(Foto LaPresse)

Qualcuno vuol fare una domanda?

D'estate il libro è fritto

Ritanna Armeni

Non c’è festival né sagra senza il rito della presentazione di un volume. Con pericoli in agguato

Il rito prevede due o tre officianti. Il pubblico è prevalentemente femminile e poco giovanile. Parliamo della “presentazione del libro”, momento fondamentale di festival, eventi culturali, premi dell’estate italiana. Non c’è comune, associazione, libreria, fondazione che non ne proponga in un meritorio intreccio con la musica, con la pittura, con visite in luoghi storici e naturali di cui l’Italia è piena. Da alcuni anni l’estate del Bel paese non è solo festa dello gnocco fritto e dell’anguilla piccante, sagra del cinghiale e dell’anguria ma è anche un festival del libro, dello scambio colto, del gruppo raccolto e partecipe che ascolta e commenta scrittori, poeti, giornalisti. Evviva!

 

A migliaia  vogliono ascoltare l’autore di grido o il presentatore, che magari, è di grido anche lui. Per poi comperare e leggere. Ancora: evviva! Le cifre dicono che oggi si legge di più, che le librerie vendono, che gli editori producono. C’è davvero da essere contenti. Il libro non è più proprietà di un’élite, oggetto ostentato dai radical chic che possono permettersi di perdere tempo. Negli assembramenti estivi miracolosamente si ribalta l’immagine dell’italiano medio rozzo e dedito solo ai piaceri della tavola e delle partite di calcio. Non è più così. Non è solo così. Sotto il tendone, quando ancora batte il sole, nelle ore in cui potrebbe andare in discoteca o godersi un aperitivo è pronto a partecipare a una manifestazione culturale. Per raggiungerla magari ha anche fatto la fila, ha atteso a lungo per essere ammesso nel provvisorio ma ambitissimo tempio della cultura. 

 

Tutto bene dunque? Sì e no. Forse ma non proprio. Comunque non sempre. Perché sotto il tendone, nella piazza illuminata, nel cortile o nel salone del palazzo storico i protagonisti possono non essere all’altezza delle attese. Non sempre la presentazione viene officiata con la solennità, la professionalità e la competenza che i riti – soprattutto i riti – richiedono. Possono accadere piccole sgradevolezze, malintesi che rovinano il clima, incompetenze che ne guastano la celebrazione. Accade più di frequente di quel che si pensa. Ed è bene saperlo, pensarci ed evitarlo. Può avvenire che chi ha organizzato l’avvenimento e dovrebbe dire due parole – proprio due – giusto per presentare i protagonisti dell’incontro si dilunghi in infiniti ringraziamenti a sponsor, politici, aziende. Non ne deve dimenticare uno e recita la lista con una devozione pari alla noia di chi è venuto ad ascoltare. 

 

Può avvenire che il politico stesso voglia dire le due parole che poi due non sono. Quando le elezioni sono vicine è quasi impossibile da evitare. Allora l’atmosfera un po’ si guasta, però solo un po’. Chi ha deciso di partecipare al grande rito rimane paziente sperando che finisca il più presto possibile. L’inconveniente in fondo è piccolo, due minuti di noia si possono sopportare. Un piccolo obolo di pazienza per poi finalmente godere dei piaceri della cultura. Ma in agguato c’è un secondo pericolo. Secondo le regole, dopo l’organizzatore o il politico deve prendere la parola il presentatore, uno degli officianti più importanti, colui che, appunto, deve “presentare”  il libro,  descriverlo nei suoi aspetti più interessanti e anche nelle emozioni o nei pensieri che è stato capace di suscitare. Può accadere che il presentatore, soprattutto se è un giornalista o un altro autore, invece che del libro parli di sé stesso, dei suoi problemi, enumeri le sue competenze, citi articoli, saggi, libri che ha scritto. Dimentichi che il protagonista dell’incontro, il motivo per cui a dispetto del caldo, delle zanzare, rinunciando all’aperitivo o alla sagra dell’anguria la gente si è riunita, è, invece, quell’oggetto di carta con copertina, disponibile  anche in formato elettronico, che si chiama libro. Che il libro – romanzo, saggio, poesia, fumetto – è il primo attore della presentazione. Che ad esso devono essere dedicate tutte le attenzioni. Il presentatore divaga.

 

Il motivo di tanti svolazzi, digressioni, citazioni condite di complimenti nei confronti dell’autore è spesso tanto semplice quanto indicibile. Chi lo presenta non lo ha letto il libro, ha ritenuto inutile farlo, ha pensato che bastasse qualche frase brillante e a effetto. L’autore se ne accorge subito: nomi e luoghi sbagliati, citazioni prive di senso, trama ripresa pari pari dalla quarta di copertina. Si innervosisce, sul palco l’ordine si rompe. Il pubblico si rende conto che qualcosa non va, che il rito non procede con la fluidità e l’armonia necessarie e reagisce nel solo modo che gli è consentito. Si annoia, comincia a sbadigliare, forse rimpiange la salsiccia. Tuttavia rimane al suo posto perché attende l’autore.

 

Finalmente arriva il momento, il più atteso del rito, in cui lui o lei, chi ha scritto il libro, prende la parola. I presenti vogliono sapere tutto: come sono nate le pagine di cui si parla, le difficoltà incontrate; le caratteristiche dei personaggi. L’autore è, a questo punto, in una situazione di assoluto privilegio. Può dire qualunque cosa sicuro che le sue parole saranno ascoltate con attenzione e perfino devozione, che anche le riflessioni più personali saranno accolte con interesse. Ma l’autore, proprio l’autore, anche lui, può sciupare il clima. Avviene quando comincia con le lamentele: la sua fatica, neanche fosse un minatore, le difficoltà della  pubblicazione, gli editori tutti cattivi,  le emarginazioni cui è stato sottoposto, le ingiustizie del mondo dei lettori che premia i meno bravi, anzi a dirla tutta, sceglie prevalentemente la spazzatura. Se il tentativo è quello di rendere la propria immagine più eroica diciamo subito che fallisce. L’autore appare solo invidioso e la noia fa capolino anche nel momento più solenne del rito.

 

Può avvenire, però, persino qualcosa di peggio. Che l’officiante più atteso sia arrivato sotto il tendone magari in un paesino lontano sui monti o al mare  solo perché costretto dal contratto con la casa editrice o perché – attirato dall’amenità del luogo – abbia deciso di fare un paio di giorni di vacanza a spese degli organizzatori, Che, insomma, consideri l’ora che deve passare col pubblico un adempimento burocratico, una seccatura alla quale sottrarsi al più presto. E allora pronunci frasi di circostanza, non si curi di rispondere alle domande del pubblico. Poi scappi via adducendo treni, aerei, impegni improrogabili. Per una presentazione è un momento davvero sgradevole in cui il rito si può frantumare, la magia si dissolve. Il pubblico che ha sopportato l’elenco dei ringraziamenti dell’organizzatore,  gli svolazzi privi di senso del presentatore,  avverte la delusione.  Timida, muta, ma concreta. E diventa altrettanto concreto il rimpianto per la salsiccia e lo gnocco. 

 

Ma – diciamo la verità fino in fondo –  il rito può essere rovinato dal pubblico stesso che – e questo è un problema ineliminabile – in genere il libro non l’ha ancora letto. Sarebbe meglio allora che ascoltasse e apprendesse quel che c’è da apprendere per decidere se vale la pena di acquistarlo. Le presentazioni servono a questo e nel silenzio non c’è niente di male. Invece no. Organizzatore, presentatore, autore ritengono che il silenzio sia poco democratico, che il rito della cultura abbia bisogno dell’intervento del pubblico. Altrimenti che cultura è? Che democrazia è quella in cui parlano solo alcuni e gli altri tacciono?  Allora si esorta, si chiede l’intervento dei presenti. “Qualcuno vuol fare una domanda?

 

Ed ecco che la celebrazione, anche se tutto è andato decentemente fino a quel momento, può ricevere un colpo. Dal pubblico, restio a prendere la parola, alla fine qualcuno emerge. Con timidezza, con sicurezza, con arroganza. Dipende. Ma una cosa è certa. Nelle parole di quel qualcuno  il libro, che ha già faticato a essere presente in chi ha parlato prima, ora scompare del tutto. Diventa solo il pretesto per chi prende la parola per dire la sua: su come va il mondo, sulla cattiveria di qualcuno, sulle ingiustizie, sulla corruzione, sulle ultime notizie di cronaca. Gli altri ascoltano, ma a questo punto cominciano a perdere la pazienza. Le sedie si spostano, si va verso la porta. C’è qualche protesta, ma imbarazzo e noia hanno la meglio. Il presentatore interrompe, l’autore faticosamente risponde ma l’aura magica è scomparsa e l’assembramento dei corpi e delle menti, faticosamente conquistato dopo mesi di isolamento da Covid, si scioglie con qualche insofferenza. Poi per fortuna – dei libri , degli autori e degli editori – tutto si dimentica. E dopo un po’ di conforto al corpo (per fortuna anche nei luoghi della cultura si può mangiare un gelato) il rito ricomincia. Evviva!