Contro i saloni. Lode al distanziamento sociale del lettore
Leggere un libro “in assenza” è stata l’esperienza da brivido che molti hanno fatto prima della riapertura delle cattedrali formicolanti dell’editoria. Perché interromperla?
Per George Eliot sono “gli occhi misericordiosi della solitudine” a rivelarci carnalmente il senso dei conflitti spirituali degli esseri umani. Si deve essere molto contenti del successo del festivalone del libro di Torino, con i suoi 151 mila visitatori, con le sue scolaresche in gita, con le sue postazioni radio che amplificano e moltiplicano il chiacchiericcio sempre acceso nelle sale, dove gli editori denunciano un felice incremento e più che legittimo, benedetto addirittura, degli incassi. Ci mancherebbe. Eppure la rivincita dell’affollamento librario, come si dice oggi “in presenza”, propone di nuovo un vecchio dilemma del mondo prepandemico: ma i libri, le storie, le ragnatele di società e di sentimento che fanno dei migliori romanzi ritratti e autoritratti o negazioni e deformazioni del tempo e dello spazio, non richiedono forse il “distanziamento sociale”? L’occhio solitario e misericordioso del lettore dovrebbe recuperare autonomia dalla disputa, che è la versione facile della critica e del suo esercizio, e ritrarsi dalla chiacchiera, che ne è la degenerazione.
Lo insegnano i dati stessi della lettura, un’attività che la diffusa patologia da contagio ha incrementato mentre quasi tutto il resto, a parte medicine, ricoveri e vaccini, diminuiva le prestazioni in un mondo svuotato di socialità e contatti. Dopo esserci vanamene domandati se ne saremmo usciti migliori, forse è il momento di pensare a salvare qualcosa dell’epoca malaticcia in cui pensavamo di essere peggiori. Leggere un libro “in assenza” è stata l’esperienza da brivido che molti hanno fatto prima della riapertura delle cattedrali formicolanti dell’editoria dove si pratica quella che Franzen chiama l’impollinazione culturale. Perché interromperla?
Leggere non è un tratto pertinente della società civile di massa, leggere non è un legame, un’occasione di socializzazione come la cena il dopocena e l’apericena, dove ci si possono tuttavia scambiare impressioni di lettura ma solo a condizione che l’impressione si sia prodotta nel chiuso del personale, in rigorosa (appunto) assenza del famoso Altro, molesto importuno quando si tratti di seguire le righe, stare tra le righe e riscrivere mentalmente quel che si legge con attenzione alle proprie reazioni individuali. Mi rendo conto che questi tentativi di ragionamento sono esposti all’equivoco della pedanteria e dello snobismo. Però poi non bisogna lamentarsi della vita mediocre, dei risultati oratori e politici che spesso si vedono in azione, dello slang socializzante e andante che riduce tutto in poltiglia, magari poi con accessi di puritanesimo stregonesco. Non c’è più trippa per gatti, nel senso che non c’è più luogo a lettere per l’educazione dell’umanità, nessuno tollererebbe di essere maestro nemmeno a sé stesso perché l’idea del magistero e dell’autorità è infeconda, fuori moda.
Wagner si domandava come mai, essendo gli esseri umani gli stessi oggi di quel che erano nella antica Grecia, dove si produceva arte ora si producono oggetti di lusso. Curiosità comprensibile per un palombaro del mito e della storia che ha scritto tanta buona musica. Il made in common della lettura istituzionale, in luoghi pubblici che alimentano lo spirito di gruppo e il ronzio dello sciame, ha lasciato il passo a una lettura più intima, meno specialmente collettiva, di testi e controtesti dell’immaginazione; e c’è voluta una prolungata e non ancora definita epoca di malattia. Nello Stile Alberto di Masneri è decrittato con massimo agio, competenza e amore il segreto intrattabile di un Grande Snob che scriveva spesso articoli incomprensibili e deliziose cartoline. Per gli articoli lasciamo stare, ma se le opinioni critiche prendessero posto nelle cartoline, concepite e inviate a distanza, invece che tra la folla del Salone, non sarebbe comunque un progresso?