La donna e la scienziata
Vita felice e scandalosa di Marie Curie, processata come Dreyfus
Il dolore pazzo per la morte di Pierre Curie e il nuovo amore per Paul Langevin. Le lettere rubate e pubblicate dai giornali. Cercarono di distruggerla mentre vinceva il secondo Nobel
Fotografie di Marie Curie sorridente non ne ho trovate. Non significa che non sia stata enormemente felice, di quella felicità che contiene anche la disperazione. Felice dentro il suo straordinario posto nel mondo, dal giorno in cui mise piede a Parigi nel 1891 per studiare Scienze alla Sorbona (23 donne su 1825 studenti). Qualche volta sveniva per la fame, una volta si mise addosso anche la sedia per resistere al freddo della stanza in cui dormiva. Felice degli studi, delle scoperte, del lavoro sperimentale in laboratorio. “Ero entusiasta di ogni cosa nuova che scoprivo o imparavo: era come se un mondo nuovo, il mondo della scienza a cui potevo finalmente accedere in piena libertà, si schiudesse davanti a me”. Marie Curie si dispiaceva soltanto che i giorni passassero tanto velocemente. Felice di una sensazione precisa, che richiedeva dedizione, forza di volontà e nessun rimorso per le cose e le persone lasciate in Polonia: “Qui è in gioco tutta la mia vita”.
Marie Curie è stata la prima donna a ricevere un premio Nobel (la metà di un Nobel, e a metà con suo marito Pierre, anche se a Stoccolma avevano pensato di darlo soltanto al Curie maschio), l’unica donna a riceverne due (e anche sul secondo premio Nobel, questa volta per la Chimica, c’è una storia gigantesca da raccontare). È stata anche la prima donna a laurearsi in Scienze alla Sorbona, la prima ad avere il Dottorato in Scienze in Francia, oltre a molti altri riconoscimenti universitari ai suoi successi. La prima a essere sepolta nel Pantheon degli Uomini illustri, e del resto l’unica. Una ragazza polacca, che secondo Einstein era “molto intelligente ma fredda come un pesce” (ma anche Einstein dovette cambiare idea), senza soldi, senza conoscenze, ma con la convinzione di volersi guadagnare “una vita immensa”.
Non voglio raccontare ancora una volta le scoperte scientifiche di Marie Curie, che l’hanno nutrita e anche uccisa a sessantasei anni per le conseguenze delle radiazioni a cui si esponeva con grande fiducia e negazione dei danni, né i principi di libertà con i quali ha cresciuto le sue figlie, l’importanza assoluta dell’istruzione e della volontà. Voglio raccontare lo scandalo che ha tentato in ogni modo di rimpicciolirla e che da celebre scienziata, ammirata e vezzeggiata in quanto vedova inconsolabile di Pierre Curie, ha voluto trasformarla in una reietta, nell’ebrea polacca che doveva tornarsene al suo paese, nella straniera rovinafamiglie venuta a turbare la vita famigliare di un onesto fisico francese, Paul Langevin. Voglio raccontare il secondo affare Dreyfus di Francia, quello in cui la stampa, l’opinione pubblica, gli antisemiti e i misogini cercarono di distruggere e umiliare Marie Curie mentre vinceva il secondo premio Nobel. All’improvviso le sue scoperte, il suo genio, il suo lavoro non valevano più nulla. Perfino Stoccolma, che già le aveva conferito il Nobel, le chiedeva di non andare a ritirare il premio.
Tutto questo perché? Aveva forse sbagliato i dati nel suo Trattato di radioattività, aveva mentito sull’avere isolato il radio allo stato puro, aveva rubato fondi della ricerca, aveva sfigurato con l’acido uno scienziato rivale? No, anche se era stato già ritenuto molto arrogante da parte sua, in quanto donna, candidarsi, per meriti riconosciuti e con il sostegno e la proposta di molti colleghi illustri, a membro dell’Académie des Sciences, nel 1910. Se fosse stata eletta, sarebbe stata la prima donna anche in quello. La sua candidatura fu respinta, con 85 voti contro 60, e il giorno dopo la maggior parte dei giornali salutò il risultato come “una vittoria degli antifemministi” (“Questa donna, un tempo così popolare ha spinto un po’ troppo oltre la sua brama di onori e ricompense”). Marie Curie non si diede troppa pena, nonostante la stampa conservatrice di destra sosteneva che Madame Curie non aveva mai raggiunto nessun risultato in Fisica prima di sposarsi e dopo la morte del marito non aveva fatto quasi più nulla. Al massimo le riconoscevano il ruolo di preziosa assistente.
