il foglio del weekend
Il piccolo Po
Il triangolo della Bassa tra Cremona, Parma e Piacenza: una “petite capitale” (ora anche della Cultura) e tante memorie e baruffe intorno
Fu nella redazione milanese del settimanale Il Candido che Giovannino Guareschi immortalò sé stesso col disegnino che diventò una sorta di ex libris per ogni sua pubblicazione postuma e che ancora oggi lo rappresenta. E’ un arzigogolo che lo autoritrae, con paletot e sciarpa, mentre osserva un fiume che non può essere che il Po, visto che gli era nato accanto: a Fontanelle di Roccabianca.
Doveva capitare sovente che il pensiero s’allontanasse dalla grande città per ritornare dov’era cresciuto. Così spesso che quando sul medesimo settimanale uscì la prima puntata di “Don Camillo”, una sorta di feuilleton che durò per quasi quindici anni, Guareschi ambientò il racconto proprio là dov’era stato bambino.
“L’ambiente è un pezzo della Pianura Padana: e qui bisogna precisare che, per me, il Po comincia a Piacenza e fa benissimo perché è l’unico fiume rispettabile che esista in Italia: e i fiumi che si rispettano si sviluppano in pianura, perché l’acqua è roba fatta per rimanere orizzontale, e soltanto quando è perfettamente orizzontale l’acqua conserva tutta la sua naturale dignità. Le cascate del Niagara sono fenomeni da baraccone, come gli uomini che camminano sulle mani. Il posto della storia è un puntino nero che si muove in su e in giù lungo il fiume per quella fettaccia di terra che sta tra il Po e l’Appennino e là possono succedere cose che da altre parti non succedono. Là tira un’aria speciale che va bene per i vivi e per i morti, e hanno un’anima anche i cani”.
La fetta di terra che sta il Po e l’Appennino per tutti oggi è il Mondo Piccolo, l’invenzione di Guareschi, non a caso altrimenti detta la Bassa Guareschiana. Come sia delimitato questo territorio, cioè quali siano i suoi confini, è questione abbastanza controversa, ma alla quale è possibile dare una risposta ragionevole. Un altro scrittore, per esempio, ne ha spostato il confine occidentale da Piacenza sino a Cremona, perché solo a Cremona il Po assume la maturità che Guareschi desiderava attribuirgli. E’ proprio qui che il fiume decide una volta per tutte, dopo una stordente serie di meandri, di puntare a est senza incertezze. Il limite orientale, invece, è stabilito dalla leggendaria linea ferroviaria Parma – Mantova su cui corre il treno che, nel film di Julien Duvivier, accompagna Don Camillo all’esilio pastorale di Montanara. L’ultima stazione che si vede nelle immagini è quella di Gualtieri – il paese di Antonio Ligabue – ma là non ci si può arrestare perché la stazione successiva è quella di Luzzara, il paese di Cesare Zavattini, che è stato una sorta di mentore per Guareschi, così che il Mondo Piccolo si dilata almeno sino a Borgoforte, dove la ferrovia attraversa il Po.
Perciò il Mondo Piccolo andrebbe da Cremona a Parma e poi, giusto per accrescerne la nobiltà, sino a Mantova, creando una sorta di triangolo ideale – la reale essenza della Pianura Padana – che oltre a contenerne il tratto più profondamente agrario, non a caso si racconta che a Rivarolo del Re sia stato stipulato il patto seminale tra i grandi proprietari che benedì la nascita del Partito Fascista, ingloba anche celebri voli urbanistici, come Sabbioneta, la piccola Atene dei Gonzaga, e misteriose iconografie come la Chiesa delle Grazie a Curtatone.
Ma, nonostante i vertici del triangolo siano così notevoli, per tutti i padani così precisamente identificati, esiste un’unica città di riferimento: Parma, coi suoi duecentomila abitanti, mentre Cremona e Mantova, nonostante Stradivari, Mina, Tognazzi da una parte e Virgilio, i Gonzaga e il più importante festival letterario italiano dall’altra, rimangono cittadine piuttosto anguste per gli svolazzi del fine settimana e inevitabilmente prive di sbocchi universitari che, al contrario, Parma offre copiosa.
La città perciò regna incontrastata su questa Padania in nuce e l’effetto della nobiltà parmigiana ha avuto il giusto riscontro nel 2020, coll’inevitabile estensione al 2021, perché è stata proclamata Capitale italiana della Cultura.
Essere capitale, tuttavia, non imbarazza affatto Parma e neppure i parmigiani che, da sempre, chiamano la propria città “La Petite Capitale”, perché è consacrata sia alla gloriosa memoria di Francesco Farnese che a quella di Maria Luigia d’Austria, che la magnificarono creando a Colorno la propria personale interpretazione della reggia di Versailles: un gesto che ancor oggi consente di comprendere da quale “Grande Capitale” Parma tragga ispirazione.
E’ inutile sottolineare come l’ostentata superiorità dei parmigiani continui a creare un certo risentimento nell’antico territorio del Ducato di Parma, Piacenza e Guastalla e come i piacentini e i reggiani (Guastalla, Luzzara e Reggiolo, già appartenenti al Ducato, sono in provincia di Reggio Emilia) mal tollerino l’esibita nobiltà della Petite Capitale e non abbozzino affatto alle consuete battute: “Si capisce subito che il Parmigiano Reggiano è stato inventato a Parma, perché se fosse stato inventato a Reggio le forme sarebbero quadrate”.
Perciò è stato un grande cesello di negoziazione emiliana l’impresa di far entrare nel novero delle dieci candidate a Capitale italiana della Cultura 2020 sia Parma che Piacenza e Reggio Emilia e che queste, prima della proclamazione, fossero d’accordo a spartire, in caso di vittoria di una delle tre città, gli eventi tra le tre province limitrofe. Tuttavia Parma ha messo sul piatto della bilancia la sua magnifica storia, cesellata dal Duomo e dal Battistero, dal Palazzo della Pilotta, dal Teatro Farnese e dal Teatro Regio e da tanti nomi risonanti, tra i quali il più risonante di tutti è quello di Giuseppe Verdi, creando una miscellanea a cui era indubbiamente difficile resistere.
Perciò in questa benedetta estate del 2021 molti finalmente percorreranno i vicoletti che nascondono scorci inattesi e i viali alberati della Capitale italiana della Cultura. Ma, a un certo punto, tra il Correggio e il Parmigianino, tra le mai tramontate vestigia dei padri nobili – la famiglia Farnese e Sua Maestà Maria Luigia – scopriranno che davvero molto di rado hanno passeggiato in un centro storico così densamente popolato di studi legali.
Questa improvvisa scoperta apre una nuova visuale sulla Petite Capitale e, prima di tutto, fa ronzare nelle orecchie una diffusa diceria che dall’interno del Mondo Piccolo viene indirizzata allo Studium di diritto di Parma, nonostante questo risalga a prima dell’anno Mille: “Beh, lo san tutti che quelli che han poca voglia di studiare e la testa per aria, alla fine vanno a far Legge a Parma. Si prendon la laurea e poi, insomma, con la laurea in Giurisprudenza da qualche parte finiscono a lavorare”.
Tuttavia senza dare adito a insidiosi spifferi campagnoli, il fatto che gli studi legali proliferino così tanto nel centro cittadino lascia stupefatti e fa presumere una litigiosità del tutto fuori dal comune: quel tipo di attitudine che, per esempio, i veneziani attribuivano alla terraferma (alla “campagna” più precisamente) e a Chioggia (“Le Baruffe chiozzotte”) che consideravano luoghi niente affatto all’altezza del magnifico spirito della Serenissima.
Così si finisce per rammentare il dispetto di Giuseppe Verdi nei confronti di Busseto, il comune in cui era nato, e la decisione di abbandonare persino la provincia di Parma quando le intemperanze nei confronti della sua convivenza bussetana con Giuseppina Strepponi, benché Verdi fosse vedovo da molto tempo, raggiunsero gli apici dell’ingiuria. Verdi non adì alla giustizia contro le malelingue, ma visse per cinquant’anni a Sant’Agata, solo a qualche chilometro da Busseto, ma appena oltre l’Ongina che marca inesorabilmente il confine tra la provincia di Piacenza e quella di Parma, quasi a voler dire “io non vi cito in giudizio, ma sappiate che non vi appartengo più”. Ciò nonostante, se Villa Verdi a Sant’Agata non appartiene più a Parma, continua ad appartenere al Mondo Piccolo: cioè al triangolo Cremona, Parma, Mantova, che contiene anche una certa porzione della provincia di Piacenza e di Reggio Emilia. Perciò l’aura verdiana continua imperterrita ad aleggiare “in quel posto dove possono accadere cose che in altri luoghi non succedono”.
E quel posto, ci perdonino i parmigiani, vive fuori dalla Petite Capitale. Vive in campagna: tra i grandi poderi che i parmigiani adesso chiamano “food valley”, perché bisogna un poco adeguarsi ai tempi e alle lingue.
