Come il folle di Nietzsche, non cerchiamo più nulla. Dio è morto, per ora
I grandi ideali moderni dell’autonomia e della libertà individuale non sembrano essere diventati più forti per il fatto di essersi emancipati da Dio, né sembra averci guadagnato la ragione. La sentenza del filosofo sulla cultura europea
L’aforisma 125 de “La gaia scienza”, in cui si narra dell’uomo folle che si aggira per il mercato con la lanterna accesa alla chiara luce del mattino, è sicuramente uno degli aforismi più celebri di Friedrich Nietzsche. “Cerco Dio! Cerco Dio!”, grida il folle, prima di emettere la famosa sentenza: “L’abbiamo ucciso – voi e io! Siamo noi i suoi assassini”. La sentenza di Nietzsche evoca chiaramente la vicenda del Golgota. Da allora, chi più chi meno, tutti andiamo a cercare con la lanterna “la luce”, senza accorgerci di esserne avvolti; tutti uccidiamo Dio nei modi più diversi, come ci viene attestato da una storia più che bimillenaria. E’ questa la scandalosa follia, che Nietzsche scandaglia come pochi altri in tutta la sua abissale profondità. Ma davvero la nostra cultura cerca ancora Dio? Davvero ci sentiamo i suoi assassini? O è il caso di dire che la vicenda semplicemente non ci riguarda più? Ammesso che l’abbiamo ucciso, non abbiamo forse sgombrato il campo da un’opprimente superstizione? Niente rimorsi quindi.
Eliminata la luce, non ci restano che le nostre deboli lanterne per orientarci nel buio in cui siamo, ma va bene così. E’ questo il punto in cui si trova oggi la cultura europea rispetto alla sentenza di Nietzsche. Il nietzscheano Uebermensch avrebbe dovuto rappresentare l’alternativa, una sorta di equivalente funzionale, al Dio cristiano e alle idiosincrasie connesse, prima fra tutte l’idea di verità. Ma oggi, lo vediamo abbastanza bene, non c’è più nemmeno il nichilismo eroico di Nietzsche ad arginare la miseria dell’“ultimo uomo”, colui che confida soltanto nei piaceri, dileggiando l’amore, la creazione, la nostalgia e le stelle. Sì, della sentenza nietzscheana resta forse qua e là la ribellione contro il banale nichilismo della società dei consumi e del divertimento e qualche volta la disperata consapevolezza di che cosa si perde, una volta che si è perduto Dio. Ma per il resto siamo tutti in balia di un pervasivo materialismo pratico fondato naturalisticamente, tale per cui di Dio non c’è più alcun bisogno e l’uomo dovrebbe compiacersi di essere semplicemente l’ultimo stadio evolutivo di antiche comunità batteriche.
Per dirla con la nietscheana “Genealogia della morale”, ma in un senso opposto al suo, sembra che davvero dovevamo fare l’esperienza della distruzione dei “valori cristiani”, l’esperienza del nichilismo, per comprendere fino in fondo quale fosse “il valore stesso di questi valori”. I grandi ideali moderni dell’autonomia e della libertà individuale non sembrano essere diventati più forti per il fatto di essersi emancipati da Dio, né sembra averci guadagnato la ragione. Tutto, persino l’uomo e la sua dignità, è diventato plastico, rivedibile, negoziabile, in ultimo, dipendente da noi. Paradossalmente, però, insieme a tutto questo, vediamo crescere un lacerante disagio esistenziale, nonché il potere di un apparato politico-scientifico-tecnologico-economico, funzionante sempre di più come se gli uomini non esistessero. Non mi sembra una situazione entusiasmante.
In un mondo di tal fatta, le nostre parole, anche le più belle, diventano vane, né serve a riscattarle la boria di chi si sente finalmente emancipato dalla tradizione all’interno della quale esse traevano il loro significato. “Se Dio non esiste tutto è permesso?”, domanda Nicolás Gómez Dávila, altro grande scrittore di aforismi, con chiaro riferimento a Dostoevskij. “No”, è la sua risposta. “Se Dio non esiste nulla ha importanza. I permessi sono risibili quando i significati si annullano”. E così, come il folle di Nietzsche, giriamo per il mercato con la lanterna accesa alla chiara luce del mattino, ma senza più cercare alcunché. I significati si sono annullati. Le sentinelle che aspettano l’aurora ci dicono comunque di non disperare, che in fondo si tratta sempre di un frammento della stessa storia, diciamo pure, della stessa follia. Dio non è morto, si è semplicemente eclissato e da un momento all’altro potrebbe di nuovo illuminare il cuore e la mente degli uomini. Martin Buber lo dice espressamente: “Nelle profondità avviene qualcosa che non ha un nome; già domani potrebbe giungere un cenno dall’alto, al di sopra delle teste degli arconti. L’eclissi della luce di Dio non è l’estinguersi, già domani ciò che si è frapposto potrebbe ritirarsi”.