Intolleranze e cancellazioni. Ecco Il catalogo delle follie contemporanee
In un anno tutta la cultura è passata dal tritacarne ideologico. Un passo falso e finisci al rogo virtuale. Statue, persone, parole e libri. Se continua così non basteranno gli autodafé
Siamo alla Rutgers University, una delle più rinomate d’America. La statua del grande poeta americano Walt Whitman verrà rimossa dal campus a seguito delle petizioni degli attivisti e della raccomandazione di un comitato di studiosi. “La statua di Walt Whitman glorifica un uomo a cui non dovremmo dare un posto d’onore nel nostro campus. … Sosteneva la supremazia bianca e il razzismo contro i neri e gli indigeni americani”.
Da quando furono abbattute le prime statue dei generali confederati, un anno fa, la macchina per ripulire l’America da ogni traccia di “peccato” storico non si è mai fermata. Alcuni fecero presente che, una volta iniziato, non si sarebbero certo fermati al generale Lee. E ora siamo arrivati, dopo Abraham Lincoln e trentadue statue di Cristoforo Colombo, anche al poeta di “Foglie d’erba”. In Inghilterra non se ne vede la fine. Hanno eliminato i ritratti della regina Elisabetta da Oxford, “contestualizzato” (come si dice in burocratese neorazziale) Isacc Newton e Charles Darwin, fatto spazio al terzomondismo eliminando “I racconti di Canterbury” di Chaucer (che ispirò Pasolini ma oggi dà sui nervi), ribattezzato la torre David Hume a Edinburgo e bandito dai curricula “Buio oltre la siepe” di Harper Lee e “Uomini e topi” di Steinbeck…E se non fosse già abbastanza delirante, la casa editrice olandese Blossom Books, per essere “inclusiva” con i fratelli musulmani, ha tolto Maometto dall’Inferno di Dante. Che vuoi che sia allora cambiare nome a una scuola intitolata a Winston Churchill. C’è chi in cattedra lo considera più suprematista di Hitler. E dopo le statue hanno iniziato a cancellare persone in carne e ossa. E’ impossibile tenere il conto di tutti.
“Puoi essere cancellato per aver citato uno studio scientifico. Puoi essere cancellato per credere nel sesso biologico. Puoi essere cancellato per aver detto che il tuo paese non è razzista. Puoi essere cancellato per il tweet sbagliato. Puoi essere cancellato per aver criticato Black Lives Matter…” E’ lo slogan che campeggia sul sito “Canceled People”, un nuovo database che raccoglie le vittime della cancel culture che da un paio di anni divampa nelle società occidentali. Sono già 217 i nomi e viene aggiornato ogni giorno. Nel database si spiega che non è stato incluso chi ha usato espressioni razziste contro persone specifiche o negato l’Olocausto, ad esempio. Si è considerati “cancellati” per aver espresso opinioni ragionevoli ma considerate “blasfema” dal mainstream. L’intolleranza dei tolleranti.
Fino all’anno scorso, Daniel Elder, un musicista di Nashville, nel Tennessee, aveva davanti a sé una carriera promettente. Pluripremiato compositore, oggi Elder è così tossico che nessuno è disposto a farlo lavorare. Il suo editore lo ha bandito. I direttori si rifiutano di programmare la sua musica per paura di subire un contraccolpo. Cosa è successo di così grave? Elder ha rilasciato una breve dichiarazione su Instagram che è diventata virale durante le proteste di Black Lives Matter. Elder si era sempre considerato della sinistra moderata. Non era particolarmente politico, ma sosteneva cause liberal e sicuramente l’opposizione a ogni forma di razzismo. Il fatto che fosse dalla stessa parte degli attivisti progressisti “ha reso questa sorta di strano tradimento”. Elder, vedendo che nella sua città mettevano a ferro e fuoco negozi e tribunali, ha scritto un ultimo messaggio d’addio sui social: “Divertitevi a bruciare tutto, ciechi ben intenzionati. I’m done”. La mattina dopo lo accusano di essere “razzista” e “spazzatura suprematista bianca.” “Non consiglierò più le tue composizioni ai colleghi”. “Sono un direttore di coro e voglio informarti che non programmeremo la tua musica fino a quando non presenterai scuse pubbliche.” Il suo editore gli prepara una lettera di mea culpa, ma Elder rifiuta e viene cacciato. “Ho scelto di essere quello che non si è scusato. Le cose non sono andate bene”.
