Design industriale, bello e perduto
Una macchina per ricucire la memoria
“La Olivetti ha un museo dedicato in Piazza san Marco a Venezia, la Cimbali ne ha aperto uno a Binasco. Ovunque si trovano musei dedicati alla storia industriale. La Necchi è nel dimenticatoio”, dice il presidente dell'associazione che vuole riportare alla luce la storia della fabbrica pavese e del suo fondatore
Area Necchi, Pavia ©Necchi Pavia Italia
“Photoplay”, luglio-dicembre 1958. Carol Lynley e Sal Mineo in una pubblicità della Necchi Supernova. ©Necchi Pavia Italia
Una macchina da cucire “Mira” Necchi rimessa in funzione da ©Necchi Pavia Italia
Pubblicità anni ’30 ©Necchi Pavia Italia
Necchi, pubblicità Supernova, anni ’50 circa disegnata da Franco & Jeanne Grignani
Esposizione di Roma del 1950. Gino Gastaldi, consigliere delegato, offre una "Necchi Infanzia" a Luigi Einaudi ©Necchi Pavia Italia
Pubblicità anni ’50 disegnata da Franco & Jeanne Grignani, Ad for Necchi, 50s
Il suo zig-zag è arrivato in tutto il mondo, portando con sé la fama del nostro paese e del Made in Italy. La “Mirella” oggi è esposta al MoMa di New York, alla Triennale di Milano e al neonato Adi Design Museum, dove le è stata riservata una teca intera. Qui si trova anche la “Supernova 54”, la prima macchina da cucire Necchi ad aggiudicarsi il Compasso d’oro assieme alla “Lettera 22” di Olivetti. Nei siti di rivenditori di pezzi di modernariato e nelle varie aste online, “Necchi” è un nome che spopola, ma nella sua città, Pavia, è stato cancellato dalla memoria. Eppure, solo quarant’anni fa era difficile trovare un pavese che non lavorasse all’interno della fabbrica creata da Vittorio Necchi nel 1920 (allora si chiamava IRI) e che negli anni ’50 e ’60 doveva soddisfare una richiesta di oltre 1500 macchine da cucire al giorno.
“La Olivetti ha un museo dedicato in Piazza san Marco a Venezia, la Cimbali ne ha aperto uno a Binasco. Ovunque si trovano musei dedicati alla storia industriale. La Necchi è nel dimenticatoio”. Spiega Dario Dell’Acqua, presidente dell’associazione Necchi Pavia Italia, nata nel 2020 con lo scopo di riportare alla luce la storia della fabbrica pavese e del suo fondatore, rendendogli il tributo che merita. L’obiettivo ultimo dell’associazione è la creazione di un museo nella città dove la Necchi è nata e che grazie a lei è cresciuta, nonostante sembri aver perso coscienza della sua stessa storia.
Dell’Acqua, 40 anni, lavora per una multinazionale dell’automotive, ma nel tempo libero ripara macchine da cucire assieme al padre, 86 anni, ex tecnico Necchi. “A voler essere sinceri, la prima su cui ho messo le mani era una Singer – racconta Dell’Acqua al Foglio – l’ho ereditata da mia zia, che l’aveva destinata alla discarica. Ho provato a recuperarla assieme a mio papà, che per tutta la vita ha girato il mondo per riparare i macchinari Necchi. L’abbiamo aperta, mi ha mostrato i meccanismi interni, così precisi da sembrare quelli di un orologio. Mi si è aperto un mondo e ho iniziato a cercare macchine Necchi per rimetterle in sesto”. Così facendo, si è reso conto di quanto all’estero il nome Necchi fosse ricercato e di quanto fossero valutate in America e in Europa le macchine che a Pavia venivano relegate in cantina a prendere polvere o semplicemente buttate.
Nel 2019, Dell’Acqua e la sua compagna Laura Facioli hanno presentato la proposta del museo al bilancio partecipativo della città di Pavia. Non hanno vinto per un soffio. Da allora il gruppo si è ingrandito. Oggi Necchi Pavia Italia conta otto soci registrati, tra cui anche un’ex operaia della fabbrica: tutti volontari e per la maggior parte liberi professionisti che dedicano tempo e risorse all’associazione.
Il limite alla concretizzazione del progetto è la burocrazia. L’idea iniziale era quella di creare il museo all’interno dell’area cittadina dove un tempo sorgevano gli stabilimenti. Uno spazio enorme oggi di proprietà dalla società Pv01. Re Srl, che sta attraversando la fase di bonifica. “Finchè la bonifica non sarà completata, non è possibile avanzare ipotesi sulla fattibilità del progetto – spiega al Foglio Andrea Iucu, artista e collezionista membro dell’associazione che in vent’anni ha raccolto un’immensa mole di materiale sulla Necchi e si impegna per salvarne la memoria – Quello che ci chiediamo è: ‘c’è davvero l’intenzione di metterlo in pratica?’. Noi siamo un’associazione del fare, non abbiamo scopi di lucro. Vogliamo solo che la città riconosca il valore che la Necchi ha avuto per la sua storia. Mi sono confrontato con l’assessore al turismo, ho presentato una proposta formale tre mesi fa per l’assegnazione di uno spazio comunale. L’impegno c’è, ma i cavilli burocratici stanno rallentando tutto e non si sa quando e se si troverà una soluzione”.
L’urgenza è che la memoria non si perda. “Oggi il nome di Vittorio Necchi è praticamente scomparso. Le nuove generazioni non sanno nemmeno chi sia, e non per colpa loro. Eppure i miei nonni, i miei genitori e metà della gente che conosco ha lavorato nella fabbrica – continua Dell’Acqua – Quando la Necchi ha chiuso è stato uno shock per tutti. Ricordo ancora quando mio padre scoprì di essere stato cassintegrato. Era il 1992, il giorno dopo doveva partire per Malta. Aveva già la valigia pronta”. In questi due anni, l’associazione ha portato la storia di Vittorio Necchi nelle scuole, ha organizzato mostre all’interno dell’università e ha collaborato con l’ADI Design Museum di Milano per l’esposizione delle due macchine Necchi e la ricostruzione della loro storia. I membri dell’associazione hanno raccolto decine di testimonianze di ex dipendenti della fabbrica, con la prospettiva di trasformarle in un libro in futuro e hanno lanciato le visite guidate nei luoghi della Necchi a Pavia. “Senza questo lavoro, si perderebbe una fetta di memoria irrecuperabile – spiega Iucu – Mettere insieme una tale quantità di materiale sarebbe impossibile. Trovare qualche macchina da cucire e delle fotografie è un conto, ma noi possediamo oggetti e documenti originali inestimabili. Posso dire di aver raccolto in vent’anni l’archivio Necchi più vario e completo in assoluto. Ho tutto quello che serve per ricostruirne la storia operaia: dai tesserini alle buste paga, dalle réclame alle pubblicità sui giornali, i registi degli azionisti e fatture di ogni epoca. Tutto questo merita di essere esposto in un museo. Ora serve solo l’impegno della città perché si realizzi”.