Il coraggio ben ripagato di aver cercato un altrove letterario
L'Italia non è un paese dove brilla la narrativa breve, ma fioriscono le eccezioni: l'ultima è il libro di racconti di Massimo Gezzi
E’ un dato di fatto: in Italia la narrativa breve non funziona. Popoli di poeti, tuttalpiù romanzieri, il racconto si accosta bene ad altre lingue, l’inglese su tutti. Il racconto da noi non funziona. D’altronde, non esistono neanche più le mezze stagioni. Invece, basta volgere lo sguardo al nostro Novecento per rintracciare straordinari creatori di racconti. Visto che siamo in pieno Europeo calcistico si potrebbe fare un bell’undici di tutto rispetto. In porta Cesare Pavese, Italo Calvino e Dino Buzzati i due difensori centrali, Primo Levi e Tommaso Landolfi sulle fasce, a centrocampo Elsa Morante e Natalia Ginzburg accanto a Carlo Cassola e Alberto Moravia, in attacco Beppe Fenoglio ed Emilio Gadda. Una formazione da brividi.
Ma superare una certa narrazione è impossibile. Siamo un paese letterariamente retrogrado, dove un poeta non può essere altro che poeta, un narratore idem, e così via. Al massimo, agli autori è concesso il salto nella saggistica, ovviamente nella traduzione, ma mai e poi mai il crossover tra generi. Si fa peccato. Noi che abbiamo nelle nostre vene il sangue del rinascimento, dell’eclettismo affamato, ci ritroviamo a ingabbiare e ingabbiarci come bestie da allevamento.
Dunque, l’Italia non è un paese dove brilla la narrativa breve e chi si permette di mettere in dubbio l’assunto bruci nell’inferno del sottobosco letterario. Per fortuna, come sempre, per sempre, ci soccorre la realtà dei fatti. La nostra lingua sa fiorire dentro ogni genere possibile, e ci mancherebbe altro.
Ultima riprova in ordine di tempo è il libro di racconti di Massimo Gezzi, “Le Stelle vicine”, edito da Bollati Boringhieri. Gezzi ha trascorsi da poeta di calibro, il suo nome circola ormai da almeno venticinque anni, tra riviste e antologie, raccolte, è tra gli autori da segnalare in termini di bravura e costanza artistica. E’ un poeta vero, dotato di uno sguardo, sin dagli esordi, nel modo in cui prese a raccontare la sua terra di mare e Marche, fummo in molti a sentirlo autentico, necessario. Ebbene, anche Gezzi ha avuto il coraggio dell’altrove letterario, il risultato è questo libro di racconti, dodici per l’esattezza, in cui riesce a dar vita a una straordinaria ferialità umana, un presepio di viventi alle prese con gli affari della propria vita, affari spesso piccoli, apparentemente minimali, oppure giganteschi come può essere una malattia terminale. Lo sfondo di questi racconti, in alcuni casi evidentemente riferibile alla regione di nascita di Gezzi, le amate Marche, terra di poeti come poche altre, ha le stesse fattezze del nostro orizzonte. Ognuno di questi racconti potrebbe accadere a noi o ai nostri vicini di casa, o familiari, anzi, molto probabilmente alcune di queste narrazioni non sono distanti dalla realtà esistenziale di tante persone a noi care.
Questa, Gezzi ne sarà senz’altro consapevole, è e sarà sempre la lezione che imprime la poesia a quegli autori che scommettono su altri generi. Un’attenzione ai viventi, alle loro realtà, ai fatti che caratterizzano la loro vita, che nasce da quella osservazione speciale che solo i poeti hanno. I poeti guardano tutto veramente. Guardano. Ovvero stanno a guardia. E i racconti che offre Gezzi sono scritti da chi ha abitato i suoi personaggi con amore assoluto, con dedizione sofferta, con partecipazioni al male come al bene. A fatica si riesce a stabilire una gerarchia tra quelli più riusciti, consonanti, e quelli meno. Su tutti, se proprio un vincitore va stabilito, non si può non segnalare Sine Materia. Storia di un’infermiera e di Giovanni, un paziente, dove ruoli e dolori si inseguono e sovvertono, dove menzogna e verità al dunque rischiano di confondersi. Proprio come nelle nostre vite.