la morte dell'attrice
Piera Degli Esposti, il verbo nuovo del teatro che lottava contro l'osssigeno
E' morta a 83 l'attrice bolognese. Dall'"oscar della bocciatura" alla "Storia" con la Maraini. Apprezzata da Eduardo, anche al cinema aveva lavorato coi grandissimi: da Wetmüller a Bellocchio passando per Sorrentino. La camera ardente in Campidoglio, il 17 agosto
Piera Degli Esposti era una bimba che custodisce un segreto. Sabato pomeriggio la morte, con cui l’attrice faceva a pugni da due mesi e mezzo in un ospedale romano, si è portata via la sua forza nascosta. Tutti sapevamo che lei aveva percorso fino in fondo il mistero del teatro; quest’iniziazione per un’interprete consiste non tanto nell’essere grande o grandissima, ma nell’essere diversa, e se possibile – per lei lo è stato – unica. Degli Esposti era unica ed era fedele al segreto che la rendeva tale.
Unica lo era per diritto di nascita, per quella sua vita che, a quattro mani con Dacia Maraini, era diventata la Storia di Piera; e il libro, a sua volta, si era trasformato in un film importantissimo grazie al regista Marco Ferreri. Era unica perché da sola, bambina, aveva imparato gli esercizi per “potenziare” il diaframma, li aveva inventati per così dire, chiudendo i cassetti del comò con la spinta della sua voce: una voce che chiudeva cassetti e apriva spazi di inimmaginabile intelligenza espressiva. Era unica perché aveva preso tanti “No!” all’inizio della sua carriera, aveva bussato a tante porte che non si aprivano: “Avevo l’Oscar della bocciatura”. Ma aveva resistito, poiché le era chiaro già allora che per essere, nel teatro, bisognava prima di tutto resistere.
Anche i copioni di Piera avevano dei segreti, lei li chiamava “i miei cerchiolini”: dei segni con cui definiva l’intensità dei toni, l’ampiezza delle sillabe, costruiva una partitura concertistica dentro la quale viaggiare con le corde vocali, con il suo istinto selvaggio e infallibile, di antica creatura. Antonio Calenda l’aveva accolta al Teatro dei 101 e in quel piccolo spazio, che, lei amava ripetere, con la sua comicità naturale e surreale a un tempo, “si chiavama così, perché cento erano i posti e uno il gabinetto”, proprio lì, anche Giorgio De Chirico l’aveva notata. Piera interpretava Pempelfort, un personaggio maschile di Dieci minuti a Buffalo di Günter Grass. Il pittore le disse: “Bravo! Sei stato proprio bravo”, lei puntualizzò, “Ma io sono una ragazza”, e quello: “Bravo lo stesso!”. Una frase che ha dato il titolo anche al bel libro di Manuel Giliberti dedicato al percorso artistico della più felice anomalia del teatro italiano.
C’era un sottinteso nell’affermazione di De Chirico e lei lo aveva colto: non doveva temere la sua diversità, ma farne la sua forza. Lei lo aveva fatto, anche quando i polmoni l’avevano tradita: “Recitare senza fiato per un attore è come correre senza gambe per un ciclista”. E lei, intenzionata a vivere fino all’ultimo respiro, si era trovata a lottare contro quest’ossigeno che doveva sostenere tutte le voci dei suoi personaggi, le sfumature, i crescendo come i sussurri, le velocissime articolazioni della sua Molly cara, il monologo diretto da Ida Bassignano, quando i monologhi li recitavano solo gli attori. La vide anche Eduardo nei panni del personaggio di Joyce e nei camerini pronunciò la famosa frase: “Chista è o verbo nuovo”. Forse il suo destino avrebbe voluto vederla perdere, ma lei il destino lo ha schiaffeggiato con un’energia che era più forte della volontà stessa. E così alla fine ha vinto, è diventata Piera Degli Esposti, un nome che parla più dei suoi premi, degli Ubu, dei David di Donatello. Anche il cinema infatti è stato per lei una casa. Qui ha lavorato con i fratelli Taviani, con Lina Wetmüller, una delle sue amiche più care, con Gianluigi Zampa, Marco Bellocchio, Paolo Sorrentino, Giuseppe Tornatore e ha aiutato anche molti giovani registi. Era inoltre un’attrice che amava le altre attrici, forse perché sentiva di correre una sua gara tutta differente o forse semplicemente perché era una persona generosa.
Il segreto di Piera Degli Esposti se ne va con Piera Degli Esposti e a noi resta la nostalgia di lei, della sua gestualità, del suo modo di muovere le gambe, del suo correre su e giù per la scala vocale, dei suoi pugni, dei suoi occhi, della sua intelligenza, per cui sapeva essere interprete tragica, grottesca, comica, poteva essere Madre Coraggio, Cleopatra, ma poteva anche farci ridere fino al collasso con le sue letture di Campanile o solo imitando le comari di paese che aveva incontrato durante una passeggiata. Piera era per molti anche un’amica unica, ma questa è un’altra storia. Meglio concludere con le sue parole, con una specie di preghiera sul teatro, che era diventata persino una definizione del dizionario Zingarelli. Piera le parole le ha amate, le trovava distese sul foglio e le faceva alzare in piedi: “Io penso che l’attore abbia un compito nella vita, arduo ma splendido: quello di consolare. Consolarci dei nostri lutti, degli abbandoni, delle malattie, della vecchiaia e della morte. Può consolare facendo ridere, come Totò, ma deve riuscire a entrare (come faceva lui) nelle profondità linguistico-ripetitive e distorte delle sue parole. O come Eduardo che, avendo raggiunto quella profonda conoscenza di sé, poteva "consolare" anche solo esibendo la propria persona, in maniera quasi impudica. Per essere attori, quindi, non mi sembra sufficiente la bella dizione, la bella voce, la disinvoltura, l'elegante quanto narcisistico porgere, ma bisogna calarsi nel proprio buio profondo, per risalire poi portandosi alla luce”.
Per renderle omaggio è prevista una camera ardente in Campidoglio martedì 17 agosto, dalle 18 alle 23.