Chiara Fumai e le altre femmine insolenti
L'artista e perfomer militante romana era una di loro e a loro ha dato corpo e voce. Una retrospettiva
"Dal primo all’ultimo giorno, ho considerato Nadja un genio libero, qualcosa come uno di quegli spiriti dell’aria che certe pratiche di magia consentono di legare momentaneamente a sé ma che è impensabile sottomettere”. Queste parole, scritte nel 1928 da André Breton, poeta e teorico del surrealismo, nel suo celebre romanzo Nadja, uno dei più suggestivi del Novecento, potrebbero essere riferite, in una sovrapposizione ideale di persone, all’artista Chiara Fumai, scomparsa prematuramente, suicida, a 39 anni il 16 agosto 2017, luminosa meteora dell’arte contemporanea. Nadja è totalmente immersa nel suo inconscio, sente e vede cose che gli altri non vedono, e non ha “quell’istinto di conservazione”, diceva Breton, delle persone “normali”. Questo racconto fu ispirato da un incontro reale con una donna bellissima e misteriosa, forte e nello stesso tempo fragile, che diventa simbolo del surrealismo come fuga dalla logica e dalla prigione del quotidiano in un mondo altro, libero da preconcetti e prospettive predefinite. Il surrealismo, il cui slogan, “l’immaginazione al potere!”, diventato il leitmotiv delle rivolte giovanili del Sessantotto, è stato uno dei movimenti d’avanguardia più innovativi del secolo scorso, ancora oggi attualissimo e presente in diverse declinazioni nella pratica artistica di Chiara Fumai, come nelle sue celebri performance in forma di possessioni medianiche, per raggiungere, attraverso l’arte, uno stato conoscitivo oltre il reale, nel sur-reale.
Il Centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci di Prato presenta “Poems I Will Never Release (2007-2017)”, la prima ampia retrospettiva dedicata al complesso percorso artistico di Chiara Fumai, dj e curatrice musicale, performer e artista visuale, a cura di Milovan Farronato e del duo curatoriale che prende un unico nome, Francesco Urbano Ragazzi (composto da Francesco Urbano e Francesco Ragazzi), in collaborazione con Cristiana Perrella, direttrice del museo. Questo progetto espositivo è parte di uno più ampio che mette insieme diverse istituzioni europee con lo scopo di studiare e divulgare il lavoro dell’artista, in collaborazione con “The Church of Chiara Fumai”, l’associazione presieduta da Liliana Chiari, madre dell’artista, custode della sua opera. Presentata l’anno scorso al Centre d’Art Contemporain di Ginevra, dopo il Pecci e nell’arco dei prossimi due anni, la mostra sarà esposta anche al centro La Loge Di Bruxelles e alla Casa Encendida di Madrid, per far conoscere sia a un pubblico nazionale che internazionale la complessità di un’artista che occupa un posto a sé, totalmente autonomo, nell’ambito della ricerca sui linguaggi della performance dell’estetica femminista del XXI secolo.
L’originalità dell’arte di Chiara Fumai, cresciuta a Bari e laureata in architettura al Politecnico di Milano, è il motivo dell’invito nel 2012 a esporre alla dOCUMENTA (13) di Kassel, la mostra quinquennale più importante nel panorama dell’arte contemporanea mondiale. L’anno successivo vince il 9° Premio Furla, nel 2017 il XIV Premio New York e nel 2016 partecipa alla 16esima Quadriennale di Roma, oltre ai tanti riconoscimenti postumi come la partecipazione al Padiglione Italia della 58esima Biennale di Venezia nel 2019.
A quattro anni dalla sua scomparsa, la mostra al Centro Pecci di Prato (aperta fino al 7 novembre) raccoglie tutto il lavoro prodotto da Chiara Fumai nell’arco di dieci anni, allestito non in successione cronologica ma per nuclei tematici. Dalle graffianti videoperformance alle installazioni ambientali pervase da un’atmosfera carica di rimandi simbolici ed esoterici, dai wall painting fino alle pratiche, più intimiste, della scrittura automatica e del collage, e agli sconfinamenti nell’ambito musicale, memore della precedente esperienza dell’artista come dj di musica techno. In molte delle performance (alcune delle quali sono diventate video mentre altre sono evocate da tracce scritte, disegni, scenografie e abiti di scena) l’artista interpreta personaggi storici scomparsi, quasi sempre donne, a eccezione del mago Harry Houdini, maestro della fuga, del controverso filosofo dell’occulto Julius Evola e di Nico Fumai, suo padre, mettendo in scena una sorta di reincarnazione, come se il suo corpo diventasse medium per evocare queste presenze le quali interagiscono con lei che ne assume il passo e il tono di voce. La maggior parte dei personaggi “abitati” dall’artista sono vissuti tra Ottocento e Novecento e hanno partecipato agli spettacoli performativi di moda in quei tempi (freak show, cabinet medianici, fantasmagorie, numeri di illusionismo), oppure provengono dai contesti culturali, sociali e politici che li hanno prodotti, anche i più estremi e distanti, come il pensiero anarchico o la teosofia. In questo pantheon femminile si trovano, tra le altre, Zalumma Agra, attrazione del Circo Barnum, o la celebre donna barbuta, Annie Jones, vissuta negli Stati Uniti alla fine dell’Ottocento; la socialista rivoluzionaria, Rosa Luxemburg; la spiritista e medium pugliese Eusapia Palladino, consulente dello zar di Russia e citata da sir Arthur Conan Doyle nel suo History of Spirtualism nel 1926; la cantante greca Roza Eskenazi; la critica d’arte e femminista Carla Lonzi; l’artista attivista Valerie Solanas che sparò ad Andy Warhol nel 1968; Ulrike Meinhof fondatrice del gruppo armato tedesco-occidentale di estrema sinistra dei primi anni Settanta. Sono tutte antieroine, donne accomunate in qualche modo da un bisogno impellente, atavico, di riscatto al quale l’artista dà voce, letteralmente. “Mi piace molto l’aspetto militante, combattivo, di buona parte delle figure che cerco di incarnare”, dice Chiara Fumai. Attraverso le sue opere l’artista attualizza figure marginalizzate per continuare a dare un rinnovato slancio alla loro lotta contro il pensiero dominante, la visione “logocentrica” e patriarcale che caratterizza la civiltà occidentale.
“Le protagoniste di Fumai hanno interessi comuni, aspetti simili, anche semplicemente estetici. Condividono attitudini, predisposizioni, prospettive, nevrosi. Sono accomunate. Sono sorelle di sangue. Alcune crescono nell’opera e nell’introspezione, altre rimangono spunti, schizzi, valevoli per ulteriori narrative”, racconta Milovan Farronato nel suo testo Le muse inquietanti di Chiara Fumai, incluso nella monografia che accompagna la mostra (edizioni Nero) e continua citando anche le parole dell’artista: “Non sono io a sceglierle, sono loro che vengono a me. Da sole. Attraverso un processo di intuizione che non posso dirigere”.
Tra le donne “irregolari” impersonate da Chiara Fumai è spesso presente Eusapia Palladino, medium pugliese analfabeta evocata nell’installazione dal titolo, “La donna delinquente” (Premio LUM per l’arte contemporanea, 2011), con sedie appese, un tavolino sospeso con i trucchi che rimandano alle sedute spiritiche, una traccia audio con frammenti di testi della veggente e un video assemblaggio di immagini d’archivio. Un omaggio a una donna di origini umili che riuscì a convincere diversi scienziati e filosofi dell’autenticità dei suoi poteri destando l’interesse del mondo scientifico per oltre quarant’anni, nonostante i suoi inganni vennero scoperti più volte.
