Foto: Joshua Earle

Umanesimo green

Se l'ecologismo apocalittico fa danni, bisogna rimettere l'uomo al centro. Un libro

Roberto Persico

L’esperienza sul campo ha insegnato a Michael Schellenberger che l’Amazzonia non è il polmone del pianeta e che le energie verdi consumano molto più suolo del nucleare. Per rompere i tabù sulla narrativa del clima ci vuole un “umanesimo ambientale”

Greta Thunberg non vi sta tanto simpatica, ma non sapreste dire bene perché? Le profezie di una prossima fine del mondo da catastrofi climatiche vi sembrano eccessive, ma quando siete a cena con un ambientalista d’assalto vi trovate a corto di argomenti? L’apocalisse può attendere di Michael Schellenberger, Marsilio 2021, è il libro che fa per voi. Anche perché l’autore è uno che nell’ecologismo duro e puro è nato e cresciuto: ancora al college è in prima fila nel boicottaggio della carne di Burger King, negli anni dell’università lavora nel Nicaragua sandinista a sostenere le piccole cooperative agricole, ha poi vissuto a lungo in Brasile e in Africa, sempre occupandosi di rapporti fra ambiente e sviluppo. Ma proprio l’esperienza sul campo gli ha insegnato che le cose stanno in modo molto diverso da come l’ambientalismo estremista le presenta; e qui, dati alla mano, smonta uno per uno “errori e falsi allarmi dell’ecologismo radicale” (così il sottotitolo).

 

Così il lettore scopre – scegliamo alcuni spunti fra i mille possibili – che i tanto sbandierati incendi in California e Australia non dipendono dal clima ma da fattori umani; che l’Amazzonia non è il “polmone del pianeta”, perché le foreste tanta CO2 assorbono quanta ne emettono, il disboscamento è un fenomeno fisiologico nello sviluppo umano, esattamente come accadde nell’Europa medievale, e gli interventi in Brasile di Greenpeace hanno peggiorato la situazione anziché migliorarla; che l’impoverimento dell’Africa centrale è legato molto più alle condizioni politiche che all’andamento delle temperature; che il crollo della caccia alle balene è l’esito del progresso tecnologico – prodotti innovativi che hanno sostituito quelli ricavati dai cetacei – molto più che delle iniziative ecologiste; che le energie verdi (solare ed eolico) “consumano” infinitamente più suolo del nucleare, e se si dovesse alimentare davvero con queste un paese come gli Stati Uniti, occorrerebbe una superficie molto superiore a quella oggi dedicata al pascolo (per non parlare degli uccelli massacrati dalle pale eoliche); che gli allevamenti intensivi sono più ecologici del pascolo naturale tanto caro agli ambientalisti; e così via.

 

Per finire: l’energia più pulita è il nucleare, e la miglior salvaguardia dell’ambiente è la crescita economica: “Nei paesi ricchi c’è maggiore resilienza, quindi concentriamoci su come rendere gli individui più ricchi e più resilienti”. Il problema, osserva Schellenberger, è che “oggi l’ambientalismo è diventato la religione laica dominante delle élite colte di ceto medio-alto. Fornisce una nuova versione del racconto sullo scopo della nostra esistenza, individuale e collettiva. Suddivide le persone in buoni e cattivi, eroi e malfattori: e lo fa con il linguaggio della scienza, che gli conferisce credibilità”. In un’epoca di crollo di ogni valore, offre ai suoi sostenitori un ideale a cui dedicare la vita; ma la medaglia ha il suo rovescio: l’insistenza sull’apocalisse prossima ventura dissemina ansia, depressione, rinuncia. Detto tutto questo, il problema dell’ambiente rimane serio; ma proprio per questo va affrontato seriamente, con equilibrio e dati, non con slogan e pregiudizi: occorre passare da un “ambientalismo apocalittico”, che al fondo ritiene gli umani il cancro della Terra, a un “umanesimo ambientale”, che salvaguardi, insieme al benessere del pianeta, quello di chi lo abita: “Con attenzione, tenacia e, oserei dire, amore, credo che ci avvicineremo all’obiettivo condiviso dalla maggioranza, perché la stragrande maggioranza della popolazione mondiale vuole la natura insieme alla prosperità”.

 

Di più su questi argomenti: