Pagina 69

Io, che noia! “Il libro delle case”

Mariarosa Mancuso

Verso lo Strega col metodo McLuhan. “Il libro delle case” cela la banalità dell’autofiction

Nulla ferma lo Strega, neanche la pandemia. Gli incontri con gli scrittori si fanno online, per proclamare la cinquina c’è il Teatro romano di Benevento, Clemente Mastella sindaco e Gigi Marzullo intervistatore della dozzina da sforbiciare (casa Bellonci, dove tradizionalmente si svolge la cerimonia, è inadatta alle folle). La curiosità era tanta: il favoritissimo Nicola Lagioia aveva a suo tempo ritirato dalla gara “La città dei vivi”, la molto favorita Teresa Ciabatti con “Sembrava bellezza” ha visto precipitare le sue quotazioni. Mistero, è una delle rare scrittrici italiane dalla penna sciolta e riconoscibile. Procediamo in ordine alfabetico, con il carotaggio di pagina 69 (secondo Marshall McLuhan, microcosmo che riflette l’intero libro).

 

Primo della lista, Andrea Bajani con “Il libro delle case”. Siccome “l’esperienza rende avveduti” – non è nostra, l’abbiamo rubata da qualche parte, potrebbe perfino essere di Caldéron de la Barca, “La vita è sogno” – sospettiamo un’autobiografia per oggetti. Una vita scomposta, qui nelle case della vita: tecnica che una volta serviva a evitare le banalità dell’autobiografia, e ora serve a evitare le banalità dell’autofiction.

 

 

Andrea Bajani a pagina 69 scrive “Io” maiuscolo, anche quando compare a metà frase, se segue un verbo è alla terza persona: “Io resta sveglio a lungo”, “Io sente il cigolìo della sedia”. Costrutto che credevamo possibile soltanto nei titoli di Eugenio Scalfari, “Incontro con Io” – del resto il giornalista filosofeggiante declina ogni responsabilità: “È il mio libro che ha fatto me”. Nella pagina in esame del “Libro delle case”, “Io” compare come sagoma sotto le coperte, “attraversata da lampi di colori”. C’è una spiegazione. “Ragazzo Digitale”, anche lui maiuscolo, ha le cuffie in testa e gioca a un videogioco, agitandosi sulla sedia che rischia di spaccarsi. Ecco perché “Io” resta sveglio fino alle 4 del mattino, a osservare la scarsa pulizia della stanza – delle varie case, questa è “La casa del materasso, 1997”. Abitata da studenti e scarsamente ammobiliata, si direbbe. Priva di qualità romanzesche. Tranquilli, il marchio di fabbrica dello scrittore sta per arrivare.

 

E dunque: “A tratti la sala si gonfia dei fari di un’auto che entra dalla strada”. Gonfia? Leggiamo e rileggiamo: è solo un verbo fuori posto, non l’accensione lirica che vorrebbe essere. Vale lo stesso per i batuffoli di polvere: “Sono soffici, si muovono in costellazioni improvvisate. Io s’invola in questo spazio, ha una galassia intera, un firmamento d’acari, sporcizia siderale”. Se siete di quelli che invece di illuminarsi prendono la scopa e spazzano, evidentemente avete un “Io” difettoso. Qui, “Io” dal suo materasso “cerca il sonno, screziato di tanto in tanto dagli ansiti che gli arrivano dall’alto”. Ragazzo Digitale all’alba smette di giocare, si lava i denti, tira lo sciacquone, esce. Appassionante, proprio da sbadiglio. “Poliziesco esistenziale”, suggerisce il risvolto. Troviamo più azzeccata, da aggiungere al dossier, la definizione di Gian Paolo Serino: “Romanticismo da catasto”.

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