FACCE DISPARI

Pasquale Langella, lo scugnizzo che pubblica Andersen e Sepúlveda

Francesco Palmieri

"Se i piccoli librai non s’inventano di continuo iniziative, se si limitano ad aspettare che il cliente capiti nel negozio, finiscono per chiudere"

Se un novello editore vi racconta che per lui cominciò tutto quando a sedici anni portava i vassoi con i caffè per librerie; se precisa che pubblica solo le cose che gli piacciono; se non vanta una formazione all’ateneo Federico II o un master alla Bocconi, tantomeno la laurea alla più presuntuosa “università della vita” (che sforna certi colendissimi campioni). Se infine lui i caffè li consegnava a Napoli, dove la categoria “guaglione del bar” è qualcosa in più che altrove, costituendo svelto archetipo di precoci sapienze, un’intervista allora pare auspicabile o dovuta, per non sfarinare tutta quanta in aria la conversazione con Pasquale Langella. Quarantott’anni, da sette titolare di libreria a Port’Alba – culla storica del mestiere – s’accinge a pubblicare un Andersen inedito in italiano e ha appena acquisito i diritti per tradurre Luis Sepúlveda in lingua napoletana. Esprime, Langella, la tipica matrice impertinente del secolo trascorso, più ostinato che breve, giacché malgrado sforzi di intelligenze novissime o artificiali, questo benedetto Novecento non vuol saperne di arrendersi, armi gente e bagagli, alla cosiddetta Storia.

Direbbero adesso, signor Langella, che la sua è una biografia a ‘chilometro zero’. Non è così?

Anche meno di un chilometro. Sono nato a Santa Chiara, come Pino Daniele, e ho frequentato la stessa scuola, l’Istituto tecnico commerciale Armando Diaz a via Tribunali. Mi piaceva così poco che gli ultimi due anni ho studiato nelle classi serali pur di conseguire il classico “pezzo di carta”.

 

 

Durante il giorno cosa faceva?

Vengo da una famiglia semplice: padre sarto, mamma casalinga. Di giorno davo una mano in una libreria a Mezzocannone, la strada dell’università. Durante l’estate mi arrangiavo con tanti lavoretti: ragazzo del bar, della salumeria… Ho fatto anche il pizzaiolo.

Come s’avvicinò al mondo delle librerie?

Quando avevo sedici anni consegnavo i caffè. Un giorno, entrando in una libreria che si serviva presso il mio bar, mi feci coraggio e chiesi: “Mi regalate un libro?”. Mi diedero ‘Cristo si è fermato a Eboli’ di Carlo Levi. Così cominciò la mia esperienza di lettore e ne restai sedotto sempre più, sicché cominciai a collaborare con la libreria portando i pacchetti alla Posta e poi sbrigando varie mansioni come la compilazione delle schede per catalogare i volumi. A poco a poco, frequentando anche una piccola tipografia di fronte al negozio, imparai dall’osservazione come si sviluppa la grafica di un testo e l’impaginazione.

 

Quanto tempo durò il suo apprendistato?

Circa venticinque anni. Mica poco… Finalmente, il 24 settembre di sette anni fa, preso coraggio mi misi in proprio rilevando un locale qui a Port’Alba, il regno dei librai storici napoletani. Però non mi sembra di soffrire la crisi del settimo anno, malgrado sia diventato molto difficile il mestiere del libraio indipendente.

 

Si lamenta spesso la crisi di Port’Alba, e più spesso ancora si valutano iniziative di rilancio. Eppure il turismo massiccio degli ultimi anni, che ha invaso il centro antico, dovrebbe procurare floridezza anche ai vostri commerci.

Francamente i turisti che frugano tra le bancarelle dei libri e le nostre vetrine sono sporadici, mi sembrano molto più interessati a pizze e panzarotti.

 

Ma da voi qualcosa compreranno, no?

Il libro che vendo di più è senz’alcun dubbio ‘’O Princepe Piccerillo’, la traduzione napoletana del classico di Antoine de Saint-Exupéry curata da Roberto D’Ajello per Franco Di Mauro Editore.

Come si possono risollevare le sorti di Port’Alba?

Sono anni che non riusciamo a prendere una boccata d’ossigeno. Se i piccoli librai non s’inventano di continuo iniziative, se si limitano ad aspettare che il cliente capiti nel negozio, finiscono per chiudere. D’altra parte l’amministrazione locale è stata deludente: parole e parole. Ho partecipato a due anni di riunioni in Comune, per Port’Alba avevano anche avviato progetti che prevedevano spazi per le fioriere, le bancarelle, ma si sono arenati tutti per mancanza di fondi. E anche, diciamo la verità, per una certa mentalità egoistica dei librai. Qui ciascuno pensa a sé, senza capire che l’unione, come sempre, fa la forza.

Da gennaio 2020 lei diventa anche editore, nel solco di una gloriosa tradizione napoletana che nel passato esaltava la figura del libraio editore. Se pensiamo a Pierro durante la Belle époque, o negli anni recenti a Tullio Pironti, scomparso pochi giorni fa, la sua è una iniziativa più coraggiosa o più impudente?

Coraggiosa sì, impudente no. Consideravo Tullio Pironti un maestro, lo intravedevo la mattina al bar e lo salutavo di sfuggita per timidezza. Un giorno finalmente andai a chiedergli il permesso di ristampare l’’Elogio di san Gennaro’ di Pietro Treccagnoli, che lui aveva pubblicato anni prima ed era ormai esaurito. Mi diede subito il consenso e quando ebbi tra le mani la prima copia, in edizione bilingue italiano-inglese con foto di Sergio Siano, gliela andai a portare in libreria. Il suo sguardo compiaciuto mentre la esaminava fu il superamento di un esame.

