"Cancellare la Beat Generation"
Jack Kerouac e gli altri scrittori anarchici non sono più alla moda. “Sono bianchi e un po’ razzisti”, scrive un accademico sul Boston Globe
Nel 1978 lo spettacolo “La Beat Generation” – letture da Burroughs, Corso, Ferlinghetti, Ginsberg, Kerouac – fu vietato ai minori dal Centro universitario culturale di Santa Teresa dei Maschi a Bari. L’attore e drammaturgo Cosimo Cinieri rispose: “In una nazione dove qualunque bambino può comprare un giornaletto pornografico in edicola, dove le strade sono tappezzate di oscenità, dove la violenza è diventata ‘quotidiana’, questi moralisti si arrogano il diritto di precludere ai ragazzi la conoscenza della poesia dei beat. È come se dicessero: drogatevi, gettate molotov, usate la violenza, ma, per carità, tenetevi lontani dalla poesia, quella è pericolosa”. Al tempo, la Beat Generation era considerata pornografica. Oggi non abbastanza progressista. “Nell’èra di MeToo, Black Lives Matter, la situazione degli immigrati al confine, le manifestazioni del suprematismo bianco, ‘On the Road’ può essere accusato di incarnare tutto ciò che è sbagliato sull’America”, scriveva ieri un accademico sul Boston Globe.
“I personaggi maschili di quel libro, mi hanno detto gli studenti, stanno godendo di una forma di privilegio bianco”. E il bel magazine anticonformista Quillette ospita un lungo saggio dal titolo “Cancellare la Beat Generation” scritto da David Wills, il direttore del Beatdom Literary Journal e autore di “Allen Ginsberg as Traveller”. Wills racconta dei problemi incontrati dagli accademici nel portare i testi della Beat nelle aule.
“Dentro e intorno alla Columbia University, un gruppo disordinato di bohémien si è unito sulla base di una strana serie di interessi reciproci” scrive Wills. “Due di loro erano omosessuali, un bisessuale e tutti erano interessati alla droga e alla letteratura sovversiva”. Negli anni 50, la Beat Generation divenne famosa per il suo rifiuto del conformismo. “Per le casalinghe di periferia, i critici letterari azzimati e per gli agenti di polizia, i Beat erano più di una semplice curiosità: erano ripugnanti, antiamericani e pericolosi”. Fin qui tutto noto e scontato.
“Ciò che è straordinario è il modo in cui gli assalti all’eredità dei Beat sono ora passati da destra a sinistra”. Oggi, scrive Wills, “è d’obbligo criticare gli scrittori Beat, non per il loro progressismo, ma per una percepita mancanza di esso”. È facile presentare un articolo o un saggio che si lamenti del “sessismo di Kerouac”. Anche nelle esplorazioni o nelle celebrazioni del loro lavoro, il “privilegio bianco” e la “misoginia” vengono sempre denunciati.
In “The Beats: A Teaching Companion” (Clemson University), appena uscito in libreria, ci sono diversi aneddoti deprimenti sulle difficoltà incontrate nell’insegnare la Letteratura Beat. “I professori che hanno insegnato ‘On the Road’ stanno lottando per giustificare la sua inclusione nei corsi di letteratura perché è stato scritto da un autore cisgender maschio bianco. Non sono più solo gli amministratori universitari a respingere i Beat; sono anche gli studenti”. Scrive una accademica nel libro: “Uno dei miei studenti ha chiesto alla nostra classe sui Beat di discutere se lui, in quanto maschio cisgender bianco, avesse il diritto di affrontare o rappresentare le vite dei neri, come fa ‘On the Road’, e se questo dovrebbe essere incluso in un curriculum”. Qualche anno fa i titoli sui giornali erano: “La Turchia censura i Beat”. L’editore turco Irfan Sanci è finito sotto processo per aver pubblicato il romanzo di William Burroughs “La macchina morbida”. Domani, chissà, potremmo leggerne altri: “L’America censura i Beat”.