Come diceva Fedor Dostoevskij, “Per rendere la verità più verosimile, bisogna assolutamente mescolarvi della menzogna”, così Chiara Fumai ha unito verità e fantasia per creare delle storie verosimili che colpiscono il pubblico. Questa sapienza incantatrice e magnetica, unita alla capacità nell’utilizzo del linguaggio orale come elemento di affabulazione e strumento di sovversione sono le strategie più efficaci e interessanti della sua pratica artistica, insieme alla sua riflessione sulla frammentazione dell’io. E poi ancora, il gioco sull’aspettativa del pubblico come, ad esempio, alla Fondazione Querini Stampalia di Venezia (2013), dove mette in scena una visita guidata alle collezioni: Fumai, artista-guida, racconta i ritratti femminili del Rinascimento, sottolineando come molte di queste donne siano state escluse dalla narrazione della storia dell’arte e la scarsità di notizie biografiche trovate su di loro. “Durante una serie di doviziose descrizioni dei dipinti esposti, la guida si sente sopraffatta e inizia a comunicare con il linguaggio dei segni. Reagisce quasi certamente ai soprusi della storia che sta illustrando e perde la parola. Le parole non bastano: c’è bisogno di tutto il corpo per esprimere la rabbia e la violenza che i ritratti del museo rappresentano silenziosamente”, scrive Francesco Urbano Ragazzi. Il tour viene interrotto bruscamente da gesti violenti che trasmettono un messaggio anonimo di minaccia terroristica reso dall’artista stessa attraverso la lingua dei segni, che in questo modo si unisce in un remix continuo con la figura dell’artista-guida e delle donne mute dipinte sulle tele.
Nel video “Shut Up, Actually Talk”, presentato per la prima volta a Kassel, il pubblico si aspettava di assistere al freak show di Zalumna Agra del circo Barnum, impersonata dall’artista che per l’occasione aveva messo una parrucca riccia e una specie di camicione da notte ottocentesco. Ma, a sorpresa, assiste alla recitazione del celebre testo, “Io dico io”, scritto da Carla Lonzi nel 1977, manifesto del gruppo femminista italiano Rivolta Femminile.
Una delle sue opere-performance più famose è “Chiara Fumai legge Valerie Solanas” (2012-2013), video in cui l’artista legge estratti dal Manifesto SCUM (parola che significa “fogna” in inglese ma le cui iniziali stanno per: Society for Cutting Up Men), pubblicato dalla Solanas nel 1967, la cui forza risiede in una scrittura sfacciata, in alcuni passi scurrile, capace di screditare il patriarcato attraverso la satira, lontana da ogni forma di vittimismo. Nella videoinstallazione (che entrerà a far parte della collezione permanente del Centro Pecci), l’artista prende spunto dallo spot con cui Berlusconi annunciava la sua discesa in campo nel 1994 e, in un reading-performativo, vestita di un abito abbottonato fino al collo come faceva spesso durante le sue performance, legge le parole incisive di Solanas seduta ad una scrivania e davanti ad una telecamera fissa. Alle sue spalle la scritta, “A male artist is a contradiction in terms” (un artista maschio è una contraddizione in termini), perché il suo obiettivo era colpire il maschilismo ancora molto presente nel mondo dell’arte. Una questione scottante che le fa vincere il Premio Furla, che lei dedica “a tutte le femmine insolenti”.
Con la sua vasta selezione di opere d’arte, documenti e la ricostruzione anche di due spazi domestici che hanno segnato la carriera dell’artista, questa retrospettiva cerca di catturare ciò che Chiara Fumai amava definire il suo “slavoro”, una produzione che va oltre le performance per le quali era più nota. Il titolo della mostra è preso da una scultura incompiuta, forse un ultimo autoritratto dell’artista: un burattino che indossa una t-shirt con la frase “Poems I Will Never Release”. Parole che potrebbero sembrare malinconiche, se si pensa a cosa avrebbe potuto realizzare l’artista se fosse vissuta più a lungo, ma in realtà è un’affermazione poetica. Infatti, nella presentazione del progetto viene sottolineato come “Chiara Fumai ha basato il suo lavoro sull’esecuzione di parole scritte da altri. Lei stessa non ha mai composto poesie perché ha sempre utilizzato citazioni altrui, soprattutto di donne, figure scomode, che erano state messe al margine dalla società e che avevano bisogno di riscatto e riconoscimento storico. In questo senso la mostra non è dedicata soltanto alla forza generatrice delle opere di Chiara Fumai ma a tutte coloro che sono venute prima di lei”.