(1950-2021)
Antonio Pennacchi fasciocomunista? No, scrittore e operaio che aveva capito la storia d'Italia
Una email inedita: "Speriamo di riposare anche noi in pace, quando sarà l'ora". Le sue pose e il suo tono disincantato e strafottente. La storia di uno scrittore che ha saputo esplorare e raccontare anche le contraddittorie radici del fascismo. Se ne è andato a 71 anni
“Volevo ringraziare per la bella ed assai acuta recensione de La strada del mare. Neanch’io m’ero accorto che la più possibile chiave tematica del libro stesse nei ‘riposino in pace’. Grazie di nuovo. State bene, in bocca al lupo a voi e al Foglio e speriamo di riposare anche noi - quando sarà l’ora - in pace, Antonio Pennacchi. Grazie di nuovo e saluti, Pennacchi”.
Fa venire un po’ i brividi rileggere questa mail ora che lo scrittore se ne è andato. Un piccolo inedito, come è inedito quello che ci disse un’altra volta in un’intervista poi non pubblicata, in cui tenne a ricordarci la sua grande stima per “Diego Armando Maradona e Pasquale Squitieri, perché sono gli unici che quando i giornalisti si affacciavano al cancello di casa, loro pum, e sparavano addosso”. Una posa, in realtà. Canale Mussolini per cui aveva preso il Premio Strega, Il fasciocomunista da cui era stato tratto un famoso film, Canale Mussolini. Parte Seconda e La strada del mare che raccordavano l’epopea, raccontavano tutti di una famiglia di coloni dell’Agro Pontino arrivati al fascismo attraverso il sindacalismo rivoluzionario e l’interventismo democratico, e i tra i cui innumerevoli rampolli la gran parte era poi tornata a sinistra, salvo un personaggio che invece era tornato al neofascismo, per poi prendere a errare per l’arco politico: dai maoisti a Craxi, e da Fini al Pd. Ancorché trasfigurata era la storia della sua gente, e l’irrequieto “fasciocomunista” era lui. Qualcosa di diverso e anche opposto dai “rossobruni” oggi di moda che tirano Marx al sovranismo. Al contrario, lui aveva esplorato le pur contraddittorie radici progressiste del movimento di Mussolini, esaminando quanto era passato dal socialismo al regime e poi al regime all’Italia repubblicana. Prima di scrivere epopee familiari, gialli, romanzi di fantascienza, libri sugli uomini di Neanderthal si era messo a studiare sistematicamente gli esperimenti urbanistici del fascismo, le città di nuova fondazione. Ma con un tono disincantato e strafottente, pensato in un aggressivo e sanguigno romanesco. Anche se poi all’intervistatore chiedeva spesso: “Per favore, cerca di farmi parlare in italiano”. Ovviamente, era romanista arrabbiato. Anche nel lontano futuro della sua Storia di Karel, c’erano ancora tifosi giallorossi che imprecavano al ricordo del “goal di Touronne”.
Fratello di un famoso giornalista e di una sottosegretaria pd del governo Prodi, lui in realtà era operaio. Lo ha fatto per oltre trent’anni; è stato anche sindacalista; si è laureato sfruttando una pausa di cassa integrazione; e il Premio Strega l’ha subito dedicato ai vecchi colleghi. Spiegava che sono stati i suoi colleghi operai, assieme al suo barbiere e al bar, la palestra in cui la sua lingua ha compiuto l’operazione che Manzoni definiva “sciacquare i panni in Arno”. Pur brontolando, accettava di disquisire su tutto. Frammento di una conversazione. Avendo recensito anche Canale Mussolini 2 ho cercato di sviluppare la chiave individuata là. E mi sono inventato questa, Se ci vogliamo allargare, come si dice a Roma, ci potremmo paragonare lei a Giovanni Giolitti e io a Benedetto Croce, quando appunto Giolitti disse che aveva capito le linee guida della sua politica più leggendone la spiegazione nella Storia d’Italia dal 1871 al 1915 che mentre la faceva. Anni a recensire i suoi libri, ogni tanto una intervista su temi di attualità. La caratteristica di Pennacchi era che esordiva sempre affermando di non credere “di avere niente di particolare da dire”. Poi invece finiva per dire sempre cose interessanti. L’ultima volta si era commosso. “Alla prossima intervista, Stefanini”, mi aveva salutato. “E un abbraccio”. Se ne è andato, oggi, a 71 anni.