I bronzi di Cartoceto (Ansa) 

non solo spigolatrici

I bronzi di Cartoceto sono gente di famiglia per i pergolesi

Sergio Belardinelli 

Nelle Marche, i cittadini di Pergola condussero più di trent'anni fa una battaglia per impedire che il gruppo scultoreo venisse portato in qualche museo più prestigioso. Oggi i misteriosi personaggi (forse la famiglia imperiale?) sono trattati come parenti

Settantacinque anni fa, nei dintorni di Pergola, piccola città dell’entroterra marchigiano, vennero ritrovati i resti di uno splendido gruppo bronzeo di epoca romana, oggi noto come i Bronzi dorati di Cartoceto di Pergola. Chi fossero i personaggi raffigurati in questo groppo non è dato sapere. Lo stesso dicasi della provenienza, della destinazione e del perché queste statue fossero state distrutte e sotterrate nelle campagne pergolesi, tra gli importanti insediamenti romani di Forum Sempronii, Suasa Senonum e di Sentinum, non lontano dalla via Flaminia. Erano destinati a essere collocati a Fano, Fanum Fortunae? Oppure a Pesaro, Pisaurum? Oppure a Rimini, Ariminum? E perché non a Roma? Rappresentavano i membri di una famiglia patrizia di questi luoghi, oppure addirittura della famiglia imperiale? Ipotesi, soltanto ipotesi. 

 

L’unico elemento sul quale gli esperti convengono è la datazione del gruppo: terzo quarto del primo secolo avanti Cristo. Per il resto è tutto un mistero. Originariamente composto di due cavalli, due cavalieri e due matrone di dimensioni leggermente superiori alla grandezza naturale, del gruppo possiamo ammirare oggi, magistralmente ricomposto nei suoi frammenti, i due cavalli quasi nella loro interezza (mancano le code e qualche frammento del corpo), gran parte di un cavaliere, una matrona nella sua interezza e la parte inferiore della veste dell’altra. Nessuno sa dove siano finiti i pezzi mancanti. Nel museo di Pergola, dove sono splendidamente esposti, si può anche ascoltare la storia avvincente del loro ritrovamento e delle tecniche utilizzate per il loro restauro. Ma non è di questo che voglio parlare.

 

Per me “i bronzi” (a Pergola li chiamiamo così) evocano soprattutto la storia di una battaglia condotta più di una trentina d’anni fa dai pergolesi per impedire che una volta restaurati venissero portati via da Pergola per essere magari collocati in qualche museo più prestigioso. Mesi e mesi di manifestazioni, la porta del museo presidiata giorno e notte da uomini, donne e bambini e persino platealmente murata da due noti parlamentari marchigiani (il senatore Giorgio Tornati dell’allora Partito comunista italiano e l’onorevole Giuseppe Rubinacci dell’allora Movimento sociale italiano), militanti su fronti politici opposti ma entrambi convinti della bontà della causa. È grazie a questa storia, conclusasi definitivamente soltanto una decina d’anni fa, che i bronzi sono per la città di Pergola molto di più che un reperto archeologico di inestimabile valore. Quando erano murati nel museo, i pergolesi che di notte facevano la guardia intorno al fuoco acceso sulla piazzetta antistante hanno sentito lo scalpitio di quei cavalli, hanno visto il bagliore accecante del loro mantello d’oro, sono diventati amici del cavaliere. Quanto alla matrona, vera icona di tutto ciò che solitamente si associa alle virtù e alla grandezza di Roma, il suo volto austero li rassicurava che tutto sarebbe andato per il verso giusto, che sì, i bronzi sarebbero rimasti in questa città. 

 

In occasione di un recente convegno organizzato per ricordare il settantacinquesimo anno dal loro ritrovamento, mentre autorevoli studiosi cercavano di districare il mistero inestricabile della nascita e della rovina di questi bronzi meravigliosi, non ho fatto altro che pensare alla familiarità dei pergolesi con questo mistero. Non sappiamo praticamente nulla di loro, ma li consideriamo come se fossero di casa. Un po’ come si fa con i parenti, ogni tanto li si va a trovare, più che a vedere. Quando poi se ne parla, lo si fa in genere evocando questo o quell’episodio della lunga controversia che ha visto impegnata la città contro la burocrazia della Soprintendenza ai Beni archeologici delle Marche che li voleva portare ad Ancona. La storia che ci lega a loro non è dunque la stessa delle migliaia di visitatori che vengono per ammirarli. Ma davanti ai bronzi siamo tutti ogni volta coinvolti nello stesso prodigio. La stupefacente maestosità di queste statue, la luce che emana l’oro di cui sono ricoperte parlano della misteriosa, frammentaria, imperscrutabile materia di cui siamo fatti, noi e quelle statue, e insieme di un altrettanto misterioso invito alla conciliazione: non è necessario conoscere origine e destino della nostra vita per apprezzarne il sapore e la bellezza.

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