“La cancel culture non è una moda, ma una rivoluzione”
Il libro di Brice Couturier. "È un rovesciamento a testa in giù di tutto ciò che ha fatto la cultura dell’occidente democratico e liberale"
“La cancel culture non esiste”. “Il woke è uno spauracchio della destra reazionaria”. È il refrain progressista per liquidare i colpi assestati da un nuovo movimento internazionale alla cultura occidentale. “Vorrebbero imporci un sistema concettuale che considerano così ovvio da costituire, ai loro occhi, l’unica griglia di lettura possibile di qualsiasi conflitto sociale. E’ la Grande rivoluzione culturale americana e un’intensa battaglia intellettuale appena iniziata”. A raccontarla ci pensa uno studioso francese, Brice Couturier, già autore di un libro su Macron. Il suo “Ok millennials”, uscito in Francia per le edizioni dell’Observatoire, riguarda soprattutto il mondo anglosassone, perché è dagli Stati Uniti che questa ideologia sta divampando. “Ma il fuoco che comincia dalle università di Evergreen o Berkeley, piuttosto che da Pechino, Cuba, Mosca… o Berlino, come in passato, plasma lo spirito di tutta una generazione”. E diventa una rivoluzione culturale. “Un rovesciamento a testa in giù di tutto ciò che ha fatto la cultura dell’occidente democratico e liberale”. E’ iniziata con una “decostruzione” accademica di tutte le idee accettate e delle istituzioni stabilite, che “sono state descritte come ‘costruzioni sociali’, arbitrarie e destinate esclusivamente a rafforzare il potere degli uomini bianchi, borghesi ed eterosessuali”. L’universalismo è denunciato come un mito. La razionalità come una manipolazione al servizio del colonialismo. L’oggettività come un’illusione razzista.
I millennial, “avidi di divieti e censure”, sono diventati il “terrore dei campus”, i “monaci-soldati di una nuova religione”. Al tempo del primo politicamente corretto, negli anni 1980-1990, tutti ridevano: “Tali sciocchezze non usciranno mai dal college, si diceva. Si sbagliavano: gli studenti sono diventati professori, editorialisti, alti funzionari pubblici, dirigenti nel settore privato…”. E gradualmente hanno imposto nuove parole (genere, equità razziale, queer, mascolinità tossica, privilegio bianco) su una maggioranza riluttante. Ma c’è anche tanto opportunismo. “Ai membri delle classi dirigenti e abbienti, questo permette di posizionarsi a sinistra con poca spesa, pur conservando il vantaggio di stipendi molto alti…”.
L’America ne uscirà trasformata. “Ora c’è un’atmosfera da caccia alle streghe degna dei tempi della ‘Lettera scarlatta’ di Nathaniel Hawthorne. Molte persone perdono il lavoro e vengono ostracizzate per uno scherzo incompreso durante una serata ubriaca, o per un vecchio tweet, trovato da cacciatori di streghe professionisti. E soprattutto per un ‘pensiero scorretto’ e il rifiuto di confessarsi nei rituali ideologici obbligatori. Tutto questo è orwelliano”.
Dalla Francia arriva la rivolta intellettuale più consistente al woke. “Il progetto guidato dal #MeToo non è emancipatore, è eradicatore”, scrive Sabine Prokhoris nel libro appena uscito, “Le mirage #MeToo”. La filosofa e psicoanalista francese di origini greche parla di una “fantasia di tabula rasa” e sappiamo cosa questo significhi: “L’eliminazione di coloro che vengono decretati nemici politici, da denunciare, punire, rieducare”. Il celebre psicoanalista Renaud Large e l’esperto di comunicazione Ruben Rabinovitch hanno compiuto invece il più serio studio sul fenomeno per la Fondation Jean-Jaurès, “Contro la nebulosa woke e la cancel culture”. Parlano della “malattia senile di un occidente che ama mortificarsi”. Uno sfogo di barbarie dietro la maschera della virtù.