È morto il filosofo Jean-Luc Nancy
Il pensatore francese aveva 81 anni. Esponente della decostruzione insieme a Jacques Derrida, sono da ricordare le sue recenti riflessioni sulla pandemia da Covid-19, tra cui una risposta alle paranoie di Giorgio Agamben
Il filosofo francese Jean-Luc Nancy è morto lunedì sera all'età di 81 anni a Strasburgo. Nato a Bordeaux nel 1940, comincia a pubblicare le prime opere all'inizio degli anni 70, a partire dalla riflessione sulla psicoanalisi di Jacques Lacan e la filosofia di Kant, Hegel e Heidegger. Alcuni libri e articoli sono scritti in collaborazione con l'amico Philippe Lacoue-Labarthe, morto nel 2007. La sua opera più famosa è probabilmente La Communauté désœuvrée del 1983 (La comunità inoperosa, Cronopio 2003): una teoria della comunità come "resistenza dell'immanenza", un essere che si oppone ai tentativi volontaristici di plasmarlo secondo un progetto o una pianificazione. Tentativi, questi, destinati a sfociare in ultima analisi nel totalitarismo, a cui però la comunità sempre sopravvive.
Hanno suscitato interesse le riflessioni di Nancy in seguito all'operazione subita di trapianto di cuore, in testi come Corpus e L'intruso. Un'esperienza che risuona nel suo approccio alla scienza e alla medicina, come dimostrano i suoi interventi a proposito della pandemia da Covid-19. Qui di seguito la traduzione del testo scritto in risposta al collega e amico Giorgio Agamben a febbraio 2020. Il filosofo italiano minimizzava l'entità della malattia e additava le misure di contenimento come una forma di autoritarismo bio-politico (cosa che ha continuato a fare anche di recente in merito al green pass). Così gli rispondeva Nancy:
"Giorgio Agamben, un vecchio amico, dice che il coronavirus non è molto diverso dalla normale influenza. Dimentica che per l'influenza 'normale' abbiamo un vaccino che ha dimostrato la sua efficacia. Ma ogni anno deve essere riadattato alle mutazioni virali. L'influenza 'normale' uccide ancora diverse persone, e il coronavirus contro cui non esiste alcun vaccino è capace di una mortalità molto più elevata. La differenza (secondo fonti dello stesso genere di quelle di Agamben) è di circa 1 a 30: questo non è un dato indifferente, mi sembra.
Giorgio ci assicura che i governi colgono pretesti per instaurare tutti gli stati d'eccezione possibili. Non si accorge che l'eccezione sta diventando la regola in un mondo in cui le interconnessioni tecniche di ogni tipo (movimenti, trasferimenti di ogni genere, esposizione o diffusione di sostanze, ecc.) raggiungono un’intensità fin qui sconosciuta e che cresce di pari passo alla popolazione. Nei paesi ricchi, l'aumento della popolazione comprende anche l'allungamento della vita e la crescita del numero di anziani e, in generale, delle persone a rischio.
Non bisogna sbagliare la mira del bersaglio: non c'è dubbio che è in gioco un'intera civiltà. C'è una specie di eccezione virale - biologica, informatica, culturale - che ci sta pandemizzando. I governi sono solo tristi esecutori e attaccarli sembra più una manovra diversiva che una riflessione politica.
Ho ricordato che Giorgio è un vecchio amico. Mi dispiace tirare fuori un ricordo personale, ma in realtà non sto abbandonando comunque un registro di riflessione generale. Quasi trent'anni fa, i medici decisero che avevo bisogno di un trapianto di cuore. Giorgio è stato uno dei pochissimi a consigliarmi di non ascoltarli. Se avessi seguito il suo consiglio, probabilmente sarei morto ben presto. Si può sbagliare. Giorgio è comunque un uomo di una finezza e di una gentilezza - lo dico senza ironia - eccezionali".