la mostra
Il corpo dell'artista
Gesti ripetitivi, che mutano lo spazio. I “Contrapposto Studies” di Bruce Nauman
Venezia riapre attenta e decisa, adottando il metodo del “rischio ragionato” come mostrano le presenze nei primi giorni della Biennale di Architettura. Altrettanto decisa, forse anche perentoria, a seconda del proprio stato d’animo, è la mostra dell’artista statunitense Bruce Nauman presso Punta della Dogana. La storia dell’arte vive di impulsi, inattesi colpi di tosse, crescite non progressive e costanti perdite di equilibrio, diviene quindi naturalmente complesso costringerla in definizioni o sezionarla in periodi distinti. Ogni tentativo è una necessaria approssimazione al fine di divulgare, spiegare e cercare di capire. Ognuno poi ricalibra a proprio gradimento tali approssimazioni. Personalmente, l’arte moderna inizia con Édouard Manet e l’arte contemporanea con Bruce Nauman. Rifugiatosi oltre trent’anni fa in un ranch nel New Mexico, la carriera di Nauman è stata così intensa e influente per le nuove generazioni da farlo entrare già nel mito. Un po’ come Bob Dylan che è percepito là, a volte aldilà e ci si accorge che è ancora tra noi con l’uscita di un nuovo disco o con un’apparizione dal vivo.
Per Nauman il discorso è simile, la sua ampia produzione non stanca, godendo di un linguaggio riservato ai grandi, quello della semplicità. Gesti semplici che non vuol dire facili, anzi più sono essenziali e maggiore è la complessità di sintesi che richiedono. La mostra Contrapposto Studies (fino al prossimo 9 gennaio) prende come punto di partenza una recente serie di video installazioni, i Contrapposto appunto, costruendo attorno a essa un contesto animato da opere del passato, indietro fino a una delle sue prime opere, del 1968, Walking with Contrapposto (contrapposto è un termine che definisce l’arrivo del movimento nella scultura, segnando la prima volta nell’arte occidentale in cui il corpo umano viene utilizzato per esprimere una disposizione psicologica).
Nelle opere di quell’anno, quando Nauman non aveva mezzi per acquistare tele o colori, ma aveva però un suo spazio (lo studio) e una telecamera presa in prestito, fa quello che può e decide di compiere una serie di azioni con la provocatoria, duchampiana convinzione “sono un artista, quindi qualsiasi cosa faccia nel mio studio è arte”. Quindi, cammina in un angusto corridoio che si è costruito, rimbalza nell’angolo della stanza, marcia sbattendo i piedi a terra, cerca di sincronizzare le sue parole con quelle che ascolta in cuffia, cammina lentamente formando un angolo con il corpo, gira in tondo a testa in giù, etc. operazioni condotte con fare ripetitivo, giocando seriamente, come fanno i bambini.
In oltre cinquant’anni di lavoro, la ricetta espressiva di Nauman si potrebbe riassumere spazialmente intorno allo studio dell’artista quale luogo (ovviamente romanticizzato) di creazione ultima, fisicamente attraverso l’impiego del suo stesso corpo (massima economia di mezzi, poi il proprio corpo è sempre disponibile) e sensorialmente mediante l’esplorazione del suono come fenomeno fisico benché invisibile (l’opera Violins+Silence=Violence è del 1981). Il tutto, ritmato da massicce dosi di ripetizione. Gesti semplici e ripetitivi adottati nel corso di una singola opera, di un giorno, come nel corso di una vita. Nulla cambia, è solo una questione di scala. La ripetizione quindi come forma di cambiamento perché a furia di vedere ci si dimentica il nome della cosa che si vede. La mostra si sviluppa in forma circolare, attraverso performance dal vivo, video recenti e meno, sculture/strutture architettoniche che sovvertono lo spazio che le abita, e il suono che scandisce un tempo che altrimenti rischieremmo di dimenticare. Più che un viaggio Contrapposto Studies indica un ritorno dell’artista, un eterno, testardo ritorno alle origini di se stesso, fatto di disincanto, provocazione e cruda verità (e anche veli di ironia, guardando l’uso che l’ottantenne Nauman fa della tecnologia 3D, come un divertissement infantile più che un’illusione tecnologica presto destinata a essere obsoleta). Ecco quindi il corpo di Nauman che muta, i gesti semplici delle origini sembrano divenire ora gli unici possibili senza perdere controllo di sé. Malgrado l’enfasi sul proprio corpo e sui gesti, questa non è una mostra introspettiva ma comune a tutti, accentuata da quell’aderenza alla semplicità che stimola nel pubblico il classico “questo lo potevo fare anch’io”, alla stregua di un Mondrian, di un Rothko o un di Fontana. Bene, l’arte si mostra come qualcosa di possibile, accessibile, un atto liberatorio che avvicina il pubblico all’opera come all’artista, coinvolgendolo, magari stimolandolo. “Un’arte come attività che ha preso il sopravvento rispetto all’arte come prodotto”.