“Smettete di scrivere libri”. Intervista a Yasmina Reza
Il #MeToo, Sarkozy, l’arte di sapere ridere. E un appello. Chiacchierata con la scrittrice di "Felici i felici", a Capri per ricevere il premio Malaparte
La più perfida scrittrice europea, l’erede della grande signorina Ivy Compton-Burnett, l’autrice che nei suoi romanzi scarni e nelle sue commedie teatrali di enorme successo distrugge tutto ciò che tocca, preferibilmente famiglia e borghesia di sinistra, riprodotte nei loro appartamenti con la precisione di un Roomba, è a Capri per ricevere il premio Malaparte. Yasmina Reza è sull’isola con l’ex compagno e padre dei suoi figli, documentarista, che la segue per fare un film su di lei, e sembrano Marina Abramovic col suo Ulay, però in versione intelligente.
Lei una criniera di capelli neri, sessantenne con fisico da trentenne, italiano quasi fluente grazie a un personale istruttore, è tutta contenta, e non potrebbe essere diversamente, si calcola che solo con “Arte”, la sua pièce con cui ha irriso il mondo artistico ben più della grottesca rappresentazione della Abramovic messa in scena da Sorrentino, abbia guadagnato oltre trenta milioni. Si attende il nuovo romanzo, “Serge”, storia di una famiglia di ebrei disfunzionali francesi che fanno una simpatica gita ad Auschwitz per ricompattarsi, e ne usciranno ovviamente a pezzi, sarà tradotto in primavera da Adelphi come tutti i suoi lavori.
Parla un po’ di tutto, ma vorrebbe dire niente, madame Reza, venere tascabile e anche un po’ bambolina spagnola. “Gli scrittori oggi sono costretti a dire la loro su tutto tutti i giorni, dalla politica al #MeToo, e sembrano felici di prendere posizione; ma non è un’espressione di libertà, al contrario: perché, una volta che hai detto pubblicamente quello che pensi, poi devi scrivere la stessa roba nei tuoi libri, e ti levi un sacco di possibilità. E non che io non sia d’accordo con il #MeToo, per carità, non si potrebbe non esserlo, però io l’ho deciso da tempo: non parlo. Non ho i social e non parlo di attualità. Perché poi vieni giudicato solo per le tue posizioni ideologiche e politiche. E così alcuni scrittori inconsciamente si schierano dalla parte giusta”.
L’identitarismo? “Una stronzata”. Il marito le bisbiglia qualcosa tra una mozzarella e un friariello (“che buono! che buono!”), e sembrano un duo di rockstar, lei corvina e occhialoni, lui ampia brizzolatura e occhio ceruleo. Non vuole assolutamente essere fotografata, e però il suo Ulay la riprende tutto il tempo. Leggendaria vanità, alle domande poco interessanti risponde “oui”, “non”, fa finta di non capire l’italiano, fino alla definitiva “je suis pas sociologue”, per troncare ogni scocciatura. “Non ho niente da dire. Non ho opinioni particolarmente interessanti su alcuna questione. Il mondo per me rimane un enigma, e per questo mi interessa esplorarlo”. Solo Sarkozy la rianima. In “L’Aube le soir ou la nuit”, reportage dalla campagna elettorale dell’allora piccolo Napoleone, si finse groupie, lo stregò e poi lo stroncò. Lui disse: “Non l’ho letto ma non mi piace”. Lei lo dipinse come un bru bru. Oggi però alla luce delle nuove condanne (Sarkozy è stato appena condannato a un anno di domiciliari per finanziamento illecito) lo difende: “Mi sembra che i magistrati francesi sono ossessionati da lui, non riescono a farne a meno. Forse anche da voi con Berlusconi è così? Pensate che l’hanno intercettato per un anno con le intercettazioni a strascico, che sono illegali in Francia. E’ uno scandalo”.
I tribunali le piacciono. Legge un sacco di gialli e va sempre a vedere i processi, ecco una cosa che la diverte, come Forster e Simenon e Carrère, e be' in Italia allora ci sono praterie, potrebbe fare un grand tour giudiziario. Altre similitudini tra i nostri paesi? “Non si ride più. Se sei uno scrittore non puoi fare ridere. In Francia se fai ridere diventi subito boulevard, da stazione, non vieni preso sul serio. Così, con me, siccome ho successo e faccio ridere, si sono dovuti inventare che sono sarcastica e cattiva. Ma le persone che ridono a causa di un testo lo fanno perché riconoscono la verità, che normalmente si fa finta di non vedere. Lo noto a teatro, perché non riesco a vedere chi legge i miei libri”.
Insomma non è cattiva. “Moi? Sa chi era cattivo davvero? Thomas Bernhard: lui sì che aveva abolito completamente il sentimentalismo: beato, lui la ferocia pura, io no, non riesco. Ma il sentimento è contrario all’osservazione, lo dice Voltaire. E’ impossibile comprendere e amare allo stesso tempo, una bêtise che il sentimento avvicini. La comprensione ha bisogno di un po’ di asciuttezza. Per questo mi piacciono i processi”. Però i suoi meravigliosi libretti brevi, da “Il dio del massacro”, portato al cinema da Roman Polanski dieci anni fa, a “Felici i felici” e “Babilonia”, sono soprattutto dominati da uno sguardo implacabile che non risparmia nessuno. “Implacabile? E’ uno sguardo senza pietà, certo, ma io vado all’osso. E’ l’unica cosa che ci sia di interessante nella scrittura, andare fino in fondo, sennò a che serve?”.
Però tornando al comico, chissà perché se un autore americano o inglese è divertente, un Franzen va benissimo, da noi poveri europei no. Solo buoni sentimenti o drammi rustici. “Ma è una cosa recente, fino a Voltaire si rideva eccome, io ho una mia teoria, a noi ci ha rovinato la Germania con la figura del Dramaturg, lo scrittore serioso che decide: questo si può scrivere, questo no”.
Quanto le si vuol bene. Che fa? Chi vede, chi frequenta? Altri scrittori? “Per carità, ma no, ci mancherebbe. E’ un ambiente così piccolo, così poco interessante”, dice lei che è stata prima attrice e poi regista e solo infine scrittrice, a suo agio col mondo dei potenti.
E la vita, fuori com’è? Più brutale di cinquant’anni fa, tra social e nuovi mostri instagrammatici? “E che ne so, io mica c’ero”, sibila, poi si corregge, con lapsus narcisistico, “sì, c’ero, ma ero très petite”. Qualcuno le chiede se le pesi mai, scrivere. Si sfila gli occhialoni e mostra i famosi occhioni da medusa. “Sempre”. Ma non siamo in questa famosa fase di scomparsa della scrittura a favore dell’immagine? “Ma io sono la prima a farla scomparire. Oltre al mio lavoro, non so buttare giù neanche un’email”. Cosa consiglia a chi dice che oggi non si scrive più? “Dico: non scrivete!”, e sorride. “Lei lo sa quanti libri si pubblicano a Parigi ogni anno? Cinquecento solo a settembre. Non scrivete, davvero, per favore”.
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