come prof. stagionate
L'invettiva passatista delle tre neodiplomate alla Normale di Pisa
Contro il merito e “l’accademia neoliberale”. Tirano fuori addirittura gli esami di gruppo ed è subito il ’68. Del secolo scorso, non di questo
Ho chiuso gli occhi e le tre neodiplomate della Normale di Pisa, che hanno fatto furore col discorso contro meritocrazia ed eccellenza universitaria, si sono trasformate in tre stagionate professoresse. Provateci anche voi: senza il supporto delle immagini, nel video del loro intervento alla consegna dei diplomi della Scuola fondata con decreto napoleonico risalta il lessico calibrato con la bilancia di precisione, strutturato secondo la più trita oratoria accademica. “Necessaria analisi del reale”, “confronto durato mesi, se non anni”, “profonda gratitudine verso ogni componente”, “condividere con voi alcune preoccupazioni”, “vale la pena di citare qualche dato”, “l’ateneo con cui sarebbe opportuno collaborare”, “corpo docente”, “produzione scientifica”, “performatività esasperata”, “problema sistemico”, “senso più formativo e meno performativo”, “occasione metodologica”, “variazione dell’offerta didattica” e compagnia cantilenando (tronco il catalogo altrimenti finisce lo spazio) sono tutti lessemi familiari a chiunque abbia un minimo di esperienza accademica, sintagmi che hanno cullato infiniti dormiveglia durante consigli di dipartimento, senati accademici, commissioni speciali.
Anche il fulcro dell’argomentazione non era niente di nuovo. L’invettiva contro la trasformazione dell’università in senso “neoliberale”, intesa come “università-azienda, in cui l’indirizzo della ricerca segue la logica del profitto”, è una chiacchiera diffusa da tempo nei corridoi degli atenei, tanto quanto i mugugni contro la valutazione puramente quantitativa della produzione. Andate a controllare quel che si scrive da anni sui forum di settore riguardo all’impact factor e alla famigerata classificazione Anvur per le pubblicazioni su rivista.
Il vero bersaglio dell’invettiva, sceverandola dai salamelecchi, è il darwinismo accademico – essendo retoriche, le tre normaliste lo definiscono “retorica dell’eccellenza e della meritocrazia”. Va dalla selezione in ingresso delle matricole della Normale tramite un tosto esame di ammissione alla competitività esasperata data dalla necessità di pubblicare a iosa per garantirsi una carriera accademica (il famoso publish or perish). Contestano il merito come criterio, la selezione come strumento e l’eccellenza come obiettivo – i cardini insomma della Normale stessa – e lo fanno scagliandosi contro l’innovazione introdotta dal Miur a fine 2016, quei dipartimenti di eccellenza che sono stati uno dei più rilevanti cambiamenti del mondo accademico. Desiderano che i corsi speciali della Normale si appiattiscano su quelli ordinari dell’Università di Pisa. Non è chiaro se vogliano rispolverare la tradizione di un’università imbolsita e moscia, di erudizione fine a sé stessa, in cui sia possibile traccheggiare all’infinito senza curarsi del rendimento; a un certo punto, contro “l’individualismo dell’accademia neoliberale”, tirano fuori addirittura gli esami di gruppo ed è subito il ’68. Del secolo scorso, non di questo.
In un contesto dove sovente la forma vale molto più del contenuto, il discorso divenuto virale perché sembrava rivoluzionario era sotto sotto conservatore, a tratti passatista. Forse colte da un dubbio in extremis, dicono “sappiamo che le nostre parole sono dure” ma poi concedono di star praticando “lo spirito di analisi e critica che abbiamo imparato in queste aule”. È vero: il loro intervento ha fatto rumore solo perché proveniva da quel contesto di riconosciuta e schiacciante eccellenza, con lo stemma dietro il podio e gli onusti lampadari un po’ opachi appesi fra scaffali elevati all’infinito. Senza tutto il cumulo di conclamata autorevolezza che la Normale si è costruita con due secoli di spietata meritocrazia, se lo stesso discorso fosse arrivato da un qualsiasi gruppo di studenti dai risultati mediocri, di quelli che costituiscono la stragrande maggioranza della popolazione universitaria italiana, nessuno ci avrebbe fatto caso né lo avrebbe ritenuto credibile. E infatti alla fine applaudono tutti.