Una professoressa della Mount Allison University in Canada è stata appena sospesa senza paga a causa delle lamentele degli studenti che il suo blog personale era “razzista” e “discriminatorio”. La professoressa Rima Azar, originaria del Libano e che insegna Psicologia della salute, dovrà sottoporsi anche a un corso di “formazione su equità, diversità e inclusione” (hanno sempre un vago sentore maoista) per le sue “trasgressioni”, che includono “negare il razzismo sistemico” ed “etichettare Black Lives Matter un gruppo radicale”. “Il Canada NON è razzista” aveva scritto Azar. “Non abbiamo il razzismo ‘sistemico’. Abbiamo solo un’ingenuità sistemica perché siamo un paese giovane e perché vogliamo salvare il mondo”.
Nelle università è dura, durissima, la vita dei professori che mettono in discussione la vulgata “neri buoni bianchi cattivi”. Il direttore di una delle principali pubblicazioni accademiche, Harald Uhlig dell’Università di Chicago, il più noto economista tedesco negli Stati Uniti, dopo che ha criticato Black Lives Matter, paragonando l’organizzazione ai terrapiattisti per via della campagna a favore dello scioglimento dei dipartimenti di polizia, è stato messo in congedo dal Journal of Political Economy, una delle cinque riviste del settore in America. Il giornalista Andrew Sullivan ha scritto a difesa di Uhlig: “E’ rivelatore che con entusiasmo questi fanatici sostengano l’eliminazione e il licenziamento di pensatori sbagliati. E’ il loro primo istinto: quello di punire. Mi fanno schifo”. Un professore della Cornell Law School, William Jacobson, è stato censurato dal suo preside per aver criticato Black Lives Matter. Cosa aveva fatto di così terribile? Aveva chiamato i fondatori di Black Lives Matter “attivisti antiamericani che vogliono distruggere il capitalismo” (ingenuo, semmai, visto che le corporation sono tutte schierate con il woke). Una ricercatrice del Buffalo State College, Erica Cope, è sotto indagine per aver detto agli studenti di essere stufa di parlare ogni giorno di Black Lives Matter. Il professor Charles Negy, da ventidue anni docente di Psicologia all’Università della Florida, aveva scritto: “Il ‘black privilege’ è reale, affirmative action, borse di studio speciali e altri posti a parte, oltre a essere protetti dalle legittime critiche, un privilegio”. L’università vuole licenziarlo. Tim Gordon è stato licenziato dalla Garces Memorial High School, istituto superiore cattolico di Bakersfield, in California, per aver definito “terrorista” Black Lives Matter durante i saccheggi. Si può criticare il magistero della chiesa cattolica, ma si viene cancellati se si critica l’organizzazione afroamericana. Un professore dell’Università della California, Gordon Klein, è stato licenziato per essersi rifiutato di concedere più tempo per gli esami agli studenti durante le proteste di Black Lives Matter. Joshua Katz, un famoso classicista a Princeton, ha pubblicato un appello per la libertà di parola. “Non riesco a spiegarmi come qualcuno – persone straordinariamente privilegiate, vorrei sottolineare, professori di Princeton – diano vantaggi extra solo in ragione del colore della pelle. Fantasticare che si possa fare a meno della polizia è l’apice del privilegio. Negli Stati Uniti, grazie al cielo, la libertà di pensare è ancora un diritto, non un privilegio”. Katz è sopravvissuto alla richiesta di licenziamento, ma gli è stato tolto un incarico accademico. Un preside del Vermont, racconta il Wall Street Journal, è stato licenziato dopo aver pubblicato su Facebook: “Solo perché non vado in giro con un cartello Black Lives Matter non dovrebbe significare che sono un razzista”.
Lama Abu-Odeh, giurista della Georgetown University, assistendo a questi episodi ha avuto un deja-vu. “E’ un fenomeno che ho sperimentato personalmente in Giordania, dove sono cresciuta. Ho assistito all’entrismo degli islamisti in tutte le sfere culturali e accademiche. Quando frequentavo l’ultimo anno di giurisprudenza, ho scritto articoli sul giornale studentesco per denunciare questa presa. Un giorno, un amico di mio padre venne a dirci che il mio nome era stato pronunciato alla moschea durante il sermone del venerdì. Mio padre si è spaventato e mi ha fatto lasciare il paese. Sono andata in Gran Bretagna e poi negli Stati Uniti. Nel mondo musulmano, gli islamisti ora controllano le università e le principali istituzioni culturali. Trenta, quarant’anni dopo, non ce ne siamo liberati”. E’ con questo drammatico racconto personale che Lama Abu-Odeh racconta a Le Figaro la grande intolleranza. L’ideologia del “risveglio” ha tutti i crismi di una intolleranza religiosa. “L’islamismo iniziò così, reclutando dalla classe media istruita ed entrando nel sistema educativo prima di diffondersi nelle sfere del potere. Accademici neri della costa occidentale sono venuti a farci lezione. Fui l’unica, insieme a un altro insegnante, a esprimere riserve. Un collega mi ha detto: ‘Ma come osi interrompere una donna di colore?’. Ho amici nelle ong, nella cultura, che mi descrivono lo stesso fenomeno. Le persone iniziano a prestare attenzione a ciò che dicono. Ogni professore sa che può ottenere un aumento solo se giura fedeltà. Come nei sistemi totalitari, le persone alla fine prenderanno l’abitudine di tenere la testa bassa. Sto pensando di andare in pensione. Non voglio lavorare di nuovo in un’istituzione gestita da ideologi”.
L’intolleranza dilagava intanto nei giornali mainstream. Donald McNeil era un famoso reporter del New York Times, per cui ha lavorato cinquant’anni ed era stato appena nominato per il Pulitzer per i suoi articoli sulla pandemia da Covid-19. Due anni fa, McNeil aveva guidato un gruppo di studenti delle scuole superiori in un viaggio con il Times in Perù. In seguito, una manciata di studenti e alcuni genitori si sono lamentati del fatto che McNeil, che è bianco, aveva usato la parola “negro” per raccontare una storia e che aveva rifiutato l’idea che ci fosse il “privilegio bianco”. A McNeil “è stato chiesto a cena da uno studente se pensava che una sua compagna di classe avrebbe dovuto essere sospesa per un video che aveva fatto a dodici anni in cui usava un insulto razziale. Per capire cosa c’era nel video, McNeil ha usato l’insulto stesso”. Dunque, il giornalista non voleva chiamare usare “negro” per offendere, ma per capire in quale contesto la parola fosse stata usata. Tanto basta per essere distrutto. “Ora è la politica ufficiale del New York Times che per alcune parole l’intento non ha importanza, basta un solo colpo per affondare una carriera di 47 anni”, ha scritto Matt Welch di Reason. Il direttore del Times, Dan Baquet, ha messo alla porta McNeil. E non è certo il primo caso. Bari Weiss si è dimessa dal New York Times con una lettera che ha fatto furore e in cui scriveva: “L’autocensura è diventata la norma. Le regole residue al New York Times vengono applicate con estrema selettività. Se l’ideologia di una persona è in linea con la nuova ortodossia, quella persona e il suo lavoro non subiranno verifiche. Tutti gli altri vivranno nel terrore del Thunderdome digitale. L’odio online è tollerato fintantoché colpisce gli obiettivi giusti”. Non passa molto tempo che James Bennett, capo degli editoriali del New York Times, si dimette sotto pressione della direzione. La sua “colpa”? Aver pubblicato un editoriale del senatore Repubblicano Tom Cotton, che chiedeva l’intervento dell’esercito per fermare il vandalismo a seguito dell’uccisione di George Floyd. Cambiamo paese e “bibbia” dell’intellighenzia progressista. “Siamo nel marzo 2020. Da vari mesi provo a scrivere qualcosa – qualunque cosa – sul cosiddetto ‘dibattito sui trans’”. Così scrive Suzanne Moore, ex giornalista del Guardian costretta a lasciare il quotidiano per le sue tesi giudicate offensive sui trans. “Ma ogni qualvolta scrivevo che l’esperienza femminile appartenesse a persone con corpi femminili, la frase veniva cancellata in redazione. I miei capi dicevano delle cose del tipo: ‘Questo non aggiunge nulla al tuo articolo’, oppure ‘è una distrazione dalla tua tesi”’.