Comunque non fu questo il motivo per cui la Francia antisemita, misogina e xenofoba attaccò Marie Curie con violenza. Il motivo, o meglio il pretesto, fu l’amore
Marie Curie, dopo quattro di vedovanza, a quarantadue anni si era innamorata di un uomo sposato, Paul Langevin appunto (fisico, anche lui sepolto nel Pantheon degli Uomini illustri). Ma per arrivare all’amore, bisogna partire dal dolore. Il dolore per la morte improvvisa e violenta di Pierre Curie, che una mattina di pioggia uscì di casa, dopo aver salutato sua moglie e le sue bambine, ancora molto piccole, e andò al laboratorio, che divideva con Marie, ma Marie quella mattina doveva occuparsi delle figlie ed era nervosa, poi andò a pranzo con sette colleghi dell’Associazione dei professori di Scienze. Era debilitato e pieno di dolori, anche se al pranzo era stato molto vivace e aveva incantato tutti. Non sapeva, o non voleva credere, che il motivo erano le radiazioni. Era un parigino camminatore, abituato alla pioggia, ed era uno scienziato distratto. Giunse in rue Dauphine, stava per attraversare la strada mentre un carro pesante trainato da due cavalli giovani e eccitati scendeva dal Pont Neuf. Dall’altra parte arrivava il tram, che coprì la vista di Pierre Curie. Pierre sbattè contro uno dei due cavalli e cadde sul selciato. Non fu agile a rialzarsi. La ruota posteriore del carro gli fracassò la testa uccidendolo sul colpo a quarantasette anni. Marie ne aveva undici di meno. “Persi il mio amato Pierre, e con lui ogni speranza e ogni sostegno per tutto il resto della mia vita”.
Dal momento in cui le dissero: “È morto”, Marie Curie precipitò nell’abisso del dolore, e anche la vita delle sue figlie cambiò. La madre non permetteva che si parlasse di lui. Ma si struggeva nei ricordi degli ultimi giorni insieme e scrisse un diario che è stato pubblicato in Vita della signora Curie, scritto dalla figlia minore, Eve Curie, che si è salvata dalle radiazioni perché non amava andare in laboratorio. Il diario è stato saccheggiato in molte biografie di Madame Curie (la migliore è quella di Susan Quinn, Marie Curie – Una vita, pubblicato in Italia da Bollati Boringhieri). È una grande dichiarazione d’amore e di lutto.
Mattina dell’11 maggio 1906. Pierre mio, mi alzo dopo aver dormito bene, relativamente tranquilla; è passato appena un quarto d’ora e, pensa, ho di nuovo voglia di ululare come un animale selvaggio. Due settimane dopo la morte di Pierre, Marie Curie decide di bruciare i suoi vestiti insanguinati. Insieme alla sorella, li getta in un falò. Ma prima bacia i brandelli di stoffa sforbiciati con i grumi di sangue e i resti di cervello. Questa donna che non alza mai la voce, che non tollera che si alzi la voce né per rabbia né per gioia, che vive ogni mondanità come un’immensa seccatura e anzi come uno strazio, che non ha mai sorriso in nessuna foto, ha rivelato nel diario per la morte del marito una grande passione, anche fisica, per quest’uomo mite e distratto con cui aveva intenzione di dividere la vita, la morte e la missione scientifica. Scrive nel diario, parlando dei giorni di vacanza passati a Saint-Rémy: Stavamo bene, io provavo un certo rimorso nel caso fossi stato stanco, ma ti vedevo felice. E anch’io avevo quella sensazione che avevo provato spesso durante gli ultimi tempi che nulla più ci turbava. Mi sentivo calma e piena di una dolce tenerezza per l’eccellente compagno che stava lì con me, sentivo che la mia vita gli apparteneva, che il mio cuore traboccava d’affetto per te, mio Pierre, e mi rendeva felice sentire che lì, accanto a te, sotto quel sole stupendo e di fronte a quel panorama divino della vallata, non mi mancava nulla.
