Umberto Eco. Un uomo generoso. Mi disse a inizio carriera: goditela adesso, perché poi ci saranno momenti di sofferenza e tu non sei una cinica. Perciò preparati. Mi diede il numero di telefono: quando vuoi chiamami.

 

Qual è il difetto che le dà più fastidio?

La falsità. E l’adulazione.

 

La parola che non sopporta?

Resilienza. Ma quanto è antipatica anche ‘percorso’.

La sua tonalità preferita?

Si bemolle.

 

Di più su questi argomenti: