Nuovo Rinascimento
Idee per un tocco umano all'èra digitale
Portare l’arte nella nostra vita e nella vita delle imprese con una trasformazione intellettuale. Dipende da noi
Un’esperienza di manager al Louvre, poi nel team ristretto di Emmanuel Macron all’Eliseo come consigliera speciale per la cultura del presidente francese, nel 2020 ha fondato in Francia Viarte - L’art pour diriger autrement, per aiutare la creatività nelle imprese; fa parte del cda della Fondazione Biennale di Venezia. Claudia Ferrazzi inizia la sua collaborazione con il Foglio.
Si moltiplicano da tutte le parti i richiami al Rinascimento, a questo periodo associato in tutto il mondo all’immagine (di una parte) dell’Italia, che trainò la fine del Medioevo e che, dopo secoli di crisi economiche e finanziarie terribili, di rallentamento degli scambi tra paesi, di epidemie e di drastiche riduzioni delle competenze e della manodopera, di crolli demografici, aprì un momento di splendore, di scoperte, di viaggi, di innovazione, di rinascita commerciale, scientifica, culturale.
E’ il sogno e la nostalgia di un’Italia, e di un’Europa, “al centro”. Ci ricordiamo del Rinascimento e dei suoi geniali talenti quando vediamo le belle foto delle medaglie olimpiche. Ci rammentiamo di un’Italia vincente in Europa, con un premier stimato dai grandi leader europei, con i Måneskin che dominano l’Eurovision o con gli Azzurri campioni d’Europa.
Ora, io trovo che il Rinascimento abbia in effetti qualcosa a che vedere con l’Italia e l’Europa che potremmo costruire. Direi anche che potremmo trarne uno spunto utile per favorire un vero Rinascimento dell’èra digitale: investire sulla creazione artistica e integrarla ai nostri processi produttivi e al nostro progetto di società. Non (solo) perché arricchisce l’immagine o la comunicazione di un marchio o di un gruppo. Non (solo) per ragioni fiscali. Ma perché viene riconosciuto il valore aggiunto, compreso quello economico e produttivo, di creatività, innovazione, sensibilità, visione da punti di vista nuovi e inediti, aumento dell’educazione e della cultura generale sia nell’impresa, sia nei cittadini e nei consumatori che la compongono e la fanno vivere. Quando si ricordano i disegni di Leonardo o la cupola del Brunelleschi, non si pensa a quello che, dietro al genio degli artisti e degli uomini di scienza e di sapere, fu uno dei più grandi investimenti della storia in capitale umano, tecnico ma anche intellettuale e artistico.
La scelta che fecero i “dirigenti”, coloro che prendevano le decisioni sulle cose pubbliche e private, di impegnarsi personalmente, con passione e con tutte le risorse finanziarie, diplomatiche e intellettuali che fossero a loro disposizione, di incoraggiare, valutare, scegliere e promuovere le opere e la creazione artistica, capendone il valore per le loro imprese e per i loro progetti. Di ascoltare gli artisti, di trarre tutti i benefici dal processo creativo che investiva così, a poco a poco, le loro imprese, e tutta la società.
E questo in un clima certamente di sviluppo economico, ma anche di grande incertezza, che presentava caratteristiche abbastanza simili a quelle che viviamo ai giorni nostri. Gli storici attribuiscono la rinascita, quella che tutti chiamano Rinascimento, alla figura del “mercante”, il nostro imprenditore, dirigente d’azienda, che arricchì il suo sapere economico e commerciale con “ingegno versatile” e “con la cultura”. Oggi la sfida sarebbe ancora più esaltante, perché riguarderebbe non solo una rarissima élite, ma fasce ampie e diversificate di popolazione, impegnate in vari ruoli decisionali nei processi produttivi delle aziende europee.
Dopo le grandi realizzazioni dei due secoli precedenti, la trasformazione del Quattrocento e del Cinquecento si produsse nella fisionomia degli uomini d’affari e dei politici, di coloro che prendevano le decisioni nelle grandi organizzazioni pubbliche e private. Avevano capito che con il tenore dei ceti medi e inferiori, aumentavano anche la domanda di prodotti e la generale qualità della vita. E che i ceti più prosperi avrebbero assorbito con esigenza e cultura sempre più grandi, i prodotti di lusso, la seta, la stampa, la carta, il vetro, le conoscenze. Signori, principi e uomini di chiesa cominciarono a farsi affiancare da artisti, a “consumare” cultura, a sostenere committenze pubbliche e private, integrandole nei loro processi produttivi.
Consumo di cultura e condivisione di cultura, curiosità di scoperta di nuovi mondi, reali e immaginari, e comprensione della loro ricchezza e del loro possibile contributo alla prosperità, al successo, alla bellezza di ciò che ci circonda. La rinascita dei settori commerciali, bancari e industriali fu legata a questa produzione di qualità e alla sua condivisione. Oggi, non c’è discorso di imprenditore che non parli di innovazione, che non indichi la capacità di adattamento, l’agilità, la creatività come condizioni essenziali per il successo delle imprese di domani. E non c’è analisi dei prossimi dieci anni (World Economic Forum, McKinsey Institute, Ocse) che non indichi con chiarezza che la digitalizzazione sempre più pervasiva porterà a una crescita esponenziale del bisogno di competenze tecnologiche, ma anche di competenze cognitive superiori, etiche, comportamentali e relazionali, nonché emotive. Laddove le attività dell’uomo possono essere sostituite dalla tecnologia, si deve ritrovare l’essenza dell’umanità, la sua incredibile capacità di inventare e adattarsi, la sua intelligenza emotiva.
L’archetipo dell’imprenditore di successo, Tim Cook, disse: “Sono un ingegnere, innamorato della razionalità. Ma le decisioni più importanti si fondano raramente su quei criteri. Il grande difetto degli uomini è di non ascoltare la propria intuizione”. E se riprendessimo il processo più universale, antico ed efficace che esista per allenare ed esprimere la nostra creatività, le nostre intuizioni, le nostre relazioni, i nostri dubbi, l’empatia, le grandi domande che ci agitano? Tramite tutti i processi creativi, che contraddistinguono l’umanità rispetto a tutte le altre specie viventi, si aprono nuove possibilità, mondi nuovi, che non sono dominati dalla realtà, dal “non è mai stato fatto”, dal “troppo complesso”, dal “non ce la posso fare”. Quello che viviamo ci costringe a ripensare il nostro rapporto con il mondo. Sapremo farlo, come durante il Rinascimento, innescando un periodo di trasformazione intellettuale e artistica?
Se il contesto attuale richiede, osiamo dirlo, un secondo Rinascimento, quello dell’èra digitale, non è adottando un settore artistico e integrandolo nei processi produttivi che favoriremo l’innovazione, coltiveremo lo spirito di creatività e di proposta, l’agilità mentale e l’interconnessione tra discipline? Facciamo entrare l’arte e la creazione nella nostra vita e nella vita delle nostre imprese. E’ ciò che resta di specificatamente umano nell’èra digitale e dell’intelligenza artificiale. Traiamo ispirazione dai suoi processi, dai suoi protagonisti, posizionando la creazione artistica al centro e non al margine dell’impresa e della società. L’avvento di un nuovo Rinascimento in fondo dipende da noi.
Universalismo individualistico