l'altra faccia della guerra
Atmosfere cupe, vertiginose scene corali: “Il problema della pace” e i suoi orizzonti
L’infinita, stupida rincorsa al progresso e al potere, al tempo stesso così tragicamente e nobilmente umana. Il secondo atto della trilogia l'Età della Follia, di Joe Abercrombie
Il problema della pace è che non dura a lungo. O, forse, che quella che chiamiamo pace è soltanto l’altra faccia della guerra, un vuoto sinonimo nell’infinita, stupida rincorsa al progresso e al potere, che tuttavia sa essere al tempo stesso tragicamente e nobilmente umana. Questo sembra dirci Joe Abercrombie nel suo ultimo romanzo appena uscito per Mondadori, Il problema della pace, secondo atto della trilogia L’Età della Follia, con ottima traduzione di Edoardo Rialti, già voce italiana di G. R. R. Martin. E come in Martin, le pagine di Abercrombie trasudano di quel crudo realismo tipico del filone grimdark fantasy, unito al peculiare cinismo e black humor della voce narrante e a quelle atmosfere cupe, a metà fra Shakespeare e lo hard-boiled, che avevamo conosciuto con la trilogia de La Prima Legge.
Lo stile asciutto e pungente di Abercrombie, però, sa aprirsi in vertiginose scene corali dove i punti di vista si sovrappongono e si completano, come nella grande battaglia di Stoffenbeck o nella drammatica inaugurazione del motore a vapore, fulcro del libro. Le vicende prendono la mosse dal finale del precedente Un piccolo odio: nel giro di pochi decenni il progresso tecnologico ha proiettato l’Unione in un Rinascimento che ha raggiunto le conquiste dell’epoca moderna, come le fabbriche alimentate dal vapore, senza prima salire la scala dell’Umanesimo. Rappacificati i rapporti con il Nord e con la bellicosa Styria, e sedate nel sangue le rivolte operaie, il mondo sembra avviarsi verso una nuova era, il “grande cambiamento” promesso dalla scienza, e verso nuovi eroi: il giovane Re Orso, inesperto ma di buon cuore; Crepuscolo e Leo dan Brock, condottieri che ancora non conoscono il campo di battaglia; Savine, Vick e Rikke, un’imprenditrice, un’inquisitrice e una strega, donne di acume e coraggio, ma non meno fallibili degli uomini.
Sotto il velo di fumo della pace ardono però le braci di nuove guerre, alimentate da un laborioso intreccio di spie, rancori e tradimenti: nel Nord antichi nemici covano vendetta, c’è un complotto per spodestare Orso prima ancora che si sia accomodato sul trono, e gli operai in rivolta, guidati da Spezzatori e Incendiari, stanno raccogliendo le forze per insorgere con rinnovata violenza. Ci accorgiamo così che questi nuovi eroi sono in realtà uomini e donne già feriti, nel corpo e nello spirito, perché prima di impugnare il futuro devono strapparlo dalla presa dei vecchi – e in questo shakespeariano mondo di dardi e sassi, ci si ferisce semplicemente vivendo. È un mondo dove la magia sta svanendo sotto la spinta del progresso, eppure, come dice uno dei protagonisti, tra scienza e magia non c’è una voragine così ampia come certuni suppongono, e del resto “la maggior parte dei problemi si sono sempre risolti meglio con poche parole affilate, o un po’ di acciaio affilato”. L’Età della Follia appare dunque ancora manipolata da Bayaz il Primo dei Magi, pluricentenario tessitore di trame, e in attesa del suo ritorno sulla scena per il terzo e conclusivo volume, Abercrombie ci lascia con un monito e un suggerimento: il grande cambiamento non sarà forse quello che ci aspettavamo, e “non è mai il momento sbagliato per tenere la mano su un coltello”.