No, non è questa la fine del mondo
Dubitare dei dogmi sull’apocalisse climatica non significa negare il global warming, ma riconoscere che non tutta la comunità scientifica è concorde nel teorizzarlo. Contro l’ansia profetica di chi deforma la realtà
Non ho il piacere di essere uno scienziato, ma nemmeno il dovere di esserlo. Quando si parla del caldo e del freddo nel pianeta in cui ho la residenza fiscale, del mio diritto a testimoniare idee in base a esperienza di vita e intelligenza delle cose nessuno è autorizzato a dubitare. Fa molto caldo, e caldo umido proprio insopportabile, qui dove sto. Il primo cretino che intende escludere dalla discussione puntuale sul riscaldamento globale gli assetti locali e percepibili del clima lo fulmino. Se vado a Sils in Engadina la notte fanno sei gradi, di giorno non si superano i venti, al mattino sono tredici; e i vasi di fiori nelle verande sono protetti da graziosi ombrellini che li riparano dalla pioggerellina intermittente, e se alcuni ghiacciai si sono ritirati, bè, non è un fenomeno nuovo inspiegabile antropico la mobilità dei ghiacciai, non per forza e non per modelli predittivi. Nel mio orizzonte vitale, limitato come il vostro, c’è anche questo, e non posso e non voglio cancellarlo. Non crediate di fregarmi con il permafrost siberiano, l’ondata di calore canadese, il lago boliviano desertificato, gli incendi da piromania in alcune località del Mediterraneo e altre notizie di esotismo climatico estremo che sembrano allevate e coreografate come in una danza di polli in batteria. Non ci casco.
Una persona intelligente mi ha detto di cambiare il mio registro dal negazionismo alla categoria non già della mitigazione del fenomeno globale, ma dell’adattamento del mondo alle sue conseguenze prevedibili. Che vuol dire? E’ ovvio. Il clima fa brutti scherzi, è forse questo un periodaccio, ce n’è stato nel passato storico tracciato e raccontato dall’antichità al Medioevo alle soglie del moderno, in certi luoghi della Terra si producono fenomeni estremi, bisogna provvedere. Chi lo nega? Io non sono di una setta irreligiosa che nega il dogma del global warming, sospetto casomai l’unanimismo ideologico apparente, non suffragato da equivoci modelli algoritmici contestati ampiamente da parte minoritaria eppure magistrale della comunità scientifica e dall’osservazione storica. Quando mi direte perché non si è esaurita l’acqua come prediceva stentoreamente il Club di Roma per i nostri anni, allora sarete più credibili ai miei occhi. Quando mi dimostrerete che l’accanimento politico pianificatorio delle conferenze internazionali non è analogo al negazionismo di stile trumpiano, ossessivo ed eccessivo, faremo i conti con le vostre idee. Mettere il basto allo sviluppo, orientare in un senso o nell’altro le rivoluzioni industriali a cascata dei nostri decenni, affermare o disdire l’autorevolezza di istituzioni onusiane che predicono tutto ma spesso, come nel caso della pandemia, sanno poco o niente prima dell’evento, imporre un modello culturale e d’opinione e di ricerca costi quel che costi, non solo mobilitando ingenti risorse, perfino facendosi mallevadori di profetesse da cartoon come Greta, tutto questo attivismo mi sconcerta e irrita il mio scetticismo. Dovete piantarla lì di dire che il mondo sta finendo. Avete rotto la balle.
La penso come Franco Prodi, che non è un bastian contrario ma una persona estremamente seria, mi sento rappresentato dalla sua faccia larga, dal suo ciuffo, dalla misurata pacatezza delle sue osservazioni. Diffido invece dei funzionari del global warming, delle chiassate, della fabbrica di suggestioni e immagini che non appartengono al dolore del mondo, del mio mondo, ma alla sua rappresentazione deformata, volontaristica, spiegabilmente ottusa nella sua ansia profetica. Abbiamo pagato prezzi assurdi al perseguimento del bene, nel secolo scorso. Accetto solo atti di bontà casuale, irriverente, privata, come la mia amica che si è negata l’acqua minerale a Milano perché è stufa di tutta quella plastica, vabbè, mi sembra autentica e sincera, ma non venite a dirmi che le mareggiate che si mangiano le coste e la rivolta periodica del fiume Reno, un Dio da sempre feroce e vendicativo, vanno spiegate con la vostra nuova religione, che l’acqua sta per arrivare in Piazza San Pietro come dovevano fare i cosacchi di Stalin. Se poi l’argomento è che siamo troppi, bè, non voglio peccare di naturalismo darwiniano se vi dico che ci penserà la natura a equilibrare il numero dei terrestri. Voi non ne avete titolo.