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contro il tempo

Il mondo in corsa

Domenico Iannaco

La tecnica accelera senza freni. Ma l’esistenza umana segue tempi diversi

La storia dell’ultimo anno può essere pensata come una grande corsa contro il tempo, che la tecnica, intesa come prassi della scienza e non pura conoscenza, ha intrapreso per fermare il virus. Oggi sembra che quest’“arte” abbia quasi centrato il suo obiettivo, mettendo in mano all’uomo le “armi” per scongiurare questa minaccia mortale. Se la natura ha colto le società occidentali impreparate, infliggendo loro una lezione durissima e mettendo in discussione l’assunto, dato prima per scontato, che non era possibile un fenomeno tale da richiedere un cambiamento degli stili di vita, è pur vero che è stata la prassi della scienza ad assicurare la continuazione di un’idea di società. Nel bisogno non c’è stato tempo per pensare, si poteva solo “andare avanti” e se il livello di organizzazione, il progresso tecnologico, la capacità di gestione pratica della situazione e la ricerca medica non si erano rivelati abbastanza, non c’era altra soluzione che accelerare. In sostanza se la tecnica ha perso il primo round con il Covid, è stata poi la tecnica stessa a combattere e, si spera, a vincere la “battaglia”.

 

Il dramma mitico del suo sforzo sovrumano è passato quasi inosservato. Si è lasciato che una soluzione funzionale fosse adottata in ogni campo dell’esperienza umana: dalla politica alla cultura. La crisi ha ridimensionato le emozioni, ha favorito un processo in atto senza una vera discussione, perché la strada da percorrere era “scontata”. Una catastrofe porta con sé un balzo in avanti della tecnologia e getta le basi di quella che può essere una rivoluzione o un cambiamento. Questa crisi non fa eccezione, ma ha dei caratteri di novità rispetto a processi storici affini, che la rendono unica. La risposta a una situazione eccezionale è stata veicolata da una ricerca dell’efficienza e da una tecnologia, anche delle comunicazioni, che erano già “nell’aria”, in attesa di penetrare in tutti i campi della vita, della quotidianità. Se si parla di comunicazione, si deve per forza parlare di linguaggio e di psiche, che il termine piaccia o no. Si è dell’idea che ci si trova di fronte a due variabili, a due modi di vivere il mondo, che difficilmente possono essere coniugati.

 

Da un lato, la tecnica stessa, che non può non essere anche politica, che si basa sulla sua stessa velocità, per sopravvivere, dall’altro si ha l’essere umano con il suo “tempo”. L’uomo ha una struttura naturale, fisica ed emotiva, che risente dell’evoluzione ed è psicologicamente abbastanza delineata. Senza scomodare le neuroscienze, le teorie sul cervello, è facile rendersi conto che ogni persona, indipendentemente dalla sua flessibilità e capacità di adattamento, ha dei limiti oggettivi nel gestire un’accelerazione, che riguarda anche il modo di relazionarsi, di dire, di percepire. C’è chi potrà vedere il configurarsi di un nuovo equilibrio, semplicemente più avanzato; c’è chi di questo processo vedrà il lato oscuro. Molto dipende dalla capacità di gestire la trasformazione in atto, dettando, se possibile, un “ritmo” alla situazione. Non si è per nulla sicuri che il futuro sia già scritto. Purtroppo, o per fortuna, tutto dipende ancora dalla capacità di comprensione degli eventi e da una volontà di agire e di intervenire sulla realtà, perché, se si è convinti che la crisi pandemica e, soprattutto, il dopo crisi, si risolveranno in modo lineare, si finirà per scegliere la tecnica, il cui progresso non può essere fermato e tende a invadere ogni campo della vita. Si trascurerà la dimensione umana e psicofisica, che non può essere ignorata.

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