Cambiamo di nuovo paese e altra “bibbia” progressista. “Annuncio la mia immediata decisione di non lavorare più per Le Monde, una decisione personale, unilaterale e definitiva. La libertà non si negozia”. E’ con questo tweet che Xavier Gorce, famoso vignettista del giornale della sinistra francese, ha rassegnato le dimissioni. Poi una frase di Jean-François Revel: “Il marxismo ieri, il neoprogressismo oggi, con il pretesto di riparare le vere ingiustizie, tendono a sostituire un’ideologia dominante con un’altra. La nuova borghesia neo-progressista, presentando il razzismo e il sessismo come sistemici nel mondo occidentale, si esonera da ogni responsabilità, ottiene l’appoggio incondizionato del ‘dominato’ e giustifica il suo dominio morale”. Gorce aveva avuto l’ardire di pubblicare una vignetta considerata “transofoba”.
Gli intolleranti cambiano le parole e poi le usano per lapidare i dissidenti. Marion Millar, nota femminista scozzese, è stata accusata di “crimine d’odio” per presunti post “transfobici”. Rischia fino a due anni di carcere. Millar è stata accusata ai sensi del Malicious Communications Act per tweet pubblicati nel 2019 e nel 2020. Millar è stata arrestata e rilasciata su cauzione dalla stazione di polizia di Coatbridge dopo un’interrogatorio di due ore, accolta dagli applausi di un gruppo di sostenitrici, molte delle quali indossavano magliette con le parole con l’hashtag “#WomenWontWheesht”, le donne non staranno zitte. Millar era stata molto attiva nel dibattito sulla riforma del Gender Recognition Act scozzese, opponendosi all’autoidentificazione di genere.
Un portavoce di For Women Scotland, per cui lavora Millar, ha dichiarato al Guardian: “Marion è naturalmente sconvolta dal fatto che la polizia abbia deciso di portare avanti le accuse. Le ultime settimane sono state un incubo per Marion e la sua famiglia e sembra che non ci sia fine in vista. Purtroppo, in Scozia, sembra che sia la libertà di parola che i diritti delle donne siano sotto attacco. Come disse Salman Rushdie: ‘Nessuno ha il diritto di non essere offeso. Quel diritto non esiste in nessuna dichiarazione che abbia mai letto.’ La polizia e i politici sembrano aver perso di vista questo”.
Per i libri cancellati in quest’ultimo anno servirebbe un altro databse, come quelli per l’infanzia del celebre Dr Seuss. Un libro di settecento pagine, costato dieci anni di lavoro a Richard Cohen e intitolato “The History Makers”, è stato censurato dalla casa editrice americana Random House, in quanto conterrebbe “riferimenti insufficienti a storici, accademici e scrittori neri”. Prima il colosso americano aveva chiesto a Cohen di provare a rimediare, visto anche il lauto contratto di 350mila dollari firmato dall’autore. Così lo scrittore e storico inglese aveva provato ad allargare il capitolo sulla guerra civile americana. Ma nonostante la revisione, la casa editrice ha deciso di mandare al macero il libro di Cohen. Ma anche corsi di greco e latino, perché Aristotele, vero antesignano di Himmler, giustificò la schiavitù. A Princeton gli studenti non saranno più tenuti a imparare il greco e il latino per favorire un ambiente “più inclusivo ed equo”. La decisione è stata presa per combattere il “razzismo sistemico”. A Princeton insegna non a caso Dan-el Padilla Peralta, professore di Storia romana che ha fatto notizia augurandosi la “morte” della propria disciplina. Così, nel paese i cui Padri Fondatori erano grandi studiosi dei Classici (anche se per la verità neanche George Washington se la passa benissimo, cancellato dalle scuole di San Francisco), la Howard University, frequentata anche dalla vicepresidente degli Stati Uniti Kamala Harris, ha cancellato il Dipartimento di studi classici. Una scuola nel Massachusetts, a Lawrence, è arrivata a bandire Omero. L’Università di Wake Forest nel North Carolina ha costretto gli studenti a un corso chiamato “Classics Beyond White”, i classici oltre il suprematismo bianco. Va da sè che non importi che i Greci ci abbiano dato la democrazia e i Romani il diritto. In America ormai vedono razzismo anche in Cicerone… Se non fosse già abbastanza irritante, quel che è peggio è che lo chiamino anche “progresso”. Lo ha detto chiaramente la docente di Studi classici della Brown University, Johanna Hanink: “Se i Classici non cambiano, che brucino”.