 

Qual è il primo libro che ha pubblicato?

Avevo scritto per l’editore Intra Moenia uno ‘Stupidario librario’ andato molto bene, che mi spinse a continuare con un volumetto sulle mie esperienze nel rapporto surreale con certi clienti: ‘Casomaicipenso’, prefazione di Pino Imperatore e disegni di Salvatore Esposito. Uscito poco prima del lockdown del 2020, non le dico quando dovevamo consegnarlo a domicilio: ci ha aiutato l’uso napoletano del ‘panaro’, i clienti calavano il cestino dai balconi.

 

Una simile plaquette l’ha fatta anche Nunzio Pironti, il nipote di Tullio. Siete di un’ironia implacabile con la clientela o forse chi vi frequenta risponde a una tipologia bizzarra. Vogliamo riportare un passo di ‘Casomaicipenso’?

“Buongiorno. Avete libri di scuola?”.

“No, signora”.

“Ma questi sono per il serale, ce li avete?”.

“No, signora, sempre di scuola sono”.

“Vabbè, ma per le scuole serali li dovreste tenere, scusate, se no che vendete?”.

 

Mannaggia a lei, Langella, che non tratta editoria scolastica.

Sono contrario a due cose: Amazon e la scolastica. Su Amazon finiscono solo i testi che pubblico io, per motivi di distribuzione, ma non quelli che vendo in libreria. La scolastica, invece, non la so fare: un tempo da agosto a dicembre rivoluzionava tutte le librerie della zona, c’era un viavai di clienti anche dalla provincia. Oggi, con l’avvento dei canali online che recapitano a casa, è declinata anche la scolastica.

Lei intanto pubblica opere abbastanza surreali: sui ‘Tisanuri’ per esempio, quegli insettini che smangiucchiano i libri.

I cosiddetti pesciolini d’argento. Quel volume ha inaugurato una collana di pregio: copie firmate, limitate e numerate su carta Fabriano Raffaello Roma, rilegatura a filo, in cofanetto a mano con spago e punzonatura. Anche ‘Gli altarini’ di Matilde Serao, ormai esaurito: cento esemplari su carta d’Amalfi di Amatruda che contenevano ciascuno una foto diversa di Sergio Siano, quindi ogni copia era unica. Ho ripubblicato questi titoli in una collana più economica, ispirata come tutte le mie a un brano di Pino Daniele. Inutile spiegare ancora perché.

Come ha pescato i ‘Bozzetti napoletani’ della svedese Anne Charlotte Leffler?

Mi capitò in libreria un volume dalla legatura bellissima, con tagli in oro, ma scritto in svedese. Capivo solo parole come Capri, San Gennaro, Napoli, sicché cercai un traduttore e non fu facile. Ma succede che i libri a volte debbano proprio nascere, così m’imbattei in Catia De Marco, che stava studiando proprio la Leffler in quel periodo e fu felicissima di tradurla per la prima volta in italiano. Interessante la storia di questa donna, che venne in Italia col marito ma s’innamorò del nobile algebrista napoletano Pasquale Del Pezzo, con cui si risposò e passò il resto della vita. Anche i matematici hanno un cuore. Pensi.

 

Quali sono le prossime novità?

Da cosa nasce cosa: dalla Svezia alla Danimarca, pubblicherò per questo Natale un Hans Christian Andersen con 49 suoi disegni a colori originali: sono i diari di viaggio a Napoli mai tradotti prima. Finora in italiano sono usciti solo i resoconti romani. A febbraio 2022 uscirà un libro di fine Ottocento, la vita romanzata di Masaniello dello scrittore catanese Domenico Castorina. L’ho scovato per caso in una raccolta d’epoca che mi sono ritrovato qui.

È spiazzante la sostituzione con l’intuito, o il caso (se esiste), di qualsiasi programma editoriale. Se ne rende conto?

So che chi ha fatto per una vita il libraio conosce bene gusti e problemi dei lettori. Per esempio quando si lamentano dei caratteri piccoli o della grammatura troppo leggera. Perciò mi metto nei loro panni e così decido meglio. Riguardo alla scelta dei titoli, la mia dimensione ‘micro’ consente una libertà cui non vorrei mai rinunciare.

Così da Masaniello salta a Sepúlveda.

 Ho comprato i diritti di traduzione di ‘Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare’. S’intitolerà in napoletano ‘’O cunto d’’a gavina e d’’o gatto ca ’a mparaie a vvulà’, a cura del professore salernitano Claudio Pennino con le illustrazioni di Federica Ferri. Uscirà per il Natale 2022.

S’immaginava di fare l’editore?

Mai. Io non sapevo proprio cosa avrei combinato nella vita. Forse fu grazie ai caffè che mi parlò il destino.

Cosa vorrebbe per questo ‘chilometro zero’ tra Santa Chiara e Port’Alba?

Napoli è migliorata perché è diventata una bella città turistica. Per questa stessa ragione è peggiorata. Qui vorrei un incremento di bellezza. Che il patrimonio artistico e culturale di queste strade, sia del passato sia prodotto adesso, non resti sottostante alla pizza e ai panzarotti. Ma venga tutto fuori.

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