il giorno di Villeneuve al festival
In viaggio verso "Dune". Il romanzo di Herbert sugli schermi di Venezia 78
Denis Villeneuve porta al cinema la saga di fantascienza anni Sessanta che ha profetizzato il nostro presente, tra ambientalismo messianico e controcultura di destra
Uno scatolone di sabbia: è Arrakis, il pianeta desertico al centro della saga fantascientifica di Dune. Il romanzo di Frank Herbert del 1965 è oggetto della trasposizione cinematografica di Denis Villeneuve, in sala a ottobre e in anteprima al Festival di Venezia. Potrebbe non essere la lettura più rinfrescante da portare sotto l’ombrellone, ma è un libro incredibilmente al passo con i tempi; il regista canadese lo ha descritto come “tristemente profetico: contiene temi come la deriva capitalistica della nostra società, i guasti connessi al cambiamento climatico e i pericoli sottesi allo scontro tra religioni”. Tutto vero, ma forse c’è da aggiungere qualcosa in più.
La trama in breve: in un universo che potrebbe essere il nostro ma distante anni luce nel futuro, due potenti famiglie feudali dell’impero galattico, Atreides e Harkonnen, si contendono il predominio su Arrakis, l’unico dal quale si estrae la Spezia, una sostanza che consente il viaggio interplanetario e su cui si basa l’economia dell’universo. Il principe Paul Atreides si trova coinvolto nella lotta dei nativi del pianeta contro lo sfruttamento delle risorse e l’oppressione coloniale.
Daniel Immerwahr è professore associato di Storia alla Northwestern University e autore di How to hide an empire: a history of the greater United States (trad. it. L’impero nascosto: breve storia dei grandi Stati Uniti d’America, Einaudi 2020). A proposito di Dune, ha pubblicato un articolo in cui mette in evidenza l’ispirazione che Herbert ha ricevuto dalla tribù nativa americana dei Quileute (The Quileute Dune: Frank Herbert, Indigeneity, and Empire, Cambridge University Press 2021) nel tratteggiare i Fremen, gli autoctoni di Arrakis. Un aspetto altrimenti nascosto dalla forte caratterizzazione araba e mediorientale di questo popolo, ben più evidente a una prima lettura. “Herbert era chiaramente molto interessato al Medio Oriente - spiega Immerwahr al Foglio -, il che lo portò a incorporare parole arabe e persino citazioni coraniche nei suoi scritti. In particolare attinse ai Sette Pilastri della Saggezza di T. E. Lawrence, e descrisse l'eroe di Dune, Paul Atreides, come una sorta di Lawrence d'Arabia spaziale. Anche il nome che assume tra i Fremen suona come arabo, Muad'Dib. In America a metà anni Sessanta c'erano radicali neri che si convertirono all'Islam (come Muhammad Ali), ma non c'erano molti scrittori bianchi che prendessero il mondo arabo così seriamente come fece Herbert”. Una caratterizzazione che probabilmente non verrà riportata fedelmente nell’adattamento cinematografico. Un primo indizio: la missione che Paul Atreides si trova destinato a compiere è detta nel romanzo letteralmente jihad. Nel trailer questo concetto viene espresso ma la parola usata è crusade, crociata. Niente di strano per un atteso blockbuster hollywoodiano.
Tuttavia, nascondere la carica religiosa del racconto sarebbe una perdita: perché di questo si tratta in Dune, insieme alla causa ecologista a cui Herbert era devoto. “Inizialmente fu ispirato a scrivere sui deserti dopo aver visto gli ecologisti cercare di controllare le dune di sabbia piantando erba - dice Immerwahr -. Tuttavia, mentre scriveva, Herbert sviluppò un diverso tipo di ambientalismo, basato sul rifiuto della scienza e del pensiero occidentali, piuttosto che abbracciare l'ecologia scientifica. La decisione a metà del romanzo di uccidere lo scienziato Liet-Kynes, impegnato a terraformare il pianeta con l’introduzione dei Fremen alla tecnica, e sostituirlo con il mistico Paul Atreides fu, nella sua comprensione, la morte dell’‘uomo occidentale’".
Ambientalismo come messianismo. Con un sapore poco emancipatorio anche per gli stessi autoctoni, che in fin dei conti passano da una dominazione all’altra. Certo, di segno opposto: dai brutali capitalisti sfruttatori Harkonnen alla guida spirituale degli Atreides. Ma gli indigeni restano privi di agency politica: “La mia sensazione è che Herbert ammirasse gli indigeni, nelle tribù native americane e nei suoi romanzi, ma principalmente come comunità legate alle tradizioni e perseguitate. Ma dalla sua opera non si ricava una reale approvazione al fatto che potessero effettivamente prendere il controllo della società”.
Aspetti della narrazione forse legati alla complessa e ambigua biografia umana e politica di Herbert: istruito in gioventù da un vecchio nativo americano alle tradizioni Quileute, ha poi lavorato per il senatore repubblicano Guy Cordon dell’Oregon, sostenendo attivamente politiche di disboscamento e le trivellazioni nel Pacifico, in un’ottica dichiaratamente imperialista. Poi la conversione all’ambientalismo, senza però abbandonare mai la diffidenza nei confronti del governo federale e della sinistra. Detestava Kennedy, il presidente più favorevole al nazionalismo arabo: per Herbert, il “quarto mondo” non doveva imitare l’occidente nella creazione di stati nazionali, ma difendere le proprie diverse forme di organizzazione politica.
Emerge così una contraddittoria mescolanza di imperialismo e nativismo che si riflette in Dune e lo rende un romanzo inquietante per la sua capacità profetica, propria della migliore fantascienza. La figura di Herbert sembra anticipare quello che Kevin D. Williamson su The National Review ha chiamato il momento dionisiaco dei repubblicani americani. “Una volta, negli Stati Uniti, la controcultura era principalmente il dominio della sinistra politica - conclude Immerwahr -. Ora non più. Stiamo assistendo all'ascesa di una controcultura di destra, conservatori che usano marijuana, hanno poca pazienza per il cristianesimo o i valori familiari, e dichiarano guerra alla società rispettabile e allo stato. Frank Herbert ha catturato bene questo stato d'animo, che è uno dei motivi per cui penso che Dune sia così popolare oggi. Non era un fascista, perché era paranoico sul fatto che lo stato diventasse troppo forte, ma ha catturato gli aspetti libertari, violenti, antigovernativi e aggressivamente maschili della controcultura di destra di oggi”.