Evocare Nietzsche
Uno spettro si aggira per la modernità, ed è il suo. Camurri risponde a Sofri
Caro Adriano, grazie per la tua Piccola posta e grazie per aver avvertito quel che ho provato a fare nel corso della trasmissione. Provo a riassumere così, tentando di risponderti: ho voluto fare apparire un fantasma, un mostro, un’ombra davanti a discorsi che altrimenti, nella consuetudine del racconto pubblico, rischiano di essere semplicemente edificanti e quindi di essere liquidati un po’ troppo facilmente come necessari esercizi civili e morali sufficienti a se stessi; un’abitudine che corre sempre il rischio di svolgersi – come è proprio dell’abitudine – con una ingenuità e uno spavento che, di per sé, paradossalmente, ha molto poco di civile e di morale; insomma come esorcismi e non, come piace a me, come evocazioni. Un po’ come hai fatto tu, magistralmente e dolcemente, quando hai scritto qui un pezzo che ho incorniciato, la Piccola posta in cui, dinanzi all’orrore di Santa Maria Capua Vetere, ti sei posto dalla parte non solo dei detenuti ma anche, con una profondità che fa precipitare in una mossa l’abitudine delle opinioni ben educate, dalla parte degli agenti picchiatori per la ragione venerabile che non farlo significherebbe ignorare tutto quel che sappiamo e sentiamo, persino abissalmente, di noi stessi in quanto umani. Il fantasma di cui ti sto parlando è proprio quel famoso frammento di Nietzsche che hai commentato: “Non ci sono fatti, ma solo interpretazioni”. E’ un’affermazione mostruosa innanzitutto per la sua formulazione logica: se la pensiamo come fatto smette di essere un’interpretazione e si nega da sola, mentre se la pensiamo come interpretazione si svuota di ogni pretesa e si sgretola tra i nostri pensieri con la stessa consistenza di un sogno.
Il frammento di Nietzsche – allievo di Dioniso, cioè il liberatore e il sovrano delle metamorfosi – proviene dunque da un altro mondo e, quando appare nel nostro, agisce contro le nostre abitudini concettuali e le nostre sicurezze. Uno spettro si aggira dunque nella nostra postmodernità, e questo spettro è Nietzsche.
Quando lo evochiamo, a volte mi sembra di ascoltare il sussurro di queste domande nietzschiane: ogni volta che noi lottiamo, agiamo e pensiamo in conformità ad alcuni valori, possiamo pretendere per loro un fondamento di verità oggettiva e fattuale oppure dobbiamo ammettere che non c’è altro fondamento che questo abisso? E se non è possibile trovare un fondamento (Vattimo, in piemontese, a lezione ci diceva: “l’Essere è camolato”, cioè il fondamento è tarmato), che cosa troviamo nell’abisso se non una decisione – nietzschianamente, una risposta a un impulso esterno – di cui non possiamo dire altro che sia un’interpretazione? E allora, se non ci sono fatti ma solo interpretazioni, è destino che vincano i più forti, i più spregiudicati frequentatori di mostri, i fondatori delle nobili menzogne ammantate di verità, i maghi delle interpretazioni fraudolente e delle post verità, oppure frequentare l’abisso è un’opportunità anche per i deboli (perdona la sciatta terminologia nietzschiana) di provare ad agire e a pensare diversamente e magari di trovare un sentiero di liberazione?
Forse i forti edificano e utilizzano i fatti perché i deboli non hanno ancora la forza di sostenere il peso delle interpretazioni, e allora – ultima domanda – perché continuare a farsi bastare gli esorcismi? Non sarebbe invece arrivato il momento di provare a fare anche qualche evocazione spettrale?
Ti abbraccio tanto,
Edoardo Camurri