dubbi semantici
"Slow", un'altra ossessione linguistica dal significato scarso
I musei, le vacanze (con gli asini) e persino i traslochi: quando una parola si usa per tutto è perché probabilmente un senso non ce l'ha
Esiste un genere di espressioni che, a un certo punto, straripano e portano a domandarsi: ma come abbiamo fatto a dire “punto di caduta” prima di trovarla ovunque? E “volàno”? A volte anche semplici aggettivi la cui condanna è realizzare il proprio significato tanto che nulla, ormai, è divisivo come divisivo, sistemico come sistemico e tossico quanto tossico. In mezzo a queste, emerge con sempre più prepotenza “diventa slow”, giusto all’incrocio tra cronaca locale, promozione turistica, tic linguistico e comodità di spazio nei titoli. Quando non si sa bene come riassumere un senso perché, molto probabilmente, quella cosa “un senso non ce l’ha”, come cantava giustamente Vasco, si può dire “diventa slow”. Ultimamente mi è capitato di leggere che “Ischia diventa slow”, che “Cuneo diventa slow”, che “il Naviglio Pavese diventa slow”. E per le ragioni più diverse, naturalmente.
Quindi si può diventare slow perché è stata costruita una pista ciclabile, perché inizia un nuovo festival, perché sono stati colorati dei muri e delle ringhiere (che, per carità, è molto meglio che vederli grigi, ma cosa rende una ringhiera slow?). Ma si può leggere che anche “il trasloco diventa slow” dove, nel caso specifico, significa che non viene più un camion a ritirare il tuo frigorifero, ma un poveruomo se lo carica sulla bici e lo trasporta a destinazione. E il resto del mobilio in chissà quanti altri viaggi. Molto slow, dunque, visto che il problema resta, evidentemente, del traslocatore.
Chiaro, l’idea di fare le cose “slow” nasce col cibo, col food anzi, ed è stato un successo talmente evidente che oggi “fast food” è un marchio tossico (ouch). Anche se ti ingozzi in tre minuti e quarantotto secondi per capitalizzare il tempo, come nei racconti di Fantozzi, devi raccontare che però quel piatto ha una storia di preparazione “slow”, che si perde nella notte dei tempi quando l’antico grano venne portato in salvo (Enea portò in salvo sulle spalle il padre e il lievito madre). Ironia della sorte, oggi persino digiunare, prepotente moda degli ultimi tempi in fatto alimentare, è diventato uno stile di vita – una filosofia direbbero quelli che sanno usare “slow” a pennello – per l’appunto “slow”, perché rispetta il corpo, il tempo, i ritmi circadiani, la natura e chissà cos’altro. Ovviamente si possono trovare consigli e articoli secondo cui anche “l’allenamento diventa slow” e poi la moda, il giornalismo, i concerti, la Fiorentina (sì, la squadra di calcio, dove slow sta per la speranza che non si vinca oggi, ma domani), il fisioterapista, la religione, il brand, il bar (evidentemente quelli in cui attendi ore prima che ti servano) e anche la lettura “diventa slow” (per differenziarla, forse, da quella della battuta di Woody Allen: “Ho fatto un corso di lettura veloce, ho letto ‘Guerra e pace’ in venti minuti” Parlava della Russia”). Per lo stesso meccanismo, ogni provincia, consorzio e quotidiano locale – che abbia poco o nulla da offrire, si potrebbe sospettare, ma non è neppure così, perché “essere slow” è di più – pubblicizza ormai il proprio territorio (a proposito, come si faceva prima di “territorio”?) come mèta di turismo slow.
“A spasso con gli asini: dove la vacanza diventa slow” (Non si sa mai, ma è sempre meglio specificarlo. Camminare è piacevole, ciò che è quantomeno buffo è il modo in cui lo vendono). Weekend slow che, però, all’atto pratico significa correre in autostrada al venerdì sera, magari un po’ prima che lo facciano tutti – il traffico è slow, ma per una vacanza slow non va bene – arrivare al buio, fare una passeggiata in asino al sabato, magari vedere di corsa un mercatino, uguale a quello di ogni altro angolo di mondo, e comprare uno di quei mestoli di legno con cui poi prepararsi delle zuppe slow. E tornare di corsa a casa il giorno dopo. Sognando di fare una cosa davvero slow la prossima volta, non slow inefficace come gli asini. Per esempio, una “vacanza slow con bambini? Alla scoperta delle panchine giganti”. Che, esaurito l’entusiasmo, susciterà solo altra delusione visto che, arrivati alle panchine giganti, genitori e ragazzi dopo dieci minuti finirebbero solo per domandarsi “e mo’?”. Niente è slow come stare a casa.
Universalismo individualistico