Tanti libri in questi mesi sono scomparsi alla velocità con cui sono a malapena apparsi. La biografia definitiva di Philip Roth a firma di Blake Bailey per leso MeToo; il libro di Julie Burchill contro la censura per Hachette dopo l’accusa di “commenti islamofobi”; le traduzioni catalane e olandesi delle poesie di Amanda Gorman, che oggi è più considerata del Nobel nigeriano Wole Soyinka; “When Harry became Sally” di Ryan Anderson, un best seller critico del transgender, fino a un volume della popolare serie per bambini Capitan Mutanda. Il caso Anderson è rivelativo: Amazon lo ha bannato dalle vendite, sebbene non abbia mai preso provvedimenti simili per libercoli nazisti e islamisti.
Se continueremo a rileggere tutto il passato con le lenti di questo presente intossicato di ideologia, non si salverà niente. Perché come ha detto l’editrice Teresa Cremisi sul Journal du dimanche: “È il momento di celebrare Voltaire? Figurarsi, un islamofobo e antisemita. Rousseau? Impossibile, abbandonò i figli. Richelieu? Un traditore nato. Baudelaire? Un drogato misogino e depresso. C’è da domandarsi se almeno Santa Teresa di Lisieux potrebbe sfuggire al cattivo umore dei nostri contemporanei”.
Bruciano i Classici e i libri critici della teoria del gender. “Centoquarantasei persone ad Halifax, nella Nuova Scozia canadese, aspettano su una lista di prendere in prestito un libro dalla biblioteca. Una domanda incombe su di loro: gli attivisti gli permetteranno di leggerlo? Il libro è mio – ‘Irreversible Damage’ – ed è un’indagine su un mistero medico: perché il numero di ragazze e adolescenti che richiedono (e ottengono) la riassegnazione di genere è alle stelle negli Stati Uniti, in Canada, in Scandinavia e in Europa? In Gran Bretagna, è aumentato del 4.400 per cento nell’ultimo decennio”. Lo racconta Abigail Shrier. Il libro ha ottenuto il plauso di una rivista come l’Economist, non certo l’organo di propaganda della destra conservatrice. Eppure, è in corso una campagna per toglierlo dalla circolazione. “Un importante avvocato dell’American Civil Liberties Union ha chiesto che venisse bandito. Potenti organizzazioni come GLAAD hanno fatto pressioni contro di esso e sulle società – Target e Amazon tra le altre – per rimuovere il libro dai loro scaffali”. Su Science-Based Medicine, la dottoressa Harriet Hall ha appena condiviso le critiche di Shrier all’identità di genere applicata ai minori. “In un giorno, l’articolo della dottoressa Hall è stato inondato di mille commenti, per lo più, dice, da attivisti che chiedevano che l’articolo fosse rimosso dal sito, ma anche da alcuni lettori che esprimevano il loro apprezzamento. Le email arrabbiate degli attivisti hanno sommerso gli editori. Nel giro di due giorni, quegli editori avevano dato a Hall un ultimatum: ritrattare, riscrivere o consentire loro di aggiungere un disclaimer. Così ha deciso di far aggiungere un disclaimer degli editori che non erano d’accordo”. L’American Booksellers Association si è scusata per una pubblicità al libro.
Se i dipendenti di Amazon hanno chiesto al proprio datore di lavoro di censurare il libro, Halifax Pride, il festival LGBTQ annuale, ha annunciato che avrebbe tagliato i rapporti con il sistema bibliotecario della città per voler anche solo dare in prestito il libro di Shrier. Ci sono anche scrittori che hanno deciso di non mettere più piede nella biblioteca fintanto che avesse tenuto il titolo negli scaffali. “Vogliono che il libro sia cancellato dall’esistenza. Due copie in una biblioteca di quasi 1,2 milioni di volumi sono due di troppo”. E come racconta l’autrice sul Wall Street Journal, Grace Lavery, professoressa all’Università della California, è andata persino oltre: “Incoraggio a bruciare il libro di Abigail Shrier su una pira”.
Se continua così in occidente non basteranno più neanche le miserabili censure e i tristi autodafé. Bisognerà ripristinare i Bücherverbrennungen, i roghi libreschi di Goebbels.
Perché Leonardo passa a Brera