Così il luogo dove tutto può accadere inizia appena fuori città ed è marcato dal profilo ben visibile da lontano della Certosa di Paradigna, o come bisognerebbe chiamarla più precisamente, Abbazia di Valserena, oppure ancora, con ottime probabilità di essere nel giusto, Certosa di Parma. Quella in cui Stendhal, alla fine del libro, fa ritirare Fabrizio Del Dongo e che scrive essere “situata nei boschi nei pressi del Po, a due leghe da Sacca”. Da lì in poi è un susseguirsi ininterrotto di strade provinciali che si perdono dentro al Mondo Piccolo e in cui “basta fermarsi sulla strada a guardare una casa colonica affogata in mezzo al granturco e alla canapa, e subito nasce una storia”.
Nella Rocca di Soragna, ad esempio, l’aria va davvero bene per i vivi, i proprietari e i visitatori, ma anche per i morti: il fantasma di Cassandra Marinoni che ancora si agita nel castello.
A Diolo, invece, in una chiesetta sconsacrata in mezzo alla campagna, con tanto di torre campanaria e salice centenario piantato davanti, è ospitato il Centro del Boscaccio – Museo Giovannino Guareschi, da cui il primo curatore e fondatore, Cesare Bertozzi, lancia il grande messaggio da iscrivere nella ratio d’una vera capitale italiana della cultura: “Beh, facevo il muratore, ma sin da bambino mi piaceva leggere e cercavo sempre di leggere qualcosa, ma dopo una giornata di lavoro era dura concentrarsi su una storia. Ma un giorno ho letto “Il Candido” e le storie di Don Camillo che stavano sul giornale erano della lunghezza giusta. Riuscivo sempre a finirle prima di prendere sonno. A un certo punto mi son ritrovato con sotto al letto dieci anni di numeri del giornale e tutti i libri di Don Camillo. Tutta roba che non avrei mai creduto, ma ero riuscito a leggere. Così un giorno, visto che sono andato in pensione, ho pensato di raccogliere tutto quello che avevo di Guareschi e metterlo qua dentro. E’ una specie di ringraziamento a Giovannino per quello che ha fatto per me”.
Infine, al termine della Strada provinciale 11, esplode il vero centro culturale di tutto ciò che c’è intorno, Parma inclusa. Lì sorge il borgo delle Roncole, una frazione di Busseto, dove, una dirimpetto all’altra, stanno due case: la casa natale di Giuseppe Verdi e la casa della famiglia Guareschi. Non più di venti metri separano due dimore così tanto fondanti nella cultura italiana e, al tempo stesso, così tanto radicate nella Bassa Parmense. Sia per il musicista che per lo scrittore il centro dell’attività era la Grande Milano, ma tutti e due scelsero di tenere la casa di famiglia nei luoghi dov’erano cresciuti.
Certo, Verdi per dispetto attraversò l’Ongina e diventò piacentino e anche un poco milanese, con i cittadini della Grande Città che al termine della prima del “Falstaff” staccarono per l’entusiasmo i cavalli della sua carrozza e la trascinarono a braccia dal Teatro Alla Scala sino al Grand Hotel de Milan, ma fino all’ultimo il Maestro ripeté con forza: “Sono stato, sono e sarò sempre un paesano delle Roncole”.
Giovannino invece è ancora là, sepolto nel cimitero della chiesa di San Michele Arcangelo, dove Giuseppe Verdi è stato battezzato e dove si conserva l’organo dei suoi studi giovanili.
Ma non è tutto, appena più avanti, lungo via della Processione alle Roncole, c’è una trattoria che ha voluto mantenere la facciata originaria, com’era prima di essere un locale, e l’insegna nero su bianco strilla: Casa del Popolo. Non molto distante, poi, ci si imbatte nell’impressionante neoclassicismo della Corte delle Piacentine, dove Bernardo Bertolucci girò gran parte di Novecento.
Ancora, ma forse non ultima circostanza, può accadere che alcune strade delle Roncole siano interrotte perché, nell’unica isola verdiana della provincia di Parma, in mezzo alla campagna della Bassa profonda, una troupe di tecnici sta alacremente montando i giganteschi scenari dell’Aida per un allestimento dell’opera proprio dove tutto cominciò: in un chilometro quadrato di Mondo Piccolo.
“Questa è la Bassa. Questo è il Mondo Piccolo. La terra dove c’è gente che non battezza i figli e bestemmia non per negare Dio, ma per far dispetto a Dio. E sarà lontana quaranta chilometri o meno dalla città, ma, nella pianura frastagliata dagli argini, dove non si vede oltre a una siepe o al di là di una svolta, ogni chilometro vale per dieci. E la città è roba di un altro mondo”.