Luce d'Inghilterra. Il libro di Jamie Hawkesworth
In "The British Island", opera ambiziosa del fotografo inglese, si susseguono ritratti di uomini e donne e delle loro reti emotive
Jamie Hawkesworth è un fotografo nato nel Suffolk, nel sud-est dell’Inghilterra nel 1987. Nell’ultimo decennio si è affermato nel mondo della moda. Ha fotografato Kate Moss per Vogue, Gisele Bündchen appena svegliata e senza trucco, ma anche David Hockney per il New York Times Magazine. In questi giorni esce per Mack un libro dedicato al suo lavoro non commerciale, intitolato “The British Isles”. Si tratta, forse, dell’uscita più ambiziosa dell’editore inglese per questo 2021 e si candida a diventare un best seller.
Hawkesworth, che sarà a Milano il 6 luglio a Micamera per presentare il libro, è senza dubbio un grande ritrattista. Lo aveva dimostrato nel 2014 con il suo primo libro “Preston Bus Station”, un volume che presentava il lavoro realizzato stando per un mese alla stazione degli autobus delle piccola località nell’alta Inghilterra. Adolescenti, impiegati, operai, anziani. I volti della gente del popolo di Preston sono illuminati da una luce dorata che ne esalta bellezza e dignità. Quella stazione, un colosso brutalista scampato di recente alla demolizione, ha raccontato il fotografo: “E’ stato il primo luogo dove ho guardato davvero la luce. Ho cominciato a vedere, sentire e capire il suo effetto. Stavo diventando sensibile alla luce. Avere pazienza in un luogo di passaggio come quello mi ha permesso di far attenzione a ogni dettaglio. Tutto diventava significativo. Nel continuo movimento nelle giornate delle persone, la luce era diventata una lente di ingrandimento. Uno strumento per studiare e apprezzare la vita. Un freddo spazio di passaggio era diventato un paradiso”.
Di quel libro straordinario, ormai introvabile, “The British Island” è un po’ lo sviluppo, che fa uscire la poetica di Hawkesworth dagli spazi limitati di un “non luogo” a quelli indefiniti dell’intero paese. Anche qui ritroviamo i volti di uomini e donne di età, etnie, gruppi sociali diversi, ma la cornice è quella del paesaggio inglese. I ritratti, tutti scattati in contesti urbani, si alternano con immagini di coste, brughiere, campagne inglesi. La luce che si poggia sulla figura umana e sulla natura è la stessa: calda e dorata. E gli spazi selvaggi, dai grandi orizzonti, accarezzano l’idea del sublime e, forse, vorrebbero evocare le sconfinate distese dei sentimenti e delle trame emotive che albergano nei corpi dei protagonisti dei ritratti.
L’indagine del fotografo non ha sistematicità e non ambisce a restituire uno spaccato sociale dell’Inghilterra contemporanea, anche se il titolo sembrerebbe suggerirlo. Ciò che colpisce, e in un certo senso potrebbe anche infastidire, è il generale sentimento di positività che comunica questa la carrellata di volti. Non si dà conto delle profonde fratture del tessuto sociale. La dimensione multiculturale sembra pacificamente risolta. Le divergenze politiche non appaiono. Il nodo della Brexit non viene toccato. Ma, come si diceva, è forse la connessione tra l’uomo e gli interminati spazi e i sovrumani silenzi che si sviluppa nelle sequenza di immagini. E a ben vedere c’è un altro tema che ritorna, in varie forme, e che inframmezza la galleria di volti: quello, enigmatico, della casa.
Si tratta di un volume importante anche nelle dimensioni: con le sue 304 pagine, il libro costituisce una sequenza molto impegnativa. Ed è qui il tallone d’Achille di un’opera dal grande fascino. La sequenza, che poteva essere più selettiva, presenta alcune cadute, laddove si indugia, si esplicita più del dovuto (troppi i sorrisi, ad esempio) o si scivola in un’estetica più adatta alle pagine di Vogue che non a quelle di un canto alla bellezza vita.