pensieri orientali
In Cina l'idea di tecnica è diversa perché è diversa la metafisica
Il filosofo cinese Yuk Hui scrive "Cosmotecnica": noi abbiamo sempre separato mente e corpo, natura e spirito, loro no. Una diversa antropologia culturale che aiuta a elaborare una nuova e comune concezione della tecnologia
Benché la mia etica o deontologia giornalistica sia difettosa e instabile, mi permette tuttavia di capire che in un articolo di giornale è quantomeno acrobatico, o anche un po’ comico, affrontare grandi problemi filosofici. Mi consolo con un pensiero del grande poeta spagnolo Antonio Machado, che in uno dei suoi aforismi dice che “la prosa non si deve scrivere in tono troppo serio” e “quando si dimentica l’umorismo, buono o cattivo, si cade nel ridicolo”. Molta prosa filosofica attuale (ma questo succede da più di mezzo secolo) è non consapevolmente ridicola per mancanza di senso del limite. E quando ridicoli sono i libri, non si può temere di essere comici in un articolo. Soprattutto se l’umorismo è il solo modo che permetta di prendere le misure di ciò che viene scritto e del modo in cui si scrive iperfilosofando…
Mi azzardo perciò a dare poco più che notizia di un libro senza dubbio non facile da leggere, ma il cui contenuto e tema è sia filosofico che politico, geopolitico, storico e antropologico. Si tratta di Cosmotecnica. La questione tecnologica in Cina di Yuk Hui, filosofo cinese, docente alla City University di Hong Kong, che conosce bene la tradizione filosofica occidentale dai Presocratici a Husserl, Heidegger, Marcuse e vari contemporanei. Il libro, appena uscito da Nero Edizioni (pp. 287, euro 20), è tanto interessante quanto impegnativo. Mi chiedo quanti studiosi di filosofia abbiano una sufficiente competenza in materia di pensiero orientale e occidentale. Ma l’impegno che un tale libro richiede al lettore è compensato dall’interesse, come dicevo, della notizia che trasmette: il gigante economico, sociale e politico che oggi è la Cina, destinata probabilmente a superare gli Stati Uniti anche nella produzione di nuove tecnologie, non ha però della tecnologia la stessa idea che si ha in Occidente. Un’idea fin troppo ispirata da vari cortocircuiti semplificanti dovuti all’interpretazione che Heidegger ha dato della metafisica greca; ma anche dalla separazione tra pensiero e materia stabilita da Cartesio; e infine dall’opposizione di Kant tra fenomeno (ciò di cui si può avere esperienza sensibile) e noumeno (ciò che le cose sono in sé, cioè pensabili ma non esperibili). Ecco, dice Yuk Hui, la cultura cinese pensa la tecnologia e i suoi problemi secondo una tradizione culturale del tutto diversa anche nella sua terminologia, in cui si mescolano taoismo, confucianesimo, buddhismo e quanto resta del marxismo maoista (di quest’ultimo, però, mi pare che Yuk Hui non parli abbastanza).
Cosmotecnica si divide in tre parti. Dopo una lunga introduzione si esaminano separatamente da un lato il pensiero tecnologico cinese e dall’altro il rapporto fra modernità occidentale e coscienza tecnologica. In Cina non è mai esistito, per esempio, ciò che in Occidente è indicato con il termine “modernità”. L’ipotesi sostenuta da Yuk Hui è che “in Cina la tecnica nel senso in cui la intendiamo oggi – o almeno in cui è definita da alcuni filosofi europei – non è mai esistita”. All’origine di questa diversità c’è una diversa cosmologia e metafisica, una diversa idea del rapporto fra il cosmo e il genere umano. In questo senso la tecnica è sempre una “cosmotecnica”, cioè un modo di concepire quella che in Occidente si presenta come una opposizione fra tecnica e natura, fra gli strumenti che usiamo e l’intera realtà non umana, fra le nostre azioni e lo sfondo dell’intera realtà. Dove noi occidentali separiamo e opponiamo, i cinesi tendono a unire. E questo non dovrebbe servire semplicemente a comprendere la diversa antropologia culturale dei cinesi rispetto a noi, potrebbe aiutare tutti, sostiene Yuk Hui, oggi e nel futuro, a elaborare una nuova e comune concezione della tecnologia. Una prima e fondamentale differenza è che mentre in Occidente, dopo il pensiero critico di Kant, che stabilisce i confini del sapere scientifico, la metafisica è considerata un oltre razionalmente inaccessibile, la metafisica cinese è invece un aldiquà pragmatico, tuttora dentro l’agire umano, non aldilà e al di fuori di esso…
Qui mi fermo! Dubito di aver capito bene, ma temo anche, per esempio, che una versione ideologicamente, politicamente attuale di concezioni metafisico-pragmatiche tradizionalmente cinesi possa essere oggi usata come una specie di religione di stato. Un bel guaio e forse un altro, prossimo venturo, “scontro di civiltà”. Il culto dell’Armonia e dell’Unità può facilmente diventare, in politica, dogma dell’unanimismo, cioè: guai a chi dissente. Pensavo di poter essere comico, vedo invece che sono preoccupato. E se il modo di filosofare cinese, invece di formulare problemi, si segnalasse per la sua comoda capacità di eliminarli, i problemi?