Adesso che è tutto finito per sempre, Marie Curie è incredula, perché si accorge che riesce a continuare a lavorare. Dopo un mese, torna in laboratorio. Credeva che senza Pierre non ci sarebbe stato più spazio per nessuna ricerca, ma non è così. Quando lavora, non sente più niente. Anzi, a volte, un po’ di gioia. Mi offrono di succederti, Pierre, nel tuo corso e nella direzione del laboratorio. Ho accettato. Non so se ho fatto bene o male. Tu mi dicevi sempre che ti sarebbe piaciuto che io tenessi un corso alla Sorbona. Io volevo fare almeno lo sforzo di proseguire le ricerche. A volte mi sembra che così mi sarà più facile vivere, altre mi sembra di essere pazza per essermi imbarcata in tutto questo. (…) Ieri, per la prima volta dopo il giorno fatidico, una trovata di Irène mi ha fatto ridere, ma anche ridendo, mi faceva male.
La prima lezione di Marie Curie alla Sorbona, al posto del marito morto, fece accorrere tutta Parigi: centinaia di persone si erano radunate davanti ai cancelli dell’università ben prima dell’alba (“alcuni imbecilli si sono addirittura congratulati con me”). Per vedere quella donna afflitta, austera, serissima, preparatissima, concentrata. La prima donna nella storia a tenere un corso alla Sorbona. Il giorno prima era stata al cimitero, a parlare con Pierre. Era in uno stato di profonda depressione, anche un anno dopo l’incidente. Le figlie vissero da quel giorno nel tentativo di rallegrare la madre, e non fu facile, non fu bello: Iréne aveva nove anni e fissava con grandi occhi preoccupati gli abiti del lutto. Tutti dicevano che Marie Curie era prigioniera del proprio dolore. Gli amici erano preoccupati, ancora di più da quando il vecchio padre di Pierre, che viveva con loro e si occupava delle bambine, morì nel febbraio del 1910, 4 anni dopo suo figlio. Marie aveva quarantatré anni.
Eppure, una sera di primavera di quello stesso anno, Marie andò dopo cena a casa degli amici di sempre a prendere un caffè. Invece dei soliti vestiti neri indossava “un abito lungo bianco con una rosa sul seno. Si sedette tranquilla come sempre, ma qualcosa in lei segnalava un’improvvisa resurrezione, come la primavera che viene dopo un freddo inverno e si preannuncia sottilmente, nei dettagli”. Nessuno sapeva perché, ma di lì a poco fu chiaro, e dopo un altro po’ di tempo questa resurrezione diventò uno scandalo. Marie Curie aveva stretto un’amicizia sempre più intima con il fisico Paul Langevin, insegnante appassionato e brillante ammirato da Einstein, devoto di Pierre Curie e con idee molto vicine alle sue. Un amico di famiglia, si potrebbe dire, con cui condividevano le estati, e la moglie di Langevin si lamentava del marito con Marie Curie. Langevin era un uomo giovane e bello, dedito alla scienza, dentro un matrimonio infelice e feroce, da cui non riuscì mai a liberarsi, per i figli e per le misteriose e volontarie circostanze per cui si resta insieme tutta la vita a qualcuno di così sbagliato e estraneo da non potersene separare.
Comunque, intorno alla metà del luglio 1910, Marie Curie e Langevin erano innamorati. Affittarono un appartamento insieme vicino alla Sorbona per incontrarsi lì ogni volta che potevano. Si scambiavano lettere in cui dicevano: ci vediamo chez nous, ci vediamo da noi. “Fino a sabato, mia cara, non smetterò di pensare a te. Ti abbraccio teneramente. Sto cercando di ottenere condizioni di vita accettabili per noi due e sono d’accordo con te su ciò che dobbiamo fare per raggiungere lo scopo. Ne parleremo domani. In ogni caso, passerò da noi attorno alle otto”.
