Rapina con vista sul tinello. La Harlem anni 60 di Colson Whitehead
A due anni dall'uscita del romanzo che gli valse il secondo premio Pulitzer per la narrativa, lo scrittore americano torna nello scenario preferito della sua narrativa. Il risultato è, come sempre, ottimo
Tinello con vista sulla rapina. Rapina con vista sul tinello. Colson Whitehead ha congegnato “Il ritmo di Harlem” guardando ai classici del cinema: pedinamenti, stesura piano da imparare a memoria, esecuzione del colpo, fuga e spartizione del bottino (una “Rapina a mano armata” la girò anche Stanley Kubrick a 27 anni). E i salotti che si attrezzavano con impianti hi-fi, radio e televisori, ognuno con il suo bel mobiletto. Siamo in un negozio di mobili. Harlem 1959 – i neri avevano qualche soldo e quasi nessun negozio dove poter entrare. Prima del pionieristico negozio, compravano sui cataloghi.
Colson Whitehead, recensione del romanzo "Il ritmo di Harlem"
È l’ultimo romanzo del doppiamente premio Pulitzer Colson Whitehead (esce da Mondadori, tradotto da Silvia Pareschi che ci regala il tinello e altre delizie). Primo Pulitzer vinto nel 2017 con “La ferrovia sotterranea”, ora anche una miniserie diretta da Barry Jenkins (un romanziere e un regista più diversi e distanti non si potevano trovare). Secondo Pulitzer vinto con “I ragazzi della Nickel”: il tremendo riformatorio – più una casa degli orrori – dove finisce negli anni 60 un ragazzo nero, ben educato dalla nonna e avviato al college.
Storie di neri, sempre scritte benissimo (e nella loro tragicità sempre meno pesanti dell’autofiction di chi racconta “la sua infanzia schifa”, e poi l’adolescenza, e via così: a cosa serve la scuola Holden se non a mettere in pratica l’idiosincrasia numero 1 del signorino Holden Caulfield?). “La ferrovia sotterranea” rende concreta e realistica la frase con cui veniva indicata la rete di contatti che aiutava gli schiavi fuggitivi – nella prima metà dell’800 non certo una passeggiata.
Il nuovo romanzo del premio Pultizer per "I Ragazzi della Nickel"
Esplorati tutti i generi, compresa la fantascienza, con il “Il ritmo di Harlem” lo scrittore che fu celebrato sulla copertina di Time come “narratore d’America” (senza precisazioni di colore) dà sfogo al suo gusto per il racconto, ricco di dettagli per far rivivere la Harlem di quegli anni. L’ultimo capitolo arriva alle rivolte del 1964: un quindicenne nero fu ucciso da un poliziotto bianco davanti agli amici e a una decina di testimoni. Come l’Esposizione Universale, fanno parte dello sfondo. Il venditore di mobili Ray Carney – nero come il suo aiutante Rusty – teme soprattutto che i manifestanti gli fracassino le vetrine.
“Carney’ Furniture” ha in mostra le ultime novità, anche a comode rate mensili. Tavolini da salotto a forma di boomerang, divani e ottomane di marca. Manca soltanto la Bella Fontaine, mobilificio diventato celebre dopo che in una foto di Time Jacqueline Kennedy seduta su un loro sofà, a Hyannis Port. Il rappresentante del pregiato mobilificio alla 125° strada non arriva, troppi neri. Quando finalmente si spinge fin lassù saluta Ray Carney, e subito dopo in negozio entrano due poliziotti. Non vogliono comprare mobili ma comunque hanno la precedenza.
Ray Carney ha una doppia vita. Prima appena accennata, rivende televisori e altri piccoli elettrodomestici rubati. Le cattive compagnie sono in famiglia, a cominciare dal cugino Freddie. La moglie Elizabeth non sospetta di nulla, ma muore di nostalgia per le palazzine dove è cresciuta (“Strivers Row”, luogo del desiderio per le famiglie nere che duramente si impegnavano per abitarci). Poi pensano a una rapina seria, all’hotel Theresa: uno dei primi a abolire la segregazione, noto anche come “The Waldorf of Harlem”: c’era musica, c’erano spettacoli, c’erano attrici e mantenute con preziose gemme in cassaforte.
Fatti un po’ di soldi, arriva il tarlo della scalata sociale. Serve la bustarella, “il movimento che manda avanti la città, e sparge amore”. In mancanza, son vendette, doppi giochi, pallottole ben assestate.