La moglie di Langevin ci mise un secondo a capire che cosa stava succedendo, e comunicò al marito che “si sarebbe ben presto liberata di chi la ostacolava”. Marie Curie non capiva che cosa significasse: liberarsi. Lo chiese a Paul. “Significa che intende ucciderti”. Non era uno scherzo, e infatti la moglie di Langevin aspettò Marie Curie per strada e la insultò pesantemente, minacciandola di morte e dicendole di lasciare la Francia. Sembra folle, e lo è, ma è quello che da lì a poco scrissero anche molti giornali. E quello che alcuni amici fidati le consigliavano: allontanarsi temporaneamente dalla Francia. Marie Curie era sconvolta da quello che stava succedendo, ma rifiutò di andarsene anche quando lo scandalo diventò pubblico. E stabilì un principio, da sola, nei primi anni del Novecento in una Parigi sempre più antisemita: la mia vita privata non vi riguarda.
A metà settembre Paul Langevin, Marie Curie e Jean Perrin, amico e scienziato, partirono per il Congresso Internazione di Radiologia e Elettricità a Bruxelles. C’è un foto che li ritrae tutti insieme, tutti seri e concentrati, compreso un giovane Einstein: Marie Curie è l’unica donna, non sorride ma legge, seduta. Non stava bene fisicamente, era ammalata, non andò alla cena di gala, e tornò a Parigi, e da lì in campagna, stanca e preoccupata. Tuttavia nutriva speranze per il futuro (anche se Langevin aveva promesso alla moglie che non avrebbe più visto Marie). Sarebbe così bello essere liberi di vedersi ogni volta che gli impegni ce lo permettono, lavorare insieme, camminare o viaggiare insieme, quando le condizioni ce lo consentono. Tra di noi ci sono affinità profonde che richiedono solamente, per svilupparsi, condizioni di vita favorevoli.
Marie sperava in un futuro limpido con Paul Langevin, seppur consapevole della guerra nucleare che sua moglie stava per mettere in atto. Marie non aveva più paura, perché soffriva troppo per la vita coniugale di Paul. Non sopportava di saperlo a letto con la moglie, la notte, non sopportava l’idea delle crisi di pianto della moglie e delle sue minacce sui figli. Era gelosa e esasperata, ma anche piena di vitalità e disposta a camminare nel fuoco in nome di quest’amore nuovo. Si chiedeva anche, e chiedeva a un’amica, come può un uomo dotato della massima intelligenza non riuscire a prendere decisioni intelligenti. Sai bene che tua moglie, nonostante gli impegni presi e anche se ciò coincide con i suoi interessi, non è capace di controllare la propria indole violenta, e sai anche che io non posso incontrarla. Ma soprattutto saremmo sempre in balia del timore di uno scandalo.
Lo scandalo, eccolo, circa un anno dopo. Dopo il fondamentale Congresso Solvay a Bruxelles, a cui parteciparono Langevin, Marie Curie, Einstein e gli altri cervelli eccezionali del Novecento. Uno sconosciuto, probabilmente pagato da Madame Langevin, entrò nell’appartamento rifugio di Marie Curie e Langevin e rubò le lettere, che loro avevano ingenuamente conservato, e che noi oggi possiamo leggere. Il 4 novembre, il giorno successivo alla fine del congresso, Le Journal, uno dei quotidiani più diffusi a Parigi, uscì in prima pagina con una foto di Marie Curie e un titolo a caratteri cubitali: Storia d’amore: Madame Curie e il professor Langevin. L’articolo cominciava così: “I fuochi del radio che vengono emessi così misteriosamente (…) hanno acceso una fiamma nel cuore di uno degli scienziati che li studiano con tanta devozione; la moglie e i figli di questo scienziato sono in lacrime (…)”. Con un’intervista alla suocera, perfino, che accusava Madame Curie di essere fuggita con Langevin. A quel punto anche il Petit Journal si scatenò, e iniziò una campagna di stampa contro Marie Curie, descritta come una donna dedita a occupazioni tipicamente “maschili”: “Libri, laboratorio, gloria”. In seguito, anche infida e calcolatrice. L’Oeuvre, settimanale sempre più antisemita, scrisse che la Sorbona era diventata “germano-giudaica” e che questo caso, cioè il caso di una storia privata “non divide in due la Francia, ma mostra la Francia stretta nella morsa di una banda di luridi stranieri che la saccheggiano, la macchiano, la disonorano”.
La banda di luridi stranieri era formata essenzialmente da Marie Curie, premio Nobel per la Fisica e, quello stesso anno, il 1911, per la Chimica, per la scoperta del radio e del polonio. “La verità – scriveva Gustave Téry, fondatore e direttore dell’Oeuvre – è che deliberatamente, scientificamente, M.me Curie si è dedicata con i più perfidi espedienti, con i consigli più subdoli, ad allontanare Paul Langevin dalla moglie e a separare lei dai figli”. “Questa straniera”, divenne il suo appellativo e l’Oeuvre pubblicò le lettere. Lo scandalo divenne mondiale. Marie Curie perse la solidarietà di molti amici e colleghi e da destra venne accusata anche di “femminismo”. Si dissero anche grandiose assurdità, tra le quali che la relazione con Langevin era iniziata quando Pierre Curie era vivo e che per questo lui si era suicidato gettandosi sotto le ruote del carro
Mentre Langevin sfidò a un ridicolo duello Gustave Tery, nel modo in cui i maschi risolvono le questioni, facendo a botte o giocando ad ammazzarsi per essere certi di avere recuperato la loro mascolinità, Madame Curie restò per lo più in un doloroso silenzio, tranne due volte. La prima mandò un comunicato a Le Temps, in cui definiva “abominevoli le intrusioni della stampa e del pubblico nella mia vita privata”, annunciava azioni legali e precisava che non era fuggita da nessuna parte con il suo amante, ma “mi sono recata a Bruxelles con altri venti scienziati, francesi e non, per un incontro scientifico della massima importanza”. In questo comunicato stabiliva una cosa importante, che nessuno ovviamente notò, troppo presi dal feuilletton scabroso e dall’esaltazione per il racconto delle lacrime dei figli di Langevin: “Non c’è nulla delle mie azioni che mi obblighi a sentirmi diminuita. Non aggiungerò altro”.
Era esattamente quello che stava facendo la Francia: diminuire, sminuire, isolare, sbeffeggiare Madame Curie. Chiederle di giustificarsi, anzi chiederle di nascondersi. Einstein però le scrisse una lettera di solidarietà: “Se la gentaglia dovesse continuare a occuparsi di lei, non legga quelle fesserie ma piuttosto le lasci ai rettili per cui sono state prodotte”.
Nel frattempo, anche se a nessuno importava, Marie Curie aveva vinto il suo secondo premio Nobel. Per meriti scientifici, non per la sua vita sentimentale. Il premio più serio e importante del mondo. Più freddo e incorruttibile. Tuttavia da Stoccolma le scrissero consigliandole di non andare a ritirarlo, per non suscitare altre chiacchiere, e precisarono che “se l’Accademia avesse ritenuto che quelle lettere potevano essere autentiche, è molto probabile che non le avrebbe concesso il premio”.
Quella fu la seconda volta in cui Marie Curie parlò. Lei, che non voleva andare a ritirare il Nobel nemmeno la prima volta perché le sembrava che le sottraesse tempo alla ricerca, scrisse a Stoccolma:
Mi sembra che costituirebbe un grave errore da parte mia l’azione che lei mi raccomanda. In realtà il premio è stato concesso per la scoperta del radio e del polonio. Credo che non ci sia nessuna connessione fra il mio lavoro scientifico e i fatti della mia vita privata. Non posso accettare, per principio, l’idea che l’apprezzamento del valore del lavoro scientifico possa essere influenzato dai libelli e della calunnie sulla vita privata. Sono convinta che molte persone condividano questa opinione. Mi intristisce profondamente che lei non sia fra quelle. Marie Curie andò a ritirare il suo Nobel, lo dedicò alla memoria di Pierre Curie, tornò a Parigi ed ebbe un crollo fisico da cui non si riprese mai totalmente. Nel frattempo Langevin si era separato dalla moglie, ma poi tornò da lei, ebbe un’altra amante, questa volta tollerata da Madame Langevin e su cui nessuno ebbe niente da ridire. Madame Curie, “la polacca” continuò la sua vita, al servizio della scienza e della Francia. Come diceva da ragazza: “La vita non è facile per nessuno di noi